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Sempre più armi verso il Medio Oriente. Simoncelli: trend ancora in crescita

Il nuovo rapporto dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace (Sipri) rivela un aumento delle vendite di armi a livello mondiale del 5,5% tra il 2015 e il 2019. Le importazioni nei Paesi mediorientali sono cresciute del 61%

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Le vendite di armi verso il Medio Oriente sono salite in modo esponenziale negli ultimi cinque anni. Lo denuncia un rapporto pubblicato oggi dall’Istituto internazionale di ricerca sulla pace, Sipri, che parla di un aumento delle vendite a livello mondiale del 5,5% nel periodo 2015 - 2019 e di una crescita delle importazioni nei Paesi mediorientali del 61%. Il mercato delle esportazioni è ancora dominato dagli Stati Uniti, davanti a Russia, Francia, Germania e Cina. “Stiamo purtroppo seguendo un trend in crescita, che è iniziato circa 20 anni fa, addirittura da prima dell'attacco alle Torri Gemelle nel 2001”, spiega a Pope Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo. “Un incremento delle spese militari mondiali - aggiunge - è stato registrato già alla fine degli anni Novanta ed è andato crescendo costantemente dal 2000 in poi. Il dato nuovo - nota - è che in realtà questo è un settore che sta andando a gonfie vele nonostante la crisi economica internazionale che molti Paesi stanno vivendo” (Ascolta l'intervista a Maurizio Simoncelli).

Guerre in Siria, Yemen, Iraq, Libia

In particolare il Medio Oriente, un'area percorsa già da conflitti e profonde instabilità, “si sta posizionando come il maggiore importatore a livello globale: più di un terzo delle esportazioni mondiali di armamenti” è indirizzata alla regione: “questo non è casuale, è legato alle situazioni di conflitto permanente che ci sono in Siria, nello Yemen, ma anche in Iraq per non parlare del Nord Africa, quindi in Libia ed Egitto”.

L’Arabia Saudita

L’altro dato che emerge dallo studio del Sipri di Stoccolma è quello che riguarda l’Arabia Saudita, un Paese che è diventato il più grande importatore di armi al mondo con volumi in crescita del 130%. “Il volume di acquisti dell'Arabia Saudita è davvero elevato e gran parte delle esportazioni verso questo Paese è fatta dagli Stati Uniti, seguiti dalla Gran Bretagna: il 73% delle importazioni in Arabia Saudita proviene dagli Stati Uniti, il 13% dalla Gran Bretagna. Ciò sta a dimostrare il ruolo militare che vuole assumere questo Paese mediorientale che, come sappiamo, è già impegnato nella guerra in Yemen”. Tali dati come possono allora coniugarsi, si chiede l’Istituto Sipri, contro la “diffusa preoccupazione” internazionale per l'intervento militare in Yemen? “È un interrogativo – nota Simoncelli - che tutti ci poniamo. Da un lato le dichiarazioni ufficiali sono a favore di una riduzione della conflittualità, della guerra e del rispetto dei diritti umani. Ma contemporaneamente assistiamo ad un afflusso di armi che ovviamente spinge in tutt'altra prospettiva. Posso dare qualche dato: nel quinquennio 2003 - 2007 il Medio Oriente riceveva il 2% delle esportazioni mondiali, in quello successivo è arrivato al 17%, tra il 2013 e il 2018 è arrivato al 35%, fino alle percentuali odierne”.

L’area europea

“Gli Stati Uniti - fa osservare il vicepresidente di Archivio Disarmo - continuano ad essere grandi esportatori di armi, ma ci sono anche altri Paesi dell'area europea che lo sono, come il Regno Unito ma pure la Francia, l'Italia, la Germania”. Per quanto riguarda l’Italia, pur se i dati a livello europeo arrivano con “due anni di ritardo” rispetto alle rilevazioni, risulta che “nel 2017 era al secondo posto dopo la Francia”, riferisce.

I Trattati internazionali

A pochi anni dal raggiungimento del Trattato per la proibizione delle armi nucleari del 2017 Papa Francesco, nel novembre scorso a Hiroshima, ha definito immorali l’uso e il possesso delle armi nucleari. Per le armi cosiddette convenzionali c'è un altro documento internazionale adottato dall’Assemblea Generale dell’Onu nel 2013, il Trattato sul commercio delle armi (Att), che funge da strumento giuridico in cui si stabiliscono i criteri per l’autorizzazione o la proibizione dei trasferimenti di tali armi. “Dal Trattato adottato nel 2013 - fa notare Simoncelli - sono però fuori, o perché sia stato firmato e non ratificato o perché non sia stato proprio firmato, i principali produttori di armi: gli Stati Uniti lo siglarono con Barack Obama ma poi il documento non è stato ratificato, Russia e Cina non lo hanno firmato”. “Ci sono poi - evidenzia - norme a livello europeo. E in Italia abbiamo la legge 185 del "90 che vieta l’esportazione di armi in Paesi in guerra e che non rispettano i diritti umani”, ma - prosegue - queste condizioni vengono superate “nel momento in cui ci sono degli accordi di cooperazione militare, che l’Italia ha sottoscritto con circa 50 altri Paesi non facenti parte né della Nato né dell’Unione Europea”.

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09 marzo 2020, 15:47