Il Papa: difendere le donne per un mondo casa di pace, non cortile di guerra
Debora Donnini – Città del Vaticano
“Troppo spesso le donne sono offese, maltrattate, violentate, indotte a prostituirsi... Se vogliamo un mondo migliore, che sia casa di pace e non cortile di guerra, dobbiamo tutti fare molto di più per la dignità di ogni donna”. Nella Giornata contro la violenza sulle donne, il 25 novembre, in un tweet il Papa ribadisce il suo forte richiamo a non perpetrare violenza. Ribadisce perché più e più volte, nel corso di questi anni, Francesco è tornato a parlare della questione, con parole molto nette. Da in cui, a proposito della violenza in famiglia nei confronti delle donne, parla di “codardo degrado” e sottolinea che la “violenza verbale, fisica e sessuale che si esercita contro le donne in alcune coppie di sposi” “contraddice la natura stessa dell’amore coniugale, fino all’ del primo dell’anno del 2020, quando disse che “ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna” e che “da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità”. Questo solo per citare alcuni esempi. Abbiamo chiesto a Michela Nacca, avvocato rotale, che si occupa da anni in particolare di violenza sulle donne, come risuonano in lei queste parole...
R. – I cattolici non possono non derivare il loro modello di vita che da Cristo. Un esempio che io vivo anche nel mio impegno professionale, dapprima come avvocato rotale, attività che svolgo da circa 25 anni, alla quale da alcuni anni ho aggiunto oltre all’ attività di avvocata familiarista, l’impegno come presidente di una associazione che si occupa di violenza sulle donne, in particolare, di quella particolare forma di discriminazione che è la legal harassment ossia la violenza istituzionale. Si tratta di un impegno che vivo in perfetta continuità, che è nato ed è maturato alla luce non solo del Magistero pontificio, ma prima di tutto sull’insegnamento cristiano testimoniato nel Vangelo, che tra i “doni di Dio” all’umanità indica anche la effettiva ed autentica pari dignità tra uomini e donne, che passa attraverso la parità dei diritti e delle opportunità. Un cammino che, per la verità, dopo oltre duemila anni è ancora in itinere e non certo raggiunto lungo la via della storia umana.
Mi piace ricordare come Gesù dinanzi la donna adultera che stava per essere lapidata sovverte la cultura, la legislazione e la prassi giudiziaria in cui Egli viveva, attuando una impensabile e rivoluzionaria parificazione assoluta tra il comportamento adulterino della donna - che all’epoca e per il contesto sociale di Gesù costituiva un reato così grave da essere punito con la morte – e il comportamento degli uomini. Le parole espresse da Gesù e riportate nel Vangelo in merito a questo episodio indicano, tra l’altro, anche l’assoluta parificazione della dignità tra l’uomo e la donna. Così come per l’uomo l’adulterio costituisce un peccato grave, l’insegnamento di Gesù indica che allo stesso modo deve essere giudicato anche l’adulterio commesso da una donna. Per Cristo e la Chiesa l’adultera non è più una rea che merita di morire, ma una peccatrice, così come l’uomo adultero.
Per quanto riguarda la Chiesa il matrimonio stesso, foedus sacramentale indissolubile, fedele, unico, tra un uomo ed una donna, finalizzato al bene dei figli e al bene degli stessi coniugi, non può che implicare la pari dignità tra gli sposi, pari diritti e un’autentica condivisione. Nel matrimonio-sacramento, così come anche più in generale, non c’è spazio per la violenza, il sopruso, l’inganno, i maltrattamenti, le sevizie o lo stupro di un coniuge sull’altro. Tutto questo non è simbolo dell’amore di Gesù per la sua Chiesa. Dice poi Papa Francesco: “Le donne sono fonti di vita. Eppure sono continuamente offese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a sopprimere la vita che portano in grembo. Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna”.
Il Papa non dimentica di parlare anche della pratica dell’utero in affitto e della mercificazione del corpo della donna. Di fatto sembra che ci si stia avventurando appunto sulla strada del mercato, pensiamo all’utero in affitto, quando in realtà anche queste pratiche umiliano profondamente le donne…
R. – La considerazione della piena ed autentica dignità della persona impedisce di poter considerare il corpo, qualsiasi corpo, femminile o maschile, al pari di un oggetto o, ancor peggio, di una merce. Così come non è concepibile la schiavitù o la vendita di organi, non può essere accettabile la pratica dell’utero in affitto. Entrambe del resto sfruttano la povertà economica personale, “rivittimizzando” chi ne è vittima. Anche questa diventerebbe una forma di legal harrassment: ossia di violenza istituzionale legalizzata, mentre si ha il compito di proteggere le categorie sociali deboli, povere, non permettendo che siano esposte ad ulteriori ricatti e rischi sociali.
Allontanare un bambino piccolo da sua madre appare davvero come una delle più estreme forme di violenza esercitate contro i bambini che, specialmente da piccoli, hanno particolarmente bisogno della mamma. Nel suo lavoro, però, lei ha avuto modo di affrontare una questione delicata relativa ai casi in cui, in seguito a violenza denunciata dalle donne ed esercitata da parte del marito o partner, si sia arrivati a volte, incredibilmente, alla sottrazione dei figli minori e al collocamento in casa famiglia o presso l’altro genitore, anche a discapito della volontà del figlio. Esiste questo rischio? E se sì, perché, da dove ha origine?
R. – Nei Paesi Occidentali serpeggia una grave discriminazione nei confronti delle madri che denunciano le violenze familiari, chiedendo la protezione dei loro figli da padri anche abusanti. Una discriminazione che, di conseguenza, comporta una rivittimizzazione dei minori che, già vittime di violenza e/o abusi, si possono ritrovare affidati proprio ai loro padri violenti. Ma anche assistere alla violenza contro la madre è una forma di violenza. Negli Stati Uniti, fin dagli anni ’80 hanno trovato diffusione delle pseudoteorie, presentate come serie teorie scientifiche senza in realtà che lo fossero mai state. Mi riferisco ad esempio alla Parental Alienation (Alienazione Parentale) o alla cosiddetta “sindrome della madre malevola” e infine ad una interpretazione distorta della bigenitorialità, che tende a giustificare e tutelare la relazione genitoriale violenta non riconoscendone la pericolosità. Questo, a volte, arriva fino anche a determinare l’allontanamento dei bambini, anche in tenerissima età, dalle madri che hanno denunciato violenze, portando in alcuni casi all’affido dei bambini proprio ai padri denunciati. La sindrome da Alienazione Parentale (Pas) – o la si chiami semplicemente alienazione parentale – è stata inventata da colui che è ritenuto da più parti essere “un apologeta della pedofilia”, Richard A. Gardner, che sosteneva che le denunce delle madri siano tutte o quasi false, strumentali, affermando che la paura manifestata e i racconti di abuso dei bambini stessi, pur chiari, sarebbero frutto di manipolazione materna. Questa è una teoria giammai dimostrata, fondata su pregiudizi del tutto ingiustificati, che sono stati ampiamente smentiti da numerosi studi accademici internazionali. La Pas non è accettata nel DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) e non è stata riconosciuta come disturbo, sindrome o patologia psichica, né come problema relazionale dall’ICD 11 (International Classification of Deseas) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
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