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La processione d'ingresso da piazza san Pietro di Giovanni XXIII e dei vescovi, per la Messa di apertura del Concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962 La processione d'ingresso da piazza san Pietro di Giovanni XXIII e dei vescovi, per la Messa di apertura del Concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962 

Il Vaticano II 60 anni dopo. Bettazzi: evoluzione ecclesiale da applicare pienamente

Il vescovo emerito di Ivrea, 99 anni tra un mese, unico padre conciliare italiano vivente, ricorda le parole di Giovanni XXIII all’apertura del Concilio: “Non vogliamo cambiare verità della fede. Siamo noi che cambiamo nel capirle e nell'attuarle meglio”. E il Sinodo può mettere al centro “la responsabilità di ogni battezzato nella Chiesa”

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

La mattina dell’11 ottobre di sessant’anni fa, quando Papa Giovanni XXIII aprì in San Pietro il Concilio Vaticano II con una Messa solenne, iniziata con la lunga processione di duemila vescovi, monsignor Luigi Bettazzi non era con loro. Il vescovo emerito di Ivrea, ultimo padre conciliare italiano vivente, 99 anni il 23 novembre, che ci risponde senza filtri e con voce ferma al telefono da Albiano d’Ivrea, iniziò a partecipare ai lavori dalla seconda sessione, a fine settembre 1963, da giovane vescovo ausiliare di Bologna, nominato da meno di un mese.

Non una rivoluzione, ma certo una forte evoluzione

Ma oggi con lucidità ricorda a Pope quello che disse Papa Roncalli il primo giorno del Concilio: “Non vogliamo cambiare verità della fede. Siamo noi che cambiamo nel capirle e nell'attuale meglio”. Non una rivoluzione, quindi, ma certo “una forte evoluzione” per la Chiesa. Ancora da completare, certo, anche nel documento più bello, la , che ha messo la Bibbia “nella mano di tutti”, perché ancora “si esita a farla diventare il punto di partenza per la vita dei cristiani”. O nella , quando proclama che “ogni battezzato è Chiesa”, perché “ancora c’è molto clericalismo”.

Monsignor Luigi Bettazzi (a destra), 40.ne padre conciliare, con l'arcivescovo di Westminster John Heenan
Monsignor Luigi Bettazzi (a destra), 40.ne padre conciliare, con l'arcivescovo di Westminster John Heenan

Il Patto delle catacombe e la Chiesa dei poveri

Monsignor Bettazzi, che vuol essere chiamato “padre”, come firmatario del Patto delle catacombe per una “Chiesa dei poveri”, consegnato a Paolo VI a fine Concilio con le sigle di 500 vescovi, sottolinea che l’attuazione di quel documento è nell’”attenzione agli scartati” di Papa Francesco. E che la sinodalità al centro del Sinodo in corso, “è l’allargamento della collegialità” voluta dal Concilio, per “la responsabilità di ogni battezzato nella vita della Chiesa”.

L'appello del Papa che fermò Usa e Urss davanti al baratro

Gli chiediamo anche dell’impegno della Chiesa per la pace, a quasi 60 anni dall’appello, ascoltato, di Giovanni XXIII ai capi di Usa e Urss, di fermarsi davanti al baratro della guerra atomica. Che permise a Kennedy e Krusciov “di evitare una guerra che non volevano fare, salvando la faccia”. Non so, ci dice, “in che misura Russia e Ucraina vogliano salvarsi la faccia” ascoltando il Papa “o vogliano solo vincere”. Ecco l'intervista completa.

Ascolta l'intervista a monsignor Luigi Bettazzi sul Concilio

Guardando oggi al Concilio Vaticano II, possiamo parlare per la Chiesa di allora di una rivoluzione o di un'evoluzione?

La rivoluzione vorrebbe dire cambiare tutto. Nella Chiesa è sempre un’evoluzione, ma è stata una forte evoluzione. Diceva Papa Giovanni all'inizio del Concilio: “Non vogliamo cambiare le verità della fede. Siamo noi che cambiamo nel capirle e nell'attuarle meglio”.

Guardiamo ai singoli documenti del Concilio. Qual' è per lei, se è possibile fare una “classifica“, il più importante? E quali i meno attuati? Il Papa stesso ha scritto, anche pochi giorni fa, che il Concilio non è stato ancora interamente compreso, vissuto e applicato…

Per fare una classifica, io metterei in primo piano le quattro costituzioni. Perché tre sono dichiarazioni su punti anche importanti, nove di carattere più pratico, su cosa devono fare i preti e i laici, ma in tutti i Concili importanti sono le costituzioni. E le quattro costituzioni segnano sia che cosa si è sviluppato e che cosa si è fermato. Per esempio, la prima sulla Parola di Dio (, n.d.r.): certo, prima non si leggeva la Bibbia, era quasi proibito, perché “si diventava protestanti”, mentre adesso è nella mano di tutti. Però ancora si esita a farla diventare veramente il punto di partenza della comprensione e dell'attività dei cristiani. La Liturgia (, n.d.r): certo che c'è stato un forte sviluppo. Da rito esterno si è capito che è la preghiera del Popolo di Dio insieme a Gesù Cristo. Però si esita ancora, e rivivono ancora i rimpianti della liturgia di una volta, perché sembra che fosse in più devota e più sacra. Sulla Chiesa (, n.d.r.): la Chiesa è stata rivoluzionata. Più che società perfetta con la gerarchia e sotto il laicato, la Chiesa è il Popolo di Dio, ogni battezzato è Chiesa. La gerarchia c’è, ma al servizio del Popolo di Dio, dei cristiani. Ma ancora c’è molto clericalismo. Non pariamo della , sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, che dovrebbe essere la Chiesa che si sente per tutti e che lanciava perfino appelli per la pace, e dove c'è l'unica scomunica del Concilio (che fu un concilio pastorale, non dogmatico, che vorrebbe invece dire: questi sono i dogmi, chi non sta è scomunicato. Pastorale, invece, è per incoraggiare a capire e ad accogliere le verità), quella per la guerra totale, che coinvolge tutte le popolazioni civili. Ecco anche lì c'è ancora invece molto il dire: prima noi e poi gli altri. Quindi c'è una difficoltà a capirlo fino in fondo, a viverlo e ad applicarlo.

Monsignor Luigi Bettazzi in una foto recente
Monsignor Luigi Bettazzi in una foto recente

Lei, in una precedente intervista, ha detto che la Sacrosanctum Concilium è il documento più applicato, ma sulla liturgia sono mancate forti polemiche e tentativi di passi indietro. Come conciliare tradizione e modernità?

Ci vuole la vera comprensione che tradizione non vuol dire bloccare, fare tutto come si è fatto in passato. “Tradere” in latino vuol dire trasmettere: la tradizione è, come diceva Papa Giovanni, mantenere le verità, ma cercare di capirle e di attuarle meglio. Per la liturgia, quanta voglia c’è di ritornare all'antico! Perché la Messa di prima, per esempio, era più clericale, detta in latino. E allora  bisogna insistere, come fa il Papa con diversi decreti sulla liturgia, per far capire che sì, se qualcuno proprio ancora, soprattutto anziano, vuol dire la sua Messa in latino, lo faccia, ma deve essere una grossa eccezione, e per la gente, che non sa il latino, deve essere invece vissuta una Messa partecipata, non assistita come quando si va a teatro.

Lei è stato tra i primi firmatari del “Patto delle catacombe” per una Chiesa dei poveri, firmato poi da 500 Vescovi nel 1965…

Fu un incontro occasionale, promosso dal collegio belga. Nelle catacombe eravamo in 42, io ero l'unico italiano, ma poi ci siamo impegnati a far firmare ad altri e al Papa sono andate 500 firme di vescovi, e sarebbero state forse anche di più, se le avessimo cercate. La cosa importante è l'attenzione ai poveri e si diceva che il vescovo deve vivere più semplicemente, nelle abitazioni e mezzi di trasporto. Ma deve essere vicino ai poveri e ai lavoratori manuali, a quelli che soffrono e che sono in difficoltà, contro la tendenza che abbiamo ad essere vicini ai ricchi e potenti, che poi ci garantiscono.

Quanto c'è dei 12 punti di quel Patto, nel magistero e nei gesti di Papa Francesco?

L’attenzione ai poveri, agli scartati, come dice lui, è l'attuazione della Chiesa dei poveri di cui si parlava nel Concilio. Paolo VI esitava, aveva paura che in tempi di guerra fredda sembrasse una cosa un po' troppo politica, e disse: “Della Chiesa dei poveri parlo io”. E fece poi l’enciclica nel 1967, che però è un’enciclica più per la pace che per i poveri.

Monsignor Luigi Bettazzi con Papa Francesco
Monsignor Luigi Bettazzi con Papa Francesco

Una tappa fondamentale del cammino di ricezione dei doni del Concilio, ha scritto sempre da poco Papa Francesco è il Sinodo sulla Chiesa che stiamo vivendo…

Sì, la sinodalità è allargamento della collegialità, cioè la collegialità era l’aprirsi dei vescovi intorno al Papa, la sinodalità è la responsabilità di ogni battezzato nella vita della Chiesa.

Come poter accrescere, secondo lei, la coscienza del popolo di Dio sul fatto di costituire la Chiesa e di esserne soggetto attivo e di evangelizzazione e non elemento passivo?

Io credo che il modo sia quello di fare dei sinodi sinceri: troppe volte noi gerarchia, ai diversi livelli, lo facciamo perché dobbiamo farlo. E rendersi conto che le cose grandi della Chiesa lo Spirito Santo le semina nel Popolo di Dio. Gli ordini religiosi non sono mica stati inventati dai cardinali, e i movimenti perfino da donne con Chiara Lubich. Cioè essere convinti che lo Spirito Santo soffia in tutta la Chiesa e che sì la gerarchia dovrà coordinare e garantire, ma sarà importante ascoltare e poi cogliere quello che lo Spirito Santo ha seminato nel Popolo di Dio.

 

Pochi giorni dopo l'apertura del Concilio, il 25 ottobre, viene diffuso il radiomessaggio di Papa Giovanni XXIII con la sua supplica ai governanti di Stati Uniti d’America e Unione Sovietica, per salvare la pace mondiale minacciata dalla crisi di Cuba. Hai risentito lo stesso spirito nell'appello di Papa Francesco, il 2 ottobre, ai capi di Stato di Russia e Ucraina?

È lo stesso spirito, ma allora Kennedy e Krusciov erano in un vicolo cieco: non volevano fare la guerra ma non potevano più evitarla. E allora l'appello di Papa Giovanni, che li aveva sentiti prima, permise ai due di fermarsi, salvando la faccia. Io non so in che misura la Russia e l'Ucraina vogliono salvarsi la faccia, anche accettando, ovviamente, dei limiti come allora, perché se invece uno o tutti e due vogliono arrivare a vincere, allora non c'è messaggio che tenga.

Lei è stato presidente internazionale di Pax Christi e con don Tonino Bello ha partecipato alla marcia per la pace di Sarajevo nel 1992. Qual è stato il messaggio più forte che ci ha lasciato il vescovo pugliese, che la Chiesa ha dichiarato venerabile a gennaio di quest’anno?

Quello di essere vicini ai poveri. Glielo aveva insegnato la mamma, e lui era tanto legato a lei, che pare che abbia rifiutato due episcopati per non allontanarsi dalla madre. Gli aveva insegnato, lei terziaria francescana, che bisogna essere vicini ai poveri e lui diceva: “La guerra è fatta dai potenti per i potenti e la pace è fatta per tutti, è fatta per i poveri”. Il suo impegno di pace si confermava in questa attenzione ai poveri e anche i giovani, cioè a quelli meno importanti nella vita della Chiesa del suo tempo e nella vita della società.

Ma cosa potrebbero fare oggi i movimenti cattolici per fermare le armi in Ucraina? Forse un'altra marcia della pace, stavolta a Kherson o a Mariupol?

Dovremmo arrivare a farci tutti la mentalità di pace, mentre abbiamo tutti la mentalità della violenza. Dovremmo arrivare a far crescere anche nel popolo cristiano, direi prima di tutti in quello, la mentalità vera della pace contro ogni forma di violenza, come ha fatto Gesù, che per insegnare l'amore ha accettato anche di morire in croce. Poi è risorto ed ha dato lo Spirito Santo perché ci riusciamo anche noi.

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10 ottobre 2022, 13:58