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Carceri, il garante Ciambrello: togliere diritto alla libertà, non alla dignità

Il nuovo portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale illustra i problemi che affliggono l’istituzione detentiva: sovraffollamento, emergenza sanitaria e bambini in carcere le questioni più urgenti sul tavolo

Roberta Barbi – Città del Vaticano

Coinvolgere maggiormente il Terzo Settore all’interno degli istituti di pena, istituire la liberazione anticipata a 70 giorni per buona condotta e offrire più occasioni di lavoro: questi i buoni propositi sui cui s’impegna a lavorare in questo 2024 iniziato da circa un mese e che lo vedrà portavoce della Conferenza dei garanti territoriali, Samuele Ciambrello, già garante dei diritti delle persone private della libertà personale per la Regione Campania. “Bisogna che si capisca finalmente che meno carcere significa più sicurezza; il 70% delle persone che tornano a delinquere (il dato attuale delle recidive in Italia ndr) è perché non hanno incontrato sul loro cammino in carcere cappellani, volontari, operatori – afferma con Pope – alle persone detenute viene tolto il diritto alla libertà, ma non deve essere tolto quello alla dignità”.

Ascolta l'intervista con Samuele Ciambrello:

Puntare sulle misure alternative

A inizio 2024, dati alla mano, le persone detenute in Italia ammontano a 60mila, contro una capienza di circa 47mila. “Abbiamo più di novemila detenuti che hanno condanne da un mese a 3 anni, oltre a circa 22mila che hanno un residuo pena che non supera i 3 anni – ha detto ancora – per migliorare la situazione l’unica è puntare sulla depenalizzazione e sulle misure alternative”. Ci sono, inoltre, 35mila detenuti migranti, che sono affetti da dipendenze o che hanno problemi di natura psichiatrica: “In pratica sono 35mila detenuti che oltre a essere in carcere hanno un problema in più che va affrontato – spiega Ciambrello – se è cambiata l’identità di chi entra in carcere, è necessario anche un aggiornamento delle figure professionali che vi lavorano, a partire dagli assistenti sociali, ma anche dagli psicologi e gli psichiatri”.

Nel 2024 ancora 20 bambini in carcere

Del dramma dei bambini in carcere, il portavoce ha un’esperienza diretta: uno dei quattro Icam (istituti a custodia attenuata per madri ndr) presenti sul territorio nazionale, infatti, si trova a Lauro, in provincia di Avellino: “Ci vivono bambini la cui prima parola non è stata ‘mamma’ come sarebbe giusto, ma ‘apri’, ‘chiudi’ o addirittura ‘cella’ – racconta – nella scorsa legislatura per queste mamme era stata approvata la detenzione in comunità alloggio; ora, invece, con la possibilità concreta che le misure alternative per le mamme diventino facoltative il rischio è di tornare a riempire questi Icam”.

Un’emergenza sanitaria costante

Nel 2008 Ciambrello fu tra i sostenitori della riforma sanitaria penitenziaria, quella che portò le competenze alle aziende sanitarie locali e territoriali, sancendo di fatto che il diritto alla salute è fondamentale e unico sia per i cittadini liberi che per quelli detenuti. “Capisco che ci siano delle difficoltà oggettive, ma il rimpallo delle responsabilità che si vede tra sanità e amministrazione penitenziaria offende le istituzioni – è il grido d’allarme del portavoce dei garanti – a volte arrivano specialisti nelle carceri per effettuare 25 o 30 visite, ma per vari motivi riescono a visitare solo una decina di ristretti; oppure capita che arriva il giorno di una visita esterna necessaria, ma il detenuto non ci può andare perché all’ultimo momento non è disponibile il nucleo di traduzione… E bisognerebbe anche rimettere mano ai reparti penitenziari negli ospedali che sono ancora troppo pochi in tutte le Regioni”. Infine, ma non certo per ultimo, il problema dei tossicodipendenti e degli psichiatrici che sono di fatto detenuti assieme ai ristretti comuni, mentre avrebbero bisogno di altre strutture, più specializzate, e non del carcere dove c’è spesso “troppa psichiatrizzazione e troppa approssimazione”. “Accade che molte famiglie di queste persone denuncino i propri figli per aggressioni, maltrattamenti o estorsioni pensando che il carcere possa aiutarli – conclude il garante – ma il carcere non è la risposta a tutto e anche le Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza ndr) non possono risolvere tutti i problemi”.  

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30 gennaio 2024, 10:00