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Rapporto ACS: perseguitati 300 milioni di cristiani

In 38 Paesi del mondo i cristiani e i fedeli di altre confessioni sono discriminati o perseguitati, lo denuncia il XIV rapporto della Fondazione pontificia "Aiuto alla Chiesa che Soffre" presentato oggi a Roma

Marco Guerra – Città del Vaticano

Nel mondo un cristiano ogni sette vive in un Paese dove la persecuzione è una drammatica realtà, per un totale di oltre 300 milioni fedeli che patiscono discriminazioni e persecuzioni. Sono carne e sangue dei nostri fratelli nella fede i numeri diffusi dal XIV rapporto della Fondazione pontificia "Aiuto alla Chiesa che Soffre", presentato oggi a Roma all’Ambasciata italiana presso la Santa Sede.

Cristiani i più perseguitati

Nel rapporto, che prende in esame il periodo che va da giugno 2016 al giugno 2018, emerge infatti che è quella cristiana la comunità di fede che subisce, più di tutte le altre, forme di oppressione e intolleranza. Sono in aumento però anche le violazioni della libertà religiosa di numerose altre confessioni. Lo studio presenta incidenti ed episodi significativi che sono stati raccolti e riferiti grazie al lavoro dei project partner presenti in oltre 150 Paesi del mondo. Il muro dell’indifferenza e del silenzio viene scalfito quindi da casi di conversioni e matrimoni forzati, attentati, rapimenti, distruzione di luoghi di culto e di simboli religiosi, arresti arbitrari, accuse di blasfemia, regolamenti per il controllo sugli affari religiosi e diverse misure per la limitazione del culto pubblico.

Gravi violazioni in 38 Paesi

Lo studio di ACS identifica quindi 38 Paesi in cui si registrano gravi o estreme violazioni della libertà religiosa. 21 di essi sono classificati come luoghi di persecuzione: Afghanistan, Arabia Saudita, Bangladesh, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea, India, Indonesia, Iraq, Libia, Niger, Nigeria, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan e Yemen. 17 invece sono luoghi di discriminazione: Algeria, Azerbaigian, Bhutan, Brunei, Egitto, Federazione Russa, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Laos, Maldive, Mauritania, Qatar, Tagikistan, Turchia, Ucraina e Vietnam.

Situazione peggiorata in molti Stati

La situazione risulta essere peggiorata, durante il periodo in esame, in 17 dei 38 Stati segnalati. In altri – quali Corea del Nord, Arabia Saudita, Nigeria, Afghanistan ed Eritrea – la situazione è rimasta invariata, poiché, secondo la Fondazione pontificia, è così grave da non poter peggiorare. Nel testo si scorgono anche segnali di speranza: un brusco calo delle violenze commesse dal gruppo islamista al-Shabaab ha fatto sì che Tanzania e Kenya, precedentemente  classificati come “Paesi di persecuzione", nel periodo 2016 - 2018 siano rientrati invece nella categoria dei “non classificati”. C’è poi il successo delle campagne militari contro lo Stato Islamico ed altri gruppi iper-estremisti che ha in qualche modo “celato” la diffusione di altri movimenti militanti islamici in regioni dell'Africa, del Medio Oriente e dell'Asia.

Tra fondamentalismo e ultra-nazionalismo

In diversi Paesi la persecuzione è animata e alimentata dal fondamentalismo di matrice islamica, ma un altro “filone” definito “preoccupante” è quello dell’aumento del nazionalismo aggressivo ai danni delle minoranze, e in alcuni casi rivolto contro tutte le fedi religiose, degenerato a tal punto da poter essere definito ultra-nazionalismo.

Il caso dell'India

“Tale fenomeno si è sviluppato in modo diverso a seconda dei Paesi”, si legge ancora nel Volume che indica il caso dell'India come “particolarmente significativo”, poiché rapporto dopo rapporto sono stati evidenziati sempre più atti di violenza ai danni delle minoranze religiose, con motivazioni che chiaramente includono l'odio religioso. Le minoranze sono ritenute – come ha recentemente dichiarato un deputato indiano – “una minaccia per l'unità del Paese”. Tali affermazioni sono indicative di una mentalità nazionalista che identifica lo Stato federale esclusivamente con l'Induismo. Secondo ACS, l’ultra-nazionalismo non si identifica necessariamente con una religione: “Spesse volte infatti si manifesta come una generale ostilità dello Stato nei confronti di tutte le fedi e si traduce in misure restrittive che limitano fortemente la libertà religiosa”. A tal proposto il rapporto ricorda che in Cina negli ultimi due anni, il governo ha adottato nuovi provvedimenti per reprimere i gruppi di fede percepiti come resistenti al dominio delle autorità comuniste.

In Occidente aumenta l'antisemitismo

Infine il Rapporto evidenzia anche delle criticità riscontrate in Occidente. “Il periodo in esame ha visto un aumento dell’antisemitismo in Europa, un fenomeno spesso legato alla crescita dell'Islam militante”, è scritto nel volume, “in Francia, dove la comunità ebraica è la più popolosa d'Europa e conta circa 500.000 appartenenti, vi è stato un picco ben documentato di attacchi antisemiti e di violenze contro centri culturali e religiosi ebraici”. Anche l’avversione nei confronti delle minoranze islamiche ha registrato un forte aumento. Il biennio analizzato ha visto poi un'ondata di attacchi terroristici in Occidente, in particolare in Europa. ACS evidenzia inoltre che “la maggior parte dei governi occidentali non ha provveduto a fornire la necessaria e urgente assistenza ai gruppi di fede minoritari, in particolare alle comunità di sfollati che desiderano tornare a casa nelle rispettive nazioni dalle quali sono stati costretti a fuggire”.

Le presenze alla conferenza stampa di oggi

Alla presentazione del Rapporto erano presenti l’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede Pietro Sebastiani, il presidente di ACS-Italia Alfredo Mantovano, il presidente esecutivo internazionale di ACS Thomas Heine-Geldern e il direttore ACS-Italia Alessandro Monteduro. Sono intervenuti anche il cardinale Mauro Piacenza, presidente internazionale di ACS; mons. Botros Fahim Awad Hanna, vescovo copto-cattolico di Minya (Egitto); Tabassum Yousaf, avvocato dell’Alta Corte del Sindh e difensore delle vittime di persecuzione religiosa (Pakistan) e Marta Petrosillo, portavoce di ACS-Italia.

Tenere alta l’attenzione

Il presidente di ACS-Italia Mantovano ha parlato dell’importanza di tenere alta l’attenzione sulla libertà religiosa perché “l’indifferenza uccide più del terrorismo” e ha sottolineato che il Rapporto incarna la missione di denunciare le persecuzioni ma anche quello di aiutare le Chiese che vivono le discriminazioni.

Libertà religiosa riferimento per tutti i diritti umani

Il cardinale Piacenza ha ricordato che i cristiani hanno contribuito alla corretta maturazione dell'idea di libertà, e hanno avuto un ruolo non solo a livello religioso ma anche storico culturale. “Di fatto la libertà religiosa non è un diritto fra i tanti – ha aggiunto il porporato – è piuttosto una roccia su cui tutti i diritti umani si aggrappano saldamente perché si riferisce alla dimensione trascendente della persona umana”. “Nella libertà religiosa - ha proseguito - ci sono la libertà di pensiero e persino la libertà di distanziarsi dall'elemento religioso”. 

Porre libertà religiosa tra priorità della politica

Il direttore Monteduro è invece tornato sui dati presentati nel volume e ha sottolineato che il 61 % dei cristiani vive in Paesi nei quali la libertà religiosa non è rispettata, e si è rivolto ad “un Occidente analfabeta” chiedendo che la libertà religiosa sia posta tra le priorità della politica internazionale. La conferenza si è chiusa con le testimonianze di mons. Hanna, che ha parlato dell’Egitto, dove la libertà religiosa è stata messa nella Costituzione sebbene nei fatti ci sia ancora molto da fare per una sua piena applicazione, e di Tabassum Yousaf che ha raccontato le drammatiche vessazioni subite dai cristiani in Pakistan.

 

 

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22 novembre 2018, 16:49