Il Papa: l'arte non è un lusso, ma "necessità" che trasforma il dolore in speranza
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
La "necessità" dell'arte, quella scomoda, capace di offrire "la pace dell'inquietudine" senza separarsi "dal dramma dell'esistenza". Realizzarla è compito degli artisti, "custodi della bellezza" nascosta nelle pieghe della storia, guide preziose con l'arduo dovere di "aiutare l'umanità a non perdere la direzione". Durante la Messa di oggi, 16 febbraio, nella Basilica di San Pietro, celebrata in occasione del Giubileo dedicato a pittori, musicisti, poeti e a tutte le categorie di virtuosi che da millenni incantano il mondo con le loro opere, Papa Francesco – impossibilitato a prendere parte alla celebrazione a causa del ricovero al Policlinico Gemelli – ha riflettuto sulla loro antica, ma più che mai attuale, responsabilità di "trasformare il dolore in speranza".
"Il nostro primo pensiero va a Papa Francesco. Preghiamo per la sua salute, ringraziamo la visione, il sostegno che lui ci offre sempre". Così il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, ha aperto la Messa da lui presieduta. La lettura dell'omelia "prevista" da Francesco per la celebrazione è un richiamo al passo delle Beatitudini proclamato durante la liturgia. Parole che "ribaltano la logica del mondo" invitando a "guardare la realtà con occhi nuovi" riconoscendo la bellezza "persino nella fragilità e nella sofferenza".
Rivelare la bontà nascosta nella storia
Gli artisti, presenti tra i circa 4.000 fedeli raccolti nella Basilica vaticana, sono i primi portatori di questa visione, così "rivoluzionaria".
"Pellegrini o erranti?"
Le crisi che affliggono il mondo sono molteplici: economiche, sociali, ma soprattutto "dell'anima", di "significato". Siamo "pellegrini o erranti?" Viaggiatori "con una meta" o "dispersi nel vagare?"
L’artista è colui o colei che ha il compito di aiutare l’umanità a non perdere la direzione, a non smarrire l’orizzonte della speranza.
L'incontro con "la bellezza che ci supera"
Una speranza che non deve essere annacquata dalla superficialità, o ridotta a "rifugio comodo" ma chiamata ad essere invece "fuoco che brucia e illumina", incontro "con il mistero", "bellezza che ci supera", "dolore che ci interroga", "verità che ci chiama".
Discernere gli "echi d'oro" e "di piombo"
"Il mondo è carico della grandezza di Dio. / Essa brillerà come il bagliore della lamina scossa". Francesco si affida ai versi del poeta gesuita Gerard Manley Hopkins per ricalcare la missione comune a tutti gli artisti di "scoprire e rivelare quella grandezza nascosta", renderla percepibile agli occhi e ai cuori. Hopkins avvertiva nel mondo echi "di piombo" alternati con altri "d'oro", simbolo delle capacità di discernimento di uomini e donne di cultura, chiamati a divulgare i "richiami della nostra umanità più vera", ignorando i "canti di sirene che seducono".
Non esistono "cose più concrete?"
In un'epoca in cui "nuovi muri si alzano" e le differenze diventano pretesto di divisione, l'arte potrebbe apparire superflua. Verrebbe da chiedersi se non vi siano "cose più urgenti, più concrete, più necessarie" da affrontare.
L’arte non è un lusso, ma una necessità dello spirito. Non è fuga, ma responsabilità, invito all’azione, richiamo, grido. Educare alla bellezza significa educare alla speranza. E la speranza non è mai scissa dal dramma dell’esistenza: attraversa la lotta quotidiana, le fatiche del vivere, le sfide di questo nostro tempo.
"La speranza non è un'illusione"
La visione degli artisti, in conclusione, deve essere profetica, attiva nella diffusione della "logica capovolta" delle Beatitudini. "Non smettete mai di cercare, di interrogare, di rischiare", l'invito finale.
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