Il Papa ad Hiroshima: immorali l’uso e il possesso delle armi nucleari
Giada Aquilino - Città del Vaticano
In mezzo alle “numerose nubi” che oscurano il cielo del nostro tempo, leviamo il grido: “Mai più la guerra, mai più il boato delle armi, mai più tanta sofferenza”, l’uso dell’energia atomica a scopi bellici è “immorale”, così come lo è il “possesso” di armi nucleari. Dal Memoriale della Pace di Hiroshima, costruito lì dove 74 anni fa esplose la bomba atomica provocando all’istante 80 mila morti, poi dolorosamente aumentati negli anni, il tributo di Papa Francesco alle vittime di quel 6 agosto 1945 si fa tutt’uno con la testimonianza di chi, sopravvissuto all’immane tragedia, ha sopportato con “forza” e “dignità”, sottolinea il Pontefice, “le sofferenze più acute” nel corpo e “i germi della morte” nell’anima (Ascolta il servizio con la voce del Papa).
Qui, di tanti uomini e donne, dei loro sogni e speranze, in mezzo a un bagliore di folgore e fuoco, non è rimasto altro che ombra e silenzio. Appena un istante, tutto venne divorato da un buco nero di distruzione e morte.
Le testimonianze
Nel corso dell’Incontro per la pace, quando è già buio, a prendere la parola poco prima di fronte al Papa e a 1.300 persone, tra fedeli, leader religiosi e altri sopravvissuti visibilmente toccati dall’abbraccio di Francesco, è stata Yoshiko Kajimoto, 88 anni, mentre Kojí Hosokawa, 91, ha inviato un messaggio letto alla cerimonia. L’una ha proiettato nei cuori e nelle menti dei presenti la “scena infernale” di “persone che camminavano fianco a fianco come fantasmi”, il cui corpo - testimonia - “era così bruciato” da non poter distinguere se fossero uomini o donne. L’altro ha spiegato come le bombe atomiche siano state sganciate “non su Hiroshima e Nagasaki, ma su tutta l’umanità”. Entrambi provati dalle malattie, derivate da quanto accaduto, e dall’età, entrambi chiari nel dire esattamente a quanta distanza si trovassero dal luogo in cui cadde l’ordigno - 2,3 km e 1,3 km - ed entrambi sicuri che l’impegno di trasmettere l’esperienza di Hiroshima ai giovani sia “l’ultima missione” affidata loro.
Un crimine contro il nostro futuro
Il Papa saluta e ringrazia commosso, dopo un momento molto intenso di raccoglimento e silenzio davanti al Memoriale, la deposizione di una composizione di fiori bianchi, l’accensione di un cero e i rintocchi di una campana. Quindi, nel , constata quanto sia importante “ricordare, camminare insieme, proteggere”: serbare, cioè, “di generazione in generazione” una memoria “viva” di quanto accaduto, “stimolo” per un futuro di pace, “più giusto e fraterno”, ricordo capace di risvegliare “le coscienze di tutti, specialmente di coloro “che oggi svolgono un ruolo speciale per il destino delle nazioni”. Francesco vuole farsi voce “di coloro la cui voce non viene ascoltata” ma che guardano con inquietudine e angoscia “le crescenti tensioni” di oggi, le “inaccettabili disuguaglianze e ingiustizie” che minacciano la convivenza umana, la “grave incapacità” di aver cura della casa comune, il ricorso “continuo e spasmodico” alle armi, come se queste - nota - “potessero garantire un futuro di pace”.
Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo.
Un abisso di dolore
Il riferimento del Papa è all’ del 2017 ai partecipanti al convegno “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”, in cui disse come sia da “condannare con fermezza” l’uso degli ordigni nucleari così come il “loro stesso possesso”, concetti ribaditi pure quello stesso anno nella conferenza stampa sul dal Bangladesh. Il Pontefice si domanda quindi come si possa parlare di pace mentre si costruiscono “nuove e formidabili armi di guerra” e si giustificano “determinate azioni illegittime con discorsi di discriminazione e di odio”. Francesco cita la di Giovanni XXIII, il magistero di San Paolo VI e anche il Concilio Vaticano II per ricordare che la pace “si costruisce secondo la giustizia”, è “vivificata e completata dalla carità” e si realizza “nella libertà”, senza “imporre agli altri i propri interessi particolari” e lasciando “che le armi cadano dalle nostre mani”.
Come possiamo proporre la pace se usiamo continuamente l’intimidazione bellica nucleare come ricorso legittimo per la risoluzione dei conflitti? Che questo abisso di dolore richiami i limiti che non si dovrebbero mai oltrepassare. La vera pace può essere solo una pace disarmata.
Fratelli in un destino comune
Siamo dunque chiamati a camminare “uniti”, prosegue Francesco, con uno sguardo di comprensione e di perdono.
Apriamoci alla speranza, diventando strumenti di riconciliazione e di pace. Questo sarà sempre possibile se saremo capaci di proteggerci e riconoscerci come fratelli in un destino comune. Il nostro mondo, interconnesso non solo a causa della globalizzazione ma, da sempre, a motivo della terra comune, reclama più che in altre epoche che siano posposti gli interessi esclusivi di determinati gruppi o settori, per raggiungere la grandezza di coloro che lottano corresponsabilmente per garantire un futuro comune.
Venga la pace!
Quindi a “nome di tutte le vittime dei bombardamenti, degli esperimenti atomici e di tutti i conflitti”, il Papa esorta i presenti ad elevare insieme un grido.
Mai più la guerra, ma più il boato delle armi, mai più tanta sofferenza! Venga la pace nei nostri giorni, in questo nostro mondo. O Dio, tu ce l’hai promesso: “Amore e verità s’incontreranno. Giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo”.
Un’ora tremenda che segnò l’umanità
Confida di aver sentito il “dovere” di visitare il Memoriale, “crocevia di morte e di vita, di sconfitta e di rinascita, di sofferenza e di pietà”.
Da quell’abisso di silenzio, ancora oggi si continua ad ascoltare il forte grido di coloro che non sono più. Provenivano da luoghi diversi, avevano nomi diversi, alcuni di loro parlavano diverse lingue. Sono rimasti tutti uniti da uno stesso destino, in un’ora tremenda che segnò per sempre non solo la storia di questo Paese, ma il volto dell’umanità.
I poveri, vittime indifese
Ecco perché ad Hiroshima Francesco porta “anche le suppliche e le aspirazioni degli uomini e delle donne del nostro tempo, specialmente dei giovani”, che desiderano, lavorano e si sacrificano per la pace.
Sono venuto in questo luogo pieno di memoria e di futuro portando con me il grido dei poveri, che sono sempre le vittime più indifese dell’odio e dei conflitti.
Una storia diversa
Sul libro d’onore il Papa, ricordando le sofferenze di quel “terribile giorno” della storia della terra giapponese, scrive un’invocazione al “Dio della vita” affinché converta i cuori “alla pace, alla riconciliazione e all’amore fraterno”. La preghiera finale - prima del rientro a Tokyo - è perché, dove “abbondò” la distruzione, possa oggi “sovrabbondare la speranza che è possibile scrivere e realizzare una storia diversa”.
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