L'Onu chiede la fine delle violenze in Myanmar
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
In Myanmar, decine di migliaia di persone sono scese in strada nelle principali città manifestando contro la giunta militare che, nelle ultime ore, ha lanciato un monito ai civili: la via dello scontro significherà mettere a rischio la propria vita. Le principali arterie di Rangun, Naypyidaw, Mandalay sono state occupate dai manifestanti, che chiedono il ripristino della democrazia ed il rilascio dei prigionieri politici. Sono tre le vittime nel corso dell’ultima settimana. Intanto si moltiplicano gli appelli della comunità internazionale.
Porre fine alla violenza
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, questa mattina ha denunciato la "forza brutale" utilizzata dai militari birmani chiedendo ai generali di porre fine alla repressione e di rilasciare i prigionieri. "Chiedo all'esercito del Myanmar di cessare immediatamente la repressione, di rilasciare i prigionieri e di porre fine alla violenza", ha detto Guterres in un messaggio video rivolto al Consiglio per i diritti umani dell'Onu. "Bisogna rispettare i diritti umani e la volontà espressa dal popolo nelle recenti elezioni", ha aggiunto il numero uno dell’Onu. Nelle ultime ore anche il Consiglio dell'Ue ha adottato le conclusioni in cui "condanna con la massima fermezza il colpo di Stato militare perpetrato in Myanmar" il primo febbraio scorso e sottolinea che "l'Europa è al fianco della popolazione del Myanmar".
Rilasciare i prigionieri
Nelle conclusioni i ministri europei hanno chiesto la distensione dell'attuale situazione di crisi attraverso la fine immediata dello stato di emergenza, il ripristino del governo civile legittimo e l'apertura del neoeletto Parlamento. Inoltre il Consiglio dell’Unione Europea ha anche invitato i militari a rilasciare immediatamente e incondizionatamente il presidente U Win Myint, il consigliere di Stato Aung San Suu Kyi e tutti coloro che sono stati detenuti o arrestati in relazione al colpo di Stato di tre settimane fa.
Un fragile patto
“C’era un equilibrio molto fragile in Myanmar, perché i militari secondo la Costituzione attuale hanno un potere di interdizione. Dopo il voto, con una vittoria schiacciante, alcuni esponenti della Lega Nazionale Democratica volevano annullare tutto ciò, rompendo di fatto il compromesso. A questo punto i militari hanno fatto venire meno quell’accordo scritto una decina di anni fa”. Lo afferma nell’intervista a Pope Francesco Sisci, sinologo, docente di Diritto Internazionale:
“Nessuna delle due parti – prosegue - sembra intenzionata a fare un passo indietro, le violenze continuano ormai da settimane e non è chiaro quando finirà questa vera e propria escalation”.
La pressione internazionale
Gli appelli della comunità internazionale possono incidere sugli eventi? “Certamente ci sono delle forti pressioni, ma - spiega Sisci - non è semplice capire se i militari al loro interno sono uniti o divisi, così come non è chiaro cosa potranno realmente fare i politici. I militari hanno detto di voler tenere il potere per un anno, ma non è possibile - aggiunge - pensare che per lunghi mesi potremo assistere a questa situazione. L’economia non reggerebbe. Temo dunque che la violenza possa addirittura aumentare e - conclude - avere degli effetti anche in altri Paesi, su tutti la Thailandia dove già da mesi sono in corso manifestazioni popolari”.
La solidarietà al popolo del Myanmar
“Fin dai tempi della sua visita apostolica del 2017, Papa Francesco ha portato il Myanmar nel suo cuore con tanto affetto” ed in questi giorni “la Santa Sede sta seguendo con grande attenzione e profonda preoccupazione gli sviluppi della situazione che si è venuta a creare nel Paese”. Monsignor Ivan JurkoviÄŤ, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, ha aperto così la scorsa settimana il suo intervento alla 29.ma sessione speciale del Consiglio dei Diritti umani dell’Onu, dedicata alla nazione asiatica. In questo contesto la Santa Sede, ha ribadito l’Osservatore permanente, “desidera assicurare ancora una volta la sua vicinanza spirituale, la preghiera e la solidarietà al popolo del Myanmar”.
La preghiera del Papa
Le parole di monsignor JurkoviÄŤ richiamano quelle pronunciate da Papa Francesco all'Angelus del 7 febbraio, al termine del quale il Pontefice ha assicurato “vicinanza spirituale, preghiera e solidarietà al popolo del Myanmar”, chiedendo ai responsabili del Paese di porsi “con sincera disponibilità al servizio del bene comune, promuovendo la giustizia sociale e la stabilità nazionale per un’armoniosa convivenza democratica”. L'8 febbraio, inoltre, ricevendo in accreditato presso la Santa Sede, il Papa ha auspicato “la pronta liberazione” dei leader politici incarcerati in Myanmar, come “segno di incoraggiamento a un dialogo sincero per il bene del Paese”.
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