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La riconciliazione della Libia deve passare per l’Europa

Tra tutti gli attori coinvolti nel conflitto libico, l’Europa spicca come la grande assente. Dopo i tentativi di dialogo avviati con la Conferenza di Berlino e l’interruzione dell’iniziativa ONU per tentare una mediazione tra le parti in guerra, cresce l’urgenza di affrontare l’emergenza umanitaria

Stefano Leszczynski – Città del Vaticano

L’appello di Papa Francesco, domenica scorsa all',  ad un’assunzione di responsabilità da parte della comunità internazionale per riportare la pace in Libia, stigmatizza le ingerenze esterne nel conflitto. Il caos libico sembra sempre più condizionato dai numerosi attori che si sono schierati alle spalle dei due principali contendenti per il controllo del paese: il generale Haftar e il presidente al-Serraj. Il conflitto anarchico in corso ha conseguenze spaventose sul piano umanitario con decine di migliaia di profughi interni e ricadute crudeli sulle migliaia di migranti bloccati nel paese nordafricano e alla mercé dei trafficanti.

Una guerra per procura

Arturo Varvelli, direttore dell’European Council of Foreign Relations di Roma, commentando le ultime iniziative diplomatiche tra Russia e Turchia, definisce il conflitto libico come una vera e propria guerra per procura. “Il ruolo degli attori esterni si è reso sempre più evidente dal momento in cui questi si incontrano sostanzialmente senza considerare le dinamiche interne libiche. Questo è un fattore sempre più preoccupante, anche perché non è credibile che due sole  potenze,  seppure altamente coinvolte come lo sono la Russia e  la Turchia siano in grado di porre fine a questo conflitto:

 

Nonostante siano ancora considerati i due principali referenti  da  parte  della  comunità  internazionale, perché  né Haftar, né  al-Serraj, riescono ad  avere  la  capacità di garantire l'esistenza di uno Stato libico unitario e autonomo?    

R. -Dalla caduta di Gheddafi nel 2011 si  è perso il 'monopolio' dell'uso  della  forza e nessuno è riuscito a ricostruirlo. Il risultato sono due coalizioni, una nell'Ovest del paese e una nell'Est, che vantano una sorta di legittimità. Siamo in un limbo da un punto di vista giuridico, perché  il Governo  di Unità  Nazionale  presieduto  da al- Serraj sarebbe il governo legittimo, ma non ha ancora incassato l’'approvazione del Parlamento di Tobruk, che sta dall'altra parte e che è ugualmente legittimo. E oltretutto queste due coalizioni al proprio interno sono tutt'altro che unite.  A questo si è da poco aggiunta anche l'alternativa che sta emergendo nelle ultime settimane che è quella di Aguila Saleh, in quanto presidente del Parlamento di Tobruk.

Ci sono spazi per avviare una nuova iniziativa diplomatica sulla Libia? Chi dovrebbe guidarla?

R. - Quella che sta mancando in queste settimane e in questi ultimi mesi è proprio una risposta europea nella sua interezza, ma anche dei singoli soggetti come la Francia, l'Italia, che hanno avuto posizioni molto diverse sulla questione libica in passato, e che ora potrebbero essere meno divergenti. La presenza turca inquieta molto i francesi in Libia,     ma certamente preoccupa anche  l'Italia. Si tratta però di uscire da una   sorta di neutralità passiva che l'Europa ha tenuto - e l'Italia in particolare - nell'ultimo periodo. Va bene essere neutrali, essere equidistanti, ma bisogna essere attivi. Bisogna in qualchemaniera  avere la capacità di parlare sui due fronti e avere iniziative politiche intelligenti. Il semestre europeo che si apre a guida tedesca potrebbe in  qualche misura facilitare  una nuova azione dell'Europa.

Di  cosa  ha  bisogno  la  Libia  per  sperare  di  arrivare  a  un  processo  di  riconciliazione?

R. - La Libia ha bisogno di un vero confronto con sé stessa, ha bisogno di essere in qualche maniera isolata dalle pressioni esterne. I libici hannobisogno di un confronto, di un momento di nation building e di state  building  e  se  si procrastina  questo  periodo  noi  continueremo  ad  alimentare il conflitto.

Ci sono degli interlocutori validi in questo senso in Libia?  

R. - Penso di sì e penso che l'anno scorso prima dell'attacco di Haftar  alla capitale le Nazioni Unite con Ghassam Salamé stavano operando bene, avevano trovato dei referenti importanti che erano disponibili a  mettersi attorno a un tavolo. Quindi bisogna riprendere quel percorso e  L'Europa dovrebbe avere una voce più consistente in questa in questa prospettiva.

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16 giugno 2020, 10:21