Verso San Pietro, sulle orme degli antichi pellegrini
Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
I pellegrini che oggi vogliono recarsi a San Pietro percorrono perlopiù corso Vittorio Emanuele II, una strada lunga e ampia, nata in epoca moderna, subito dopo l’annessione di Roma al Regno d’Italia. La via però non fu tracciata con l’intento di aiutare chi voleva raggiungere la basilica ma quale prolungamento di via Nazionale, per collegare il centro della città, fatto di monumenti ed edifici pubblici, con Prati, nuovo quartiere borghese, del tutto laico, progettato in aperta polemica con lo Stato vaticano, con isolati orientati in modo da oscurare la vista sulla cupola michelangiolesca.
Oggi, dicevamo, i viaggiatori moderni camminano lungo una via trafficata, piena di auto e di rumore: un’atmosfera decisamente lontana da quella più silenziosa delle epoche passate, rotta solo dal vociare dei negozianti, e dal rintocco degli strumenti degli artigiani o degli zoccoli di muli e cavalli che battevano sul selciato.
Una guida per pellegrini e turisti moderni
In compagnia del professor Gianfranco Mosconi, autore del libro, freschissimo di stampa, La Roma del Giubileo. Guida per ripercorrere nella Roma d’oggi le vie e l’immaginario dei pellegrini medievali, edito da Intra Moenia, ripercorriamo le antiche strade effettivamente percorse dai pellegrini, suggerendo così, a chi sta giungendo a Roma per il Giubileo, un itinerario alternativo: filologico, suggestivo e sicuramente più emozionante.
Gianfranco Mosconi, docente di Storia Greca all’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale e appassionato esploratore della sua Roma, descrive il paesaggio urbano ricostruendo con l’immaginazione l’aspetto di queste vie nel Medioevo e poi nel Rinascimento: “Ci troviamo su via dei Banchi nuovi, uno degli assi principali che conducevano i pellegrini in direzione del nucleo, del fulcro, della Roma medievale che da Ponte Sant'Angelo volge in direzione di San Pietro. Via dei Banchi nuovi è un asse che con via dei Banchi vecchi forma una biforcazione”. I toponimi di queste due strade identificano, agli inizi del Cinquecento, la nuova sede della zecca, subentrata a quella più antica, "vecchia" appunto. Il nome “banchi” invece allude alla banca, perché il pellegrino, in particolare”, aggiunge Mosconi, "ha bisogno di tante merci, derrate e prodotti, ma anche di depositare il proprio denaro, di cambiare le monete, di ottenere eventualmente un prestito: non è infatti sicuro andare in giro col denaro e quindi questa diventa la zona dei banchi e dei banchieri, peraltro ricca di sedi di bei palazzi di fine ‘400 inizio ‘500 eretti da banchieri fiorentini”.
E non a caso, sottolinea il professore, “a poca distanza da qui c'è San Giovanni dei Fiorentini e quest'area è particolarmente importante anche come asse viario, come ci dimostra la bella epigrafe di Giulio II che celebra gli interventi viari per creare una via di passaggio sicura per i pellegrini in questa zona”, conclude.
Un antico itinerario
“Il viaggiatore moderno che volesse ripercorrere le vie dei pellegrini diretti da San Pietro a San Giovanni o a San Paolo, le altre basiliche giubilari, potrebbe, dopo via del Banco di Santo Spirito, non prendere via dei Banchi nuovi, ma via dei Banchi vecchi visto che quest’ultima si collega con via del Pellegrino e porta al centro di Roma, a Campo dei Fiori. Però, ahimè, troverebbe sulla sua strada Corso Vittorio Emanuele, uno squarcio ottocentesco di età umbertina, aperto per le esigenze della Roma Capitale dal 1871".
Ma alla fine di via dei Banchi Vecchi, all’angolo via di Monserrato, si apre uno slargo: “Un punto interessante", spiga Mosconi, "perché qui finalmente giungiamo alla via per antonomasia dei pellegrini. Il bivio, infatti, è formato da via del Pellegrino da una parte e dall'altro via di Monserrato, e via del Pellegrino, ovviamente, non può che ricordare il passaggio dei pellegrini. Qualche ipotesi sostiene che in realtà prenda nome dal nome di una locanda, ma anche in questo caso la locanda prenderebbe nome dal passaggio dei pellegrini stessi”.
Una città piena di forestieri
"Anche via di Monserrato è in qualche modo legato al flusso dei pellegrini giubilari o non solo. Giubilari comunque, che vengono da lontano perché Santa Maria di Monserrato è un importantissimo santuario catalano che rispondeva all'esigenza dei pellegrini di trovare luoghi di ricovero e di ospitalità legati alla propria nazionalità, dove poter parlare la propria lingua ed essere capiti.
Ebbene, questa è la chiesa nazionale dei catalani, attualmente degli spagnoli, e accanto ad essa sorgeva, come per molte altre chiese nazionali, qui a Roma, un ospizio, un hospitalis. Su via di Monserrato, pochissimi passi dopo la chiesa dei catalani, c'è San Tommaso di Canterbury, che è la chiesa nazionale degli inglesi, nata nel medioevo, e adesso Chiesa degli inglesi cattolici.
Sempre in questa zona, per citare qualche nome, ci sono Santa Maria dell'anima dei tedeschi, San Luigi dei francesi, San Giacomo degli spagnoli a piazza Navona, i lorenesi, i borgognoni o anche chiese di regioni italiane come San Giovanni dei Fiorentini che per il prestigio della comunità, o meglio per la ricchezza economica legata ai banchi di cui abbiamo parlato, è rappresentata da una grande basilica".
Segno di divisione tra città dei vivi e città dei morti
E per comprendere come si è formata la città nel tempo, quali erano i suoi confini, viene in aiuto un un'interessantissima iscrizione romana, molto importante e molto più antica rispetto all’epoca del passaggio dei pellegrini. Infatti essa costituisce “una testimonianza che ci ricorda un fenomeno fondamentale della storia della Roma medievale", spiega Mosconi, "La Roma medievale è una Roma che sorge in piano. Stiamo percorrendo zone pianeggianti come Campo Marzio, mentre la Roma antica è la Roma dei sette colli, che risultano lontani da qui, perché la Roma medievale è attratta da quel magnete che è costituito da San Pietro e non tanto per motivazioni devozionali, ma per motivi crudamente economici della presenza dei banchi o comunque legate alla Curia pontificia”.
Quindi la Roma medievale si sposta, si allarga, scende in piano". Il professore si sofferma inoltre sull'iscrizione che "ci ricorda proprio questo processo di trasformazione, perché essa segna i confini del pomerio, cioè della linea di separazione simbolica fra città dei vivi e città dei morti e oltre. Non si conosce l’esatta posizione originaria della lapide, ma comunque è stata rinvenuta in questa zona, e da qui iniziava l'esterno della città, un’area che in età medievale diventa il fulcro della città verso Ponte Sant'Angelo”. Il cippo è interessante anche per gli aspetti topografici e archeologici dell'ampliamento del pomerio fatto da Tiberio Claudio dopo la conquista della Britannia.
Il perdurare della memoria
La toponomastica di quest’area romana si è conservata pressoché intatta attraverso i secoli, permettendo di identificare antichi luoghi e funzioni, la maggior parte legati proprio al ricordo degli antichi pellegrinaggi. Ad esempio i nomi delle specializzazioni artigiane: via dei Coronari per i venditori di corone, ovvero dei rosari; via dei Baullari, per chi realizzava valigie e bauli; via dei Cappellari e così via. Lungo i Banchi vecchi ci sono tanti nomi particolari di vicoli che si intersecano, ad esempio via del Pavone. Altre vie in questa zona o in varie parti del centro di Roma ricordano nomi di animali oppure di oggetti facilmente riconoscibili. “Sono nient'altro che i nomi delle insegne delle locande. Dobbiamo immaginare, riflette Mosconi, “che il pellegrino medievale non è un pellegrino che sa leggere, scrivere. Nella gran parte dei casi quindi, ha bisogno di segni di riconoscimento chiari: un pavone, un leone, un Gallo, e quindi il famoso albergo dell'Orso, vicino Ponte Sant'Angelo. Sono punti di riferimento".
A Roma "tutti albergatori"
Le locande erano un elemento importante della vita del pellegrino che chiaramente doveva alloggiare e tanto più durante il pellegrinaggio giubilare che richiedeva di stare a Roma per giorni e giorni. C'era tuttavia l’inconveniente delle locande che erano legate all'interesse privato e anche i romani a volte si improvvisavano tali e affittavano le loro stanze. Una testimonianza del 1350 dice che durante i giubilei “I romani erano tutti fatti albergatori”.
L'invettiva di un poeta
Un poeta aquilano che viene a Roma durante il giubileo del 1350, Buccio di Ranallo, così descrive la situazione: “Lo pegio che facevano quelli mali romani - quei maledetti romani - quando albergavano la sera, dico li ostulani che si mostravano angeli et poi erano cani: Letta promettevano, et davano splaczi plani - non davano letti, spiega Mosconi, ma semplicemente uno spazio per terra su cui stendersi - e aggiunge che quando promettevano un letto che era per tre, quattro persone, poi ce ne infilavano dentro sei, sette, otto e dice Buccio che se lo durava per non fare questione - cioè la persona sopportava la situazione per non creare problemi, per non questionare”.
Edifici di rappresentanza
"Alla fine di via dei Banchi Vecchi e via dei Banchi nuovi entriamo nel tratto di via del Banco di Santo Spirito che in realtà nel Medioevo si chiamava Canale di ponte, perché era il canale in cui si incanalava il flusso dei pellegrini, o forse anche perché in realtà c'era una chiavica a cielo aperto. Anche qui, indirettamente, si vedono tuttora gli effetti del passaggio dei pellegrini, perché i bei palazzi rinascimentali a destra e a sinistra della via, appartenevano a banchieri fiorentini, zona di banchi che qui mettono in mostra la loro ricchezza per le loro filiali romane, attività che diventano a un certo punto quasi prevalenti rispetto alla loro sede fiorentina. È l'epoca di Papa Leone X, di Papa Clemente VII, appartenenti alla famiglia dei Medici che erano banchieri".
Un traffico “infernale”
Il ponte Sant'Angelo è un luogo cruciale: il passaggio verso San Pietro si concentrava tutto qui perché, ricorda Mosconi “nella Roma medievale gran parte dei ponti romani finiscono fuori uso o scompaiono del tutto”. E prosegue raccontando che “Il primo ponte che si sarebbe incontrato per passare dall'altra parte del Tevere era all'Isola Tiberina, ovvero a circa due chilometri di distanza, e peraltro questo metteva in connessione il centro della città medievale, in Campo Marzio nella parte pianeggiante e il polo costituito da San Pietro", conclude. Questo traffico strozzato in corrispondenza di Ponte Sant’Angelo viene ricordato, durante il Giubileo del 1300, dai famosi versi di Dante dell’Inferno che lo paragona all'andamento delle anime in un girone infernale.
Il grave incidente del 1450
Mosconi ricorda un triste episodio accaduto nel Giubileo del 1450 “quando la ressa è tale che la sera del 19 dicembre a un certo punto la mula di un cardinale inizia a scalciare, la folla si spaventa e inizia la solita situazione di fuggi fuggi generale. Nella ressa muoiono 172 persone. Ce lo racconta la testimonianza di un certo Paolo Del Mastro che era il capitano del corpo di guardia appositamente istituito per gestire il traffico: Fu tanto grande la ressa a mezzo della salita del ponte che vi morirono 172 anime e tutti furono soffocati dalla folla, e ci morirono quattro cavalli e una mula, e tutti stavano in terra morti. Ne cascavano sempre più, perché molti muoiono addirittura cadendo dalle spallette del monte del Ponte. "È interessante", nota ancora il professore, "il particolare che muoiono quattro cavalli, una mula, dandoci un'immagine della ressa, se perfino quattro cavalli, trovano la morte. Per risolvere questo problema, finalmente, per il Giubileo del 1475, viene costruito il primo ponte post medievale, cioè Ponte Sisto, che si trova un po’ più a valle rispetto a Ponte Sant'Angelo che creò un'altra valvola di sfogo", conclude Mosconi.
Una scenografia sontuosa
Attraversare Ponte Sant’Angelo permette di godere di una quinta fantastica. Dallo specchio del Tevere si innalza una serie di edifici dove su tutti svetta la cupola di San Pietro che i pellegrini non videro se non sul finire del XVI secolo, però potevano vedere “la sommità della basilica, perché gli edifici di Borgo erano molto più bassi e modesti”, spiega Gianfranco Mosconi. “Tutto questo quartiere è stato spazzato via con l'apertura di via della Conciliazione, di cui vediamo l'imbocco dal ponte".
Chiese nazionali e loro infrastrutture
"Tra questi edifici c'è la cosiddetta Corsia Sistina, cioè l'area di ricovero e di cura dell'ospedale di Santo Spirito in Sassonia, che peraltro esiste ancora adesso in versione più grande, novecentesca, che ci ricorda due cose: la necessità dell'ospitalità per i pellegrini, per i viandanti, e per chi arrivando a Roma si poteva anche ammalare o aveva bisogno di essere ricoverato. L’epiteto in Sassia" spiega Mosconi, "viene da Saxa, dai sassoni cioè da una comunità di stranieri, di tedeschi, che si insedia in questa zona già nell'alto medioevo. Con questa chiesa nazionale ritorna il motivo ricorrente delle chiese nazionali dei pellegrini, dei luoghi di ricovero che servivano ad accogliere il flusso di persone proveniente dall'estero”.
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