Auza all’Onu: lotta alla fame ostacolata anche da cultura delle armi
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Una “cattiva gestione” della catena alimentare e modelli “inappropriati” di consumo e di produzione, il perseguimento di una “cultura delle armi” rispetto a iniziative di aiuto e sviluppo, una tendenza ad imporre la “volontà di pochi su molti”. Nelle parole dell’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, sono queste le “preoccupanti tendenze” da affrontare negli sforzi internazionali per porre fine alla fame e garantire il “pane quotidiano” a ogni uomo, donna e bambino.
Sono 821 milioni le persone denutrite
Nella dichiarazione su sviluppo agricolo, sicurezza alimentare e nutrizione alla 74.ma Assemblea generale dell’Onu, ieri a New York, il nunzio apostolico ha sottolineato come ci sia oggi cibo “più che sufficiente per tutti”, eppure l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite al riguardo - ha evidenziato - indica “cifre allarmanti”: si stima che nel 2018 circa 821 milioni di persone, circa una su nove nel mondo, siano risultate denutrite, con una denutrizione in aumento in quasi tutte le regioni dell’Africa, così come in Sud America. Inoltre, ha proseguito, nel medesimo anno 49 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni sono stati colpiti da denutrizione acuta o sprechi.
Un dovere morale
La responsabilità “verso i poveri, gli affamati, i dimenticati” è un “dovere morale”, ha aggiunto monsignor Auza richiamando le parole del Papa nel dell’anno scorso, quando Francesco evidenziò come i poveri aspettino “da noi un aiuto efficace” per uscire dalla miseria e che il secolo XXI “ha registrato notevoli passi avanti nel campo della tecnica, della scienza, delle comunicazioni e delle infrastrutture” ma non sono stati ottenuti “gli stessi progressi in umanità e solidarietà” verso i più svantaggiati.
Ostacoli ai programmi di sviluppo
Se l’insicurezza alimentare e la mancanza di cibo continuano a causare malnutrizione e fame in molte parti del mondo, ha notato l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, in altre regioni “la sovralimentazione e una dieta non sana, con conseguente obesità e malattie potenzialmente letali, rimangono le principali cause di morte”, come dimostrano studi internazionali. Il nunzio apostolico, riallacciandosi al discorso del Pontefice al Programma Alimentare Mondiale, nella sua del giugno 2016, ha osservato pure come vari programmi specifici per la nutrizione e altri progetti di sviluppo vengano ostacolati da “decisioni politiche”, “ideologie distorte” e “impenetrabili barriere doganali”, mentre “il commercio di armi non lo è”. Proprio il Pontefice denunciò come le armi oggi circolino “con una spavalda e quasi assoluta libertà in tante parti del mondo”: e in tal modo, “a nutrirsi sono le guerre e non le persone”. Ciò, ha rimarcato l’arcivescovo Auza, è “inaccettabile” e deve spronare “all’azione”: garantire la sicurezza alimentare, oltre ad essere un “dovere morale”, deve altresì essere un “elemento centrale” per promuovere pace e sicurezza internazionali, per contrastare la “cultura della violenza” che è spesso alla base di quella “delle armi”, alimentata da un commercio “lecito e illecito”. L’auspicio è stato che la lotta alla fame si basi su “partenariati” che vadano “tutti insieme” nella stessa direzione, lavorando per il bene comune e coinvolgendo le comunità locali.
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