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Dirsi povero, tra stigma e opportunità

Frammenti di vite si raccontano al pranzo del Papa offerto dalla Croce Rossa Italiana in Aula Paolo VI nella Giornata mondiale dei Poveri

Antonella Palermo - Città del Vaticano

Lavori interrotti, disastri familiari, disagi relazionali. Finire sul marciapiede a chiedere spiccioli per tirare ora dopo ora, senza poter minimamente progettare nulla della propria esistenza frantumata, nasconde trascorsi diversificati, non omologabili se non per una fatica enorme che alle volte fa soccombere. La disperazione l'hanno vissuta le persone che oggi si sono ritrovate in Aula Paolo VI a pranzare con Papa Francesco nella Giornata mondiale dei Poveri. Ma sembra che, almeno in queste ore, abbia ceduto il posto a un certo sollievo, a una sorta di accomodamento dell'anima.

Avere un posto dove dormire aiuta a riprogettarsi

Sono composte alle proprie sedie le 1300 persone invitate attorno ai tavoli circolari che richiamano quelli dell'assise sinodale. Qui si condivide il pane, oltre che le parole. E condividere il pane vuol dire spezzare un po' di vita e scambiarla con chi ti sta vicino. Alcuni più riservati e rigidi, altri più fluidi e aperti. Al centro c'è un tavolo rettangolare con semplici composizioni floreali; qui siederà il Papa che, appena arriva, è circondato da mamme che gli porgono i loro bambini per una carezza. 

"È un'emozione grandissima - dice un signore palermitano ospite al Palazzo Migliori, la casa per senza fissa dimora a due passi da San Pietro voluta dal Pontefice - un palazzo di nobili dove io mi sento piccolo", confida. Aveva un lavoro e una famiglia, una moglie e una figlia morte in un incidende. Di recente è stato colpito da un ictus, la Comunità di Sant'Egidio lo ha tolto dalla strada che ha frequentato per tanti lunghi anni. "Ringraziando Sua Santità il Papa e il cardinale Krajewski, si può dire che adesso anch'io ho una casa e una famiglia. Avere un posto dove dormire ti aiuta anche a svolgere qualcosa per il futuro". Lui vuole innanzitutto guarire e poi cercare un lavoro. Ha fatto il giardiniere e il muratore, "qualsiasi lavoro arriva, va bene". 

Poveri e immigrati, una mano tesa contro l'egoismo

Mentre la Fanfara della Croce Rossa Italiana (CRI) si esibisce sul palco in musiche che animano l'incontro, un signore di origini albanesi racconta il suo arrivo da Potenza. Riesce a fare un lavoro abbastanza continuativo da carpentiere, adesso. "All'inizio è stato davvero difficile. Piano piano mi sono abituato. Venni già otto anni fa, alla prima edizione di qeusta Giornata. Ero proprio allo stesso tavolo del Papa allora, adesso ho avuto la possibilità di tornare. È un sant'uomo il Papa". Gli chiedo come percepisce lo sguardo verso gli immigrati: "C'è molto egoismo, molta arroganza se non vero e proprio razzismo. Opprimere una persona è un peccato davanti agli occhi di Dio. Eppure c'è gente che lo fa o per interessi economici o di potere, mandano via le persone". 

Intanto il vice presidente e rappresentante dei giovani della CRI, oltre 30.mila attualmente nel Paese, è in procinto di servire il pasto insieme ad oltre trecento colleghi: i giovani sono molto partecipi, spiega, e non è sempre vero che amano poltrire sul divano, indifferenti al richiamo delle necessità dei più fragili. Ne è convinta anche una ragazza volontaria da Viterbo: molto emozionati per riuscire a regalare a questi utenti almeno un giorno diverso rispetto alla loro routine. "Il Covid è stato brutto, una emergenza continua, ma non dobbiamo ricordare solo questi eventi brutti. Dobbiamo valorizzare il positivo. Sono tanti i vulnerabili in questo periodo storico, non è semplice rendersi prossimi ma noi ci saremo sempre". La povertà sembra mangiarsi il futuro anche di chi potrebbe considerarsi ancora 'protetto': "È così, purtroppo, ma noi dobbiamo essere bravi a mangiare lei. Anche dalle storie più brutte si possono aprire storie meravigliose. È la speranza che dovremmo trasmettere a queste persone". 

La guerra fa solo danni, impoverisce ancora di più

Una donna abruzzese ha perso il papà nel '44 per via della guerra. Sette figli rimasti orfani. Arrivata a Roma ha provato a fare tanti lavori, dalla portiera alla colf. Adesso ha una casetta, dopo tanti sacrifici. "È favoloso stare qui. La guerra fa solo danni. Ci distrusse la casa, invasa dai tedeschi. Viva la pace!". A un altro tavolo, sono tutti numerati, un signore di origine marocchina racconta di essere in Italia da una trentina d'anni. Mille peripezie - "come faccio a raccontarti tutto?" -, lavorava in Calabria poi la ditta è fallita e la sua vita è precipitata. Poi un'esperienza da ambulante, ora una stabilità e un rinnovato coraggio. "Qui è bellissimo, il Signore è grande". Accanto a lui un signore italiano, smagrito. "Non riuscivo a trovarmi bene da nessuna parte", confessa. Pare alludere a un passato come di chi aveva perso il baricentro, un orientamento. Un malessere che confonde. "Ricordo che una volta qualcuno mi ha preso davanti a un ospedale e mi ha portato dalle Suore di Madre Teresa di Calcutta, al Celio. Sono rimasto da loro, intanto cerco di curarmi e poi si vedrà". Alle Missionarie della Carità è legata anche una donna consacrata laica nella Congregazione. Accompagna un gruppo di residenti di Casa Serena, sulla via Prenestina, a Roma. Con lei c'è anche un ex collaboratore per quarant'anni della fondatrice. "Mi sono votata agli ultimi, io che da giovane non sapevo più stare da nessuna parte, una girovaga, vivo a Liverpool". Ora è anche volontaria in Palestina, a Taybeh, il villaggio interamente cristiano ai confini con il Libano dove tornerà la prossima estate poiché si sta cercando di creare un eremo per accogliere i pellegrini. "Quali?". "Torneranno".

Alla fine del pranzo il Papa ha salutato tutti e ringraziato quanti si sono adoperati per questa giornata. Ai partecipanti è stato donato uno zainetto della Famiglia Vincenziana, contenente alimenti e materiale per l’igiene personale. 1300 vite che ci guardano.

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17 novembre 2024, 16:30