Il dovere di ricordare a 76 anni dal genocidio dei Rom e dei Sinti
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Sono passati 76 anni dal "Porajmos", il genocidio dei Rom e dei Sinti avvenuto per mano nazista. Una pagina di storia che spesso si dimentica ma nella quale si ritrovano parole di dolore e di ingiustizia; una pagina che va ricordata per fare memoria. Nella notte tra il 2 e il 3 agosto, venne smantellato lo “Zigeunerlager”, il campo degli zingari di Auschwitz-Birkenau. Nelle camere a gas finirono circa 4mila persone, in gran parte donne e bambini. Una persecuzione che viene ricordata, dal 2015, con una Giornata istituita dal Parlamento Europeo.
Per non dimenticare
“Un futuro migliore – ha detto ieri la Segretaria Generale del Consiglio d'Europa, Marija Pej?inovi? Buri?, ricordando quanto accaduto - può essere costruito solo su una solida comprensione del passato". In Italia, a partire dalle 16, si terrà una diretta Facebook sul sito dell’Unar, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali presso la Presidenza del Consiglio. Si tratta di “Un Viaggio Virtuale nella Storia e nell’Antiziganismo” con la possibilità di una visita on line ad Auschwitz-Birkenau. Sono previste testimonianze di sopravvissuti e collegamenti con le comunità sinti e rom dai luoghi di memoria e internamento italiani.
Il perdono chiesto dal Papa
Papa Francesco nel corso del suo Pontificato si è fatto più volte voce di coloro che ha definito “i più vulnerabili”, esortando a lavorare per “l’integrazione e la promozione della persona”, sradicando i pregiudizi perché “nessuno si deve sentire isolato, nessuno è autorizzato a calpestare la dignità e i diritti degli altri”. Un’attenzione importante per queste comunità culminata con , per “il peso delle discriminazioni, delle segregazioni e dei maltrattamenti subiti” anche da parte dei cattolici.
Chiedo perdono - in nome della Chiesa al Signore e a voi - per quando, nel corso della storia, vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata, con lo sguardo di Caino invece che con quello di Abele, e non siamo stati capaci di riconoscervi, apprezzarvi e difendervi nella vostra peculiarità. A Caino non importa il fratello. È nell’indifferenza che si alimentano pregiudizi e si fomentano rancori.
L’impegno di Sant’Egidio
La Comunità di Sant’Egidio è una delle realtà più attive sul fronte dell’integrazione, impegnata soprattutto nella scolarizzazione dei bambini rom. La pandemia ha fortemente penalizzato questi piccoli che non hanno a disposizione pc o tablet. Da qui l’idea di “Summer School” per non lasciare indietro nessuno. La coordinatrice è Alexia Paolino:
R. - Il 2 agosto del "44 è successa una cosa terribile ad Auschwitz. Sono morte più di 4mila persone, uccise nei campi di sterminio, nelle camere a gas. Rom e tendenzialmente bambini e donne. Una memoria molto dolorosa, però è importante ricordare perché non dobbiamo mai abbassare la guardia. Nel senso che molto spesso si riscontrano degli atteggiamenti razzisti e discriminatori ed è bene ricordarsi di non usare mai parole violente, parole di disprezzo nei confronti degli altri o comportamenti di fatto razzisti. Tra l'altro ancora oggi il popolo Rom è composto prevalentemente da bambine, da giovani e quindi devono ancora essere aiutati nell'integrazione soprattutto scolastica anche sanitaria e abitativa.
La storia di questo popolo è segnata dalla discriminazione, dalla persecuzione e da una difficoltà nel processo di integrazione. Quale l'esperienza della Comunità di Sant'Egidio? Quali le vie da suggerire?
R. – Io posso raccontare la mia esperienza. In realtà, conoscendo sempre meglio i bambini e i giovani Rom, andando al campo di Castel Romano, che si trova al venticinquesimo km della Pontina, ho scoperto una grande voglia di integrazione innanzitutto attraverso le Scuole della pace, che sono dei centri pomeridiani dedicati al sostegno scolastico ma anche alla crescita culturale e umana dei minori. Ho riscontrato una grandissima voglia di conoscere, proprio una sete di imparare. Penso ai tanti bambini che quando arrivo al campo in bici mi corrono incontro, mi abbracciano e mi chiedono i compiti, i quaderni, le penne, le matite. Si preoccupano per la scuola. Ecco questo è molto toccante. Tra l'altro un altro aspetto a cui tengono molto è l’aiuto alle persone che si trovano in difficoltà, in questo c’è una grossa sensibilità. L’aiuto specialmente verso gli anziani. Prima del Covid, della quarantena, un bel gruppo di ragazzi Rom delle medie, sempre del campo di Castel Romano, una volta al mese aiutavano a preparare un pranzo per gli anziani in difficoltà del quartiere Laurentino. Poi come perfetti camerieri servivano il cibo, con molta serietà e, alla fine, ascoltavano con molta pazienza le storie degli anziani, le esperienze della loro vita e gli anziani tornavano a casa felici. In questo modo i ragazzi si sentono molto incoraggiati, utili, si sentono importanti e questo è un legame che fa bene a tutti. E certo in questo tempo di Covid, i ragazzi sono stati molto in pensiero per gli amici anziani, molto impauriti dagli anziani che sono morti negli istituti e quindi è molto bello vedere i ragazzi rom aiutare gli anziani italiani e questi lasciare ogni pregiudizio e voler bene a loro, guardarli in faccia e riconoscere questi ragazzi come loro nipoti.
Un'esperienza importante è quella della Summer School a Castel Romano, uno dei campi rom di Roma. Come nasce questa iniziativa? E quanto la pandemia ha inciso nella scolarizzazione - altro aspetto problematico - di tanti bambini rom?
R. - Diciamo che l'esperienza nasce nel 2016 perché appunto Castel Romano era completamente abbandonato, era un campo conosciuto solo per dei tristissimi fatti di cronaca. Allora facemmo un censimento e soltanto il 30% dei bambini frequentava la scuola. Tra l'altro nel 2016 l'iscrizione alla scuola era solo on-line, quindi i genitori non sapevano proprio come iscrivere i loro figli, si rischiava che tutta una generazione di minori Rom non andasse a scuola. Grazie a Sant'Egidio non è stato così, abbiamo iscritto allora tutti i minori e riportato tutti i bambini a scuola. Ovviamente, c’era bisogno di recuperare il tempo perso e quindi da allora, per due mesi all'anno, dal lunedì al venerdì, si studia. I bambini non si stancano, perché imparare è un po' come un riscatto sociale, significa non essere sempre gli ultimi a scuola, significa far bella figura, imparare a esprimersi, anche a riuscire a dire quello che provano. Ricordo che 4 anni fa Valentina mi disse che era tempo perso e che non sarebbe riuscita ad imparare. Ora Valentina è iscritta al primo anno delle medie. Abbiamo i primi 6 ragazzi che frequentano le superiori nelle scuole professionali. E’ un progresso enorme. Ovviamente il lockdown ha reso tutto più difficile, e non solo per la mancanza di device, ma anche per la difficoltà di connettersi alle reti in questa zona del campo che è all'interno di una riserva naturale. Ho visto ragazzi, ad esempio, sforzarsi di leggere i compiti sui telefonini, cercando di fare il prima possibile per poter restituire il cellulare al papà che doveva andare a lavorare. Come diceva don Milani: “Non c'è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali”. Questo significa che c'è ancora tantissimo bisogno di studiare, c'è bisogno di recuperare e quindi per tutti 167 bambini ora presenti al campo, c'è la possibilità di farlo in turni nella Summer School ma soprattutto è bello poter ridare loro le parole la capacità di espressione. Fabrizio in un tema ha scritto: “Io la vita che voglio è una casa con l'acqua - perché spesso al campo non c'è acqua corrente - una macchina, dei vestiti, poter andare al supermercato e regalare un orologio a papà, cioè voglio una vita normale”. Ecco io sinceramente spero che questi ragazzi abbiano più di una vita normale, una vita completamente integrata, felice e anche utile alla società.
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