Il cinema nel cuore dei Papi, una piazza che crea comunit¨¤
Rosario Tronnolone ¨C Città del Vaticano
Che relazione è possibile stabilire relazione tra cinema, papato e Giubilei? Una domanda che tocca uno degli universi del Giubileo degli artisti appena celebrato. A tracciare la traiettoria di un rapporto pluridecennale, passato da una iniziale diffidenza a un reciproco apprezzamento, è don Dario Edoardo Viganò, vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze sociali,
La storia del rapporto del cinema con il papato sembra intrecciarsi in modo interessante con la storia dei più recenti Giubilei, a partire almeno dal 1925¡
Gli appuntamenti giubilari del Novecento hanno rappresentato una tappa fondamentale nella relazione tra la Chiesa e i media di massa, amplificando la capacità di Roma di attirare i riflettori sul soglio petrino, ponendo il pontefice all¡¯apice di un processo informativo che coinvolgeva gran parte dell¡¯orbe cattolico e permettendo di raggiungere un ampio e interessato pubblico di fedeli-spettatori in ogni angolo del mondo. In effetti, questa connessione tra sfera religiosa e culturale all¡¯interno di un evento da sempre considerato centrale per la dimensione geopolitica del papato ha caratterizzato la storia dei Giubilei fin dalla prima istituzione, contribuendo a renderli uno strumento tra i più efficaci per promuovere la centralità e l¡¯universalità della Chiesa di Roma.
La lunga storia, quasi millenaria, degli eventi giubilari mostra chiaramente la capacità espressa da Roma di richiamare interesse anche prima della formazione di un moderno sistema mediatico. Vale la pena richiamare un significativo esempio di questa ¡°globalizzazione¡± del messaggio pontificio: l¡¯esposizione universale missionaria che Pio XI volle allestire per l¡¯Anno Santo 1925 nei Giardini Vaticani, che richiamò oltre un milione di persone da tutto il mondo, con oltre centomila oggetti esposti in 24 padiglioni, facendone la più grande mostra che la Chiesa avesse mai organizzato nella sua storia. Sempre nello stesso anno, peraltro, per la prima volta nella tradizione giubilare le strade della Città Eterna furono tappezzate di manifesti a colori in cui campeggiava l¡¯Angelo del Bernini di Ponte Sant¡¯Angelo con la croce in mano, sullo sfondo la cupola della basilica di San Pietro e il motto, scritto in latino e in altre lingue, Pax Christi in regno Christi.
Detto questo, bisogna pur sottolineare che solo nel corso del Novecento, con i mezzi di comunicazione di massa, la Santa Sede ha potuto amplificare efficacemente la portata planetaria di questi appuntamenti. Questo incontro tra tradizione e modernità, e in un senso più specifico tra Giubilei e cinema, ha contribuito a segnare i confini di un confronto con i nuovi media che non fu sempre così lineare, nel quale la Chiesa puntò a sfruttare le potenzialità offerte dalla modernità, ma allo stesso tempo si mostrò preoccupata davanti all¡¯impossibilità di controllare la diffusione delle immagini delle celebrazioni. Per il Giubileo del 1925, ad esempio, Pio XI dette una disposizione precisa e categorica, vietando di riprendere il papa durante le cerimonie religiose dell¡¯Anno Santo. Perché questa scelta così drastica? Perché il cinema veniva allora associato alla speculazione che mischiava il sacro con il profano e divulgava contenuti lontani dall¡¯etica cristiana. Questa disposizione così rigida, che tolse dal campo il ¡°trofeo¡± più ambito da mostrare (l¡¯immagine del pontefice), provocò serie difficoltà alle case cinematografiche che accorsero in gran numero a Roma durante l¡¯Anno Santo, inducendo alcune di esse a tentare di aggirare il divieto. Certamente poi le cose cambiarono con i successivi appuntamenti del 1933 e, soprattutto, del 1950, ma la storia ci mostra anche queste difficoltà.
Qual è stato storicamente l¡¯atteggiamento della Chiesa nei confronti del cinema?
Il complesso e spesso contraddittorio rapporto che ha legato la Chiesa cattolica e i media ha avuto un suo primo atto nella benedizione di Leone XIII, ripresa da William Kennedy Laurie Dickson nei cortili e nei palazzi vaticani con una macchina da presa dell¡¯American Biograph and Mutoscope, agli operatori e al nuovo strumento cinematografico, impartita, in forma simbolica, anche a tutti coloro che al di là dell¡¯obiettivo avrebbero potuto vedere quanto ripreso. A partire da questo evento la Chiesa diresse il proprio impegno nell¡¯elaborazione di una doppia strategia che accompagnò per un lungo periodo il suo confronto con i mezzi di comunicazione di massa: da una parte la legittimazione e il sostegno allo sviluppo dei nuovi media, pensati soprattutto come strumento educativo, dall¡¯altra la costante preoccupazione educativa e morale volta a una costante cristianizzazione della società.
In questo contesto, il ¡°doppio registro¡± ecclesiastico ¨C valorizzazione e vigilanza ¨C fu mantenuto e rinnovato ma, con il passare del tempo, pur non accantonando la volontà di mantenersi vigili e attenti per assicurare il rispetto dei dettami religiosi, si rese sempre più necessaria una maggiore consapevolezza volta ad adeguare il messaggio cristiano per rivolgersi efficacemente a una società nel pieno dei processi di globalizzazione. La risposta a questo indirizzo che andava in una direzione sempre più internazionale e transnazionale abbracciò anche il rapporto tra Chiesa e media, soprattutto attraverso un nuovo approccio verso i moderni mezzi di comunicazione che, accanto alla tradizionale preoccupazione moralizzatrice, avesse anche una parte di azione positiva che fornisse una implicita legittimazione al nuovo medium. Si tratta dei segni più evidenti di quel cammino di maturazione nella consapevolezza di che cosa rappresentassero i media di massa nell¡¯evoluzione sociale e antropologica del contesto contemporaneo, che la Chiesa avrebbe saputo rielaborare più compiutamente in un vero e proprio cambio di paradigma verso il sistema comunicativo solo dopo la svolta del Concilio Vaticano II.
Cosa ha rappresentato il Giubileo del 1950, con il cinema al massimo della sua potenza d¡¯espressione e di popolarità, nella storia del rapporto tra papato e cinema?
Il Giubileo ordinario del 1950 è stato un evento di grande importanza e risonanza soprattutto per i suoi riverberi in tutto il mondo e per l¡¯impatto sull¡¯opinione pubblica nazionale e internazionale. A questo possiamo aggiungere che esso può essere considerato come il giubileo cinematografico per eccellenza, visto che, prima che la televisione lo soppiantasse quale medium audiovisivo dominante, il cinema era allora all¡¯apice della sua potenza e diffusione. L¡¯Anno Santo fu presentato da Pio XII, che si proponeva in quel periodo come riferimento per le masse nel grande vuoto lasciato dal crollo del mito dei totalitarismi, come una moderna e pacifica crociata della Chiesa per il grande ritorno a Dio degli atei e degli agnostici. Un Giubileo ancorato alla tradizione, improntato a toni trionfalistici, magniloquente nelle liturgie, certamente influenzato anche dal clima della Guerra Fredda. Le parole chiave del Grande Ritorno e del Grande Perdono indicavano dunque una nuova strada per l¡¯umanità che, sconvolta dalla guerra e dalle vicende belliche, era ora chiamata a tornare nel grande ovile della Chiesa.
La risposta del sistema massmediale a questo evento fu prorompente. Il mondo del cinema manifestò una duplice attenzione a questo Giubileo: la prima, incoraggiata dallo stesso Pio XII, condusse alla realizzazione di un numero molto elevato di documentari e speciali cinegiornali sugli eventi giubilari prodotti dalle case cinematografiche e dalle società cinegiornalistiche di tutto il mondo; la seconda, indiretta, portò le grandi major hollywoodiane, ma anche altre importanti cinematografie (come quella italiana e francese), a realizzare film di finzione a tema religioso accordati al clima dell¡¯Anno Santo. In questa così variegata produzione si può menzionare per tutti il film documentario Il Gran Ritorno di Stefano Canzio, prodotto dalla Orbis insieme alla Incom sotto gli auspici del Comitato Centrale per l¡¯Anno Santo, nella cui scena finale Pio XII declama, nel suo tipico stile ieratico ed enfatico, una esortazione che poi venne trasmessa per televisione in Europa occidentale e Canada.
Cosa è cambiato con l¡¯avvento della televisione?
Quello del 1950 fu l¡¯ultimo Giubileo in cui il cinema riuscì ad essere protagonista indiscusso del racconto nel circuito massmediale. Solo dopo qualche anno sarebbe infatti subentrata la svolta televisiva, un mezzo che si era rivelato decisamente più duttile e incisivo, che cambiò radicalmente i codici linguistici e comunicativi dei media moderni aprendo una nuova era non soltanto nel mondo dei mass media italiani, ma anche nella politica cattolica sul terreno delle comunicazioni di massa. Fin da subito fu chiara la volontà dei vertici ecclesiastici di non disperdere le opportunità di apostolato che il nuovo mezzo sembrava poter aprire fin dai primi tempi del suo sviluppo e, al contempo, di chiamare tutti i cattolici alla «santa crociata» per una televisione «cristianamente educatrice». Questa ¡°rivoluzione¡± mediatica fu però avvertita con una certa evidenza solo nel periodo del Concilio Vaticano II, quando la Chiesa dovette imparare a confrontarsi quotidianamente con il sistema massmediale, visto che l¡¯assise conciliare registrò una sempre maggiore copertura mediatica. Dall¡¯11 ottobre 1962, infatti, le telecamere della Rai diedero avvio a una diretta destinata a seguirne costantemente i lavori, per restituire ai telespettatori ampia copertura al Concilio e per inserirlo tra il novero dei maggiori eventi mediali globali.
Fu un processo di presa di coscienza verso il nuovo strumento televisivo che si affinò nel tempo, ed ebbe il proprio apice durante il pontificato di Giovanni Paolo II, che fu protagonista in tutti i piccoli schermi del mondo durante i due giubilei da lui indetti nel 1983 e nel 2000. Nel secondo, soprattutto, questa grande attenzione all¡¯universo variegato dei media si manifestò essenzialmente con uno specifico giubileo per il mondo dello spettacolo tenutosi in piazza San Pietro il 17 dicembre 2000. L¡¯evento venne organizzato dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, presieduto dall¡¯arcivescovo americano John P. Foley, e dal direttore della Filmoteca Vaticana mons. Enrique Planas, con il quale il pontefice volle ribadire le «responsabilità» per la «nuova evangelizzazione» che ruotavano intorno al mondo dello spettacolo, allorché la Chiesa si aspettava che «nel cinema, nella televisione, nella radio, nel teatro, nel circo e in ogni forma di intrattenimento» fosse trasfuso «quel ¡°lievito¡± evangelico grazie al quale ogni realtà umana sviluppa al massimo le sue potenzialità positive». Una responsabilità indicata soprattutto per il medium televisivo, protagonista della comunicazione del periodo e frutto di sempre maggiore attenzione anche da parte della Santa Sede, che intuì la necessità di sfruttarne il sempre maggiore potenziale.
Chi fu il primo Papa a rendersi conto dell¡¯importanza del cinema (o in generale del mezzo audiovisivo) nella trasmissione della fede?
Durante il pontificato di Pio XI il cinema venne indicato come utile strumento nell¡¯ambito educativo ma, al contempo, come una porta aperta ai possibili abusi di natura prettamente morale e alla corruzione dei costumi. La prima grande sintesi della politica alla quale i cattolici italiani si adegueranno in ambito cinematografico è certamente rappresentata dalla lettera enciclica Vigilanti cura del 1936: essa traccia una linea chiara e definita su questo nuovo strumento di comunicazione, basata su una partecipazione attiva dei cattolici a tutto campo: dalle commissioni di censura alla critica, dalla produzione all¡¯esercizio.
Ma il Papa che per primo intuì pienamente l¡¯importanza del cinema fu Pio XII che, soprattutto per la sua storia personale e per il suo percorso formativo, ne riconobbe fin da subito le indubbie potenzialità come strumento privilegiato per raggiungere le masse, investendo molto del suo magistero su questo medium, avviando la prima ¡°globalizzazione visuale¡± del pontificato e arrivando persino ad affidare al grande schermo la rappresentazione del suo ruolo di suprema autorità morale, attraverso la produzione del film documentario Pastor angelicus, diretto da Romolo Marcellini, successivamente diffuso in tutto il mondo. Uno dei meriti di Pio XII fu dunque quello di intuire la portata planetaria dei cambiamenti in atto e la necessità di modificare gli antichi schemi d¡¯azione per rinnovare il quadro di confronto tra la Santa Sede e il sistema mediatico nel suo insieme. La prospettiva rimase comunque saldata al nucleo dottrinale di generale condanna della modernità di cui il cinema era l¡¯ultimo prodotto, ma con una maggiore consapevolezza della possibilità di piegare lo strumento in funzione del progetto di restaurazione cristiana contro l¡¯imperversare di una crescente secolarizzazione della società. Papa Pacelli si pronunciò in materia cinematografica in diverse occasioni, sia con discorsi (se ne contarono otto tra il 1941 e il 1949), sia con le encicliche Sacra virginitas (1954) e Miranda prorsus (1957), ma, soprattutto, con i due Discorsi sul film ideale.
Per la cerimonia d¡¯apertura del Giubileo del 1975 venne ingaggiato un famoso regista cinematografico, Franco Zeffirelli; per quello del 2000, Ermanno Olmi. Che differenza ci fu nell¡¯atteggiamento della Santa Sede nelle due occasioni?
L¡¯apertura della Porta Santa del 1975 è stato un grande evento mediatico, in cui però ebbe un ruolo determinante la personalità di Paolo VI. Montini non era un papa che, per un usare un gergo televisivo, bucava lo schermo come il suo predecessore Giovanni XXIII. Dalla stampa è stato più volte definito un papa ¡°amletico¡±, indecifrabile nelle sue intenzioni più profonde, in bilico tra tradizione e innovazione. Questo scarso ¡°appeal visivo¡± rappresentò spesso un problema in un sistema mediatico sempre più impostato sulle immagini carismatiche capaci di impressionare le masse. Per la cerimonia d¡¯apertura della Porta Santa fu ingaggiato Franco Zeffirelli che, in un¡¯intervista rilasciata al «Corriere della Sera» nel 1978, raccontò come la sua esperienza alla regia dell¡¯evento fosse caratterizzata dalla necessità di rispondere alla volontà della Santa Sede che aveva chiesto alle sue macchine da presa di «stare lontane dai primi piani» e inquadrare il pontefice «sempre da lontano e il meno possibile»; quasi in un richiamo non voluto al Giubileo «senza papa» del 1925, in cui Pio XI diede ampia apertura alla presenza degli operatori durante le cerimonie, escludendo però la possibilità di riprendere la sua figura. Raccontò che addirittura in quell¡¯occasione gli si avvicinò un funzionario Rai che gli disse: «Sua Santità non è fotogenico, cerchi di inquadrarlo il meno possibile, è questa una precisa raccomandazione della Curia e del Papa Stesso».
Nel 2000, invece, la copertura mediatica e televisiva non ebbe paragone con altri giubilei della storia e cominciò ad avere un ruolo importante anche su internet: il sito ufficiale della Santa Sede (vatican.va) esisteva da poco tempo, e servì per sperimentare nuove forme di comunicazione, con tante informazioni, anche multimediali, veicolate attraverso il web. Si trattava di un passo in avanti decisivo nel campo del racconto per immagini dell¡¯evento giubilare e nel rapporto con i fedeli e i pellegrini. Le nuove tecnologie permettevano in un certo senso di modificare l¡¯esperienza collettiva legata alle celebrazioni dell¡¯Anno Santo attraverso un coinvolgimento su larga scala che toccava anche le zone più periferiche del globo. Un vero e proprio cambio di paradigma nella rappresentazione del sacro che ebbe nell¡¯audiovisivo un protagonista indiscusso. La necessità di rispondere adeguatamente alle sollecitazioni del sistema massmediale portò quindi alla scelta di affidare a un grande regista cinematografico quale Ermanno Olmi la regia televisiva dell¡¯evento inaugurale dell¡¯apertura della Porta Santa nella Notte di Natale del 1999, affinché non si limitasse «a realizzare belle immagini», ma aiutasse i telespettatori «a cogliere il senso del mistero che viene celebrato». Seguita in mondovisione da un pubblico stimato di circa due miliardi di telespettatori, la diretta curata da Olmi si rivelò di straordinaria efficacia: molti commentatori sottolinearono l¡¯impostazione radicalmente nuova della regia, capace di restituire il carattere «pratico» dell¡¯azione liturgica, il primato della struttura rituale in quanto tale.
Quali sono oggi e nell¡¯immediato futuro, a suo parere, gli elementi positivi e gli elementi critici del rapporto tra cinema e papato?
Papa Francesco ha più volte ricordato la necessità di non sottrarsi alle nuove sfide imposte dalla modernità, per ¨C come sottolineava nel 2013 al personale del Centro Televisivo Vaticano ¨C «mantenere saldamente ¡°la prospettiva evangelica in questa specie di autostrada globale della comunicazione¡±» e per aprire il campo dell¡¯apostolato anche a quegli strumenti che possano fornire un nuovo sguardo alla realtà e provocare la coscienza dei credenti. Ed è proprio in questo senso che egli ha indicato il cinema ¨C ricordando come questo faccia intimamente parte del suo orizzonte culturale, e come il rapporto con questo medium abbia segnato alcuni passaggi fondamentali del suo percorso personale e spirituale ¨C come possibile protagonista di una strategia propositiva volta ad adeguare il messaggio del Cristianesimo davanti a scenari di diffusione sempre più globali, e aprire a nuove domande di senso. Se è vero, come ha scritto, che «l¡¯ambiente mediale oggi è talmente pervasivo da essere ormai indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano» e «i media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni umane autentiche» (Christus vivit, n. 88), il pontefice ha comunque voluto anche di recente indicare il cinema come grande strumento di aggregazione dall¡¯alto valore sociale. Anche i film, in questo senso, vanno riconosciuti come veicoli di valori universali e strumenti di una nuova «scuola di umanesimo» che punta a parlare direttamente alle coscienze.
Penso sia necessario ricominciare a intendere il cinema come una piattaforma di riflessione che può contribuire in maniera determinante a ricostruire il tessuto sociale con tanti momenti aggregativi. Sempre Papa Francesco segnalava la strada da seguire per cercare di imparare dal passato: «Anche oggi ¨C mi diceva ¨C guardando oltre le difficoltà del momento, il cinema può mantenere questa capacità di aggregazione o, meglio, di costruire comunità. Senza comunione, all¡¯aggregazione manca l¡¯anima». Mi sembra che, in questo senso, sia soprattutto una responsabilità che dobbiamo cogliere nei confronti delle generazioni più giovani, per fare in modo che rimanga forte questo senso di comunità e di solidarietà come spirito che guida il nostro vivere in società. Questo intento, che appare sempre più un¡¯urgenza che coinvolge gran parte del tessuto sociale del nostro Paese, deve essere perseguito attraverso soprattutto una informazione attenta ed efficace sulle nuove tecnologie e mezzi di comunicazione affinché non diventino, col passare del tempo, gli unici protagonisti delle nostre relazioni.
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