Rom, sinti e camminanti: dopo mezzo secolo c’è ancora molto da fare
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Nel mondo sono circa 37 milioni - un numero simile alla popolazione del Canada -, di cui circa un terzo in Europa, per una cifra di persone pari agli abitanti dell’intero Belgio. Questi i numeri di rom, sinti e camminanti, la cui storia è costellata di sfide e pregiudizi, contrasti e tentativi di integrazione. Ogni 8 aprile, da trent’anni, si celebra la Giornata internazionale a loro dedicata.
Un cammino lungo mezzo secolo
Perché proprio l’8 aprile? Dobbiamo tornare indietro di 50 anni, alla primavera del 1971, ma in realtà ancora oltre fino alla Seconda Guerra Mondiale. In quel conflitto si stima che persero la vita circa mezzo milione di nomadi. Da qui la nascita nel dopoguerra di un movimento identitario del popolo rom, che promosse il primo Congresso mondiale celebrato a Londra proprio nell’aprile del 1971, al quale segui l’istituzione dell’associazione internazionale “Romani Union”, riconosciuta dall’Onu nel 1979. Le stesse Nazioni Unite proclamavano, nel 1990, la Giornata internazionale dei rom, sinti e camminanti, scegliendo la data dell’8 aprile, in ricordo di quel primo evento fondativo.
La resistenza dei rom
“Dalla mia esperienza, posso dire di essere impressionata dalla determinazione dei giovani rom a creare organizzazioni e reti nazionali e internazionali, a creare legami nei nostri Stati membri e a incoraggiarci, questo è molto lodevole, a riconoscere e non dimenticare i rom vittime dell’Olocausto e la resistenza dei rom”. Lo ha affermato Marija Pejčinović Burić, segretario generale del Consiglio d’Europa, alla vigilia della Giornata internazionale dei rom, sinti e camminanti. “Negli anni Trenta e Quaranta dello scorso secolo - prosegue -, rom e nomadi furono condannati allo sterminio. Dal Baltico ai Balcani, le forze fasciste li hanno giustiziati a centinaia di migliaia. In Germania, solo poche migliaia di sinti e rom sono sopravvissuti all’Olocausto ed ai campi di concentramento. Eppure la questione del massacro dei rom non è stata nemmeno sollevata durante i processi di Norimberga”.
Le parole del Papa
Il primo Papa ad incontrare il popolo rom fu . “Voi siete nel cuore della Chiesa – disse in quell’occasione Papa Montini - perché siete soli: nessuno è solo nella Chiesa; siete nel cuore della Chiesa, perché siete poveri e bisognosi di assistenza, di istruzione, di aiuto; la Chiesa ama i poveri, i sofferenti, i piccoli, i diseredati, gli abbandonati”. Anche i suoi successori spesero parole simili per queste persone, fino a Papa Francesco che, anche di recente, ha rivolto loro la sua attenzione. Incontrando il 5 giugno del 2014 i partecipanti all’incontro , promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, Francesco ha incoraggiato quanti si impegnano “in favore di chi maggiormente versa in condizioni di bisogno e di emarginazione, nelle periferie umane”. “Spesso gli zingari - ha detto il Papa - si trovano ai margini della società, e a volte sono visti con ostilità e sospetto. Io ricordo tante volte, qui a Roma, quando salivano sul bus alcuni zingari, l'autista diceva: “Attenti ai portafogli”! Questo è disprezzo”. Durante il , il Papa ha espresso un augurio speciale per “i membri di questi antichi popoli”: “pace e fratellanza”. Il Santo Padre ha anche auspicato che la giornata a loro dedicata “favorisca la cultura dell’incontro, con la buona volontà di conoscersi e rispettarsi reciprocamente”. “È questa la strada - ha aggiunto il Pontefice - che porta a una vera integrazione”. Infine in Vaticano. In quell'occasione Francesco invitò i partecipanti a "combattere il rancore", quindi ammonì dal parlare della gente con gli aggettivi. "Non diciamo questa è una persona, questa è una mamma, questo è un giovane prete, ma questo è così, questo è così. Mettiamo l’aggettivo. E questo distrugge, perché non lascia che emerga la persona. Questa è una persona, questa è un’altra persona, questa è un’altra persona. I bambini sono persone. Tutti. Non possiamo dire: sono così, sono brutti, sono buoni, sono cattivi. L’aggettivo è una delle cose che crea distanze tra la mente e il cuore".
Non sono un disagio
"Ero presente a quel bellissimo incontro del maggio 2019, ricordo la gioia e l'emozione di tante persone rom", afferma Federica Mancinelli, coordinatrice del servizio per il diritto allo studio dei minori rom della Comunità di Sant'Egidio. Nell'intervista a Pope, sottolinea come sia "davvero fondamentale non identificare le persone con gli aggettivi", così come è importante "lavorare su quel rancore che potrebbe emergere, spesso legato ai ghetti in cui, di fatto, si vive".
"Il pregiudizio più grande - prosegue - è nell'identificare queste persone con un disagio. Loro non sono questo, ma molto di più. Loro sono cultura, storia, tradizioni. Un pregiudizio talmente sbagliato che a volte le persone rom che vivono in case, in condomini non vengono riconosciute come tali".
Il diritto allo studio
Garantire il diritto allo studio dei minori rom è uno dei servizi su cui lavora la Comunità di Sant'Egidio. "C'è tanto da fare, ma i primi frutti si vedono! Sono numerosi i professori, i dirigenti scolastici che operano affinchè questi bambini, questi ragazzi frequentino la scuola". Una missione che per certi versi assume ancora più valore in tempo di pandemia. "Io vivo a Roma, qui già con il primo lockdown si è fatto tanto per garantire ai minori rom il diritto allo studio". Al di là del momento emergenziale che stiamo vivendo, "spesso - conclude Mancinelli - il primo compito consiste nel far sì che questi studenti non diventino invisibili, ma si conoscano le loro storie, la loro presenza, i diritti".
La pastorale degli zingari
L’evangelizzazione degli zingari è una “missione di tutta la Chiesa, perché nessun cristiano dovrebbe rimane indifferente di fronte a situazioni di emarginazione in relazione alla comunione ecclesiale”. È quanto si sottolinea nel documento “Orientamenti per una pastorale degli zingari”. Il patrono della popolazione rom è il beato Zefirino Giménez Malla, terziario francescano, fucilato nel 1936 durante la Guerra civile spagnola e gettato in una fossa comune per aver difeso un prete e il suo Rosario. Durante la cerimonia di beatificazione, il 4 maggio del 1997, San Giovanni Paolo II ha indicato in Zefirino un modello da seguire: “La sua vita - ha detto - dimostra che Cristo è presente nei diversi popoli e razze e che tutti sono chiamati alla santità”.
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