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La popolazione congolese assiste alla rimozione dei corpi delle vittime delle recenti violenze perpetrate a Goma La popolazione congolese assiste alla rimozione dei corpi delle vittime delle recenti violenze perpetrate a Goma

RD Congo, il nunzio: grave situazione. Ascoltiamo il Papa, servono dialogo e negoziati

La regione del Nord Kivu devastata dall'assedio dei ribelli sostenuti dal Rwanda e da una crisi umanitaria senza precedenti. Nel secondo anniversario del viaggio di Francesco nel Paese africano, il rappresentante pontificio a Kinshasa, monsignor Leskovar, fa il punto sulla situazione e delinea le possibili vie d'uscita dalla crisi: "Urgente un lavoro della comunità internazionale e nazionale, rafforzando le strutture statali, cercando di combattere la corruzione"

Delphine Allaire – Città del Vaticano

Proteggere la popolazione civile di Goma e pregare per il rapido ripristino della pace e della sicurezza nella Repubblica Democratica del Congo. A due anni dal suo viaggio apostolico nel più grande Paese cattolico francofono dell'Africa, l'appello di Papa Francesco, rilanciato durante l'udienza generale del 29 gennaio scorso, ha avuto ampia risonanza tra la popolazione locale. Diversi vescovi congolesi e il primo ministro del Paese hanno infatti ringraziato Francesco per il suo intervento, riferisce il nunzio apostolico nella RDC, monsignor Mitja Leskovar. Ai media vaticani, il rappresentante pontificio ricorda come la Nunziatura Apostolica di Kinshasa sia stata teatro nel febbraio 2023 di un incontro in cui la sofferenza della popolazione si è mescolata per qualche istante alla speranza portata dall'arrivo del Papa.


Quali informazioni sta ricevendo sul peggioramento della situazione nella parte orientale del Paese?

La situazione nel Nord Kivu è molto grave e delicata. Ci sono vittime e ho sentito parlare di cadaveri che giacciono nelle strade. Da più parti si sente il rumore degli spari. Tuttavia, non tutte le zone di Goma sono state colpite. Questo permette alla popolazione di soddisfare i propri bisogni primari. Siamo in una situazione di assedio, che potrebbe anche estendersi a un conflitto più ampio. Non c'è solo Goma, e dobbiamo anche pensare al resto del territorio, dove i combattimenti continuano. Auspichiamo un ritorno al tavolo dei negoziati, la ricerca di soluzioni diplomatiche, in dialogo con tutte le parti interessate, e la fine delle violenze.

Come sono state accolte le parole del Papa all'udienza generale dalle autorità e dalla popolazione locale?

Con gratitudine. Il primo ministro e diversi vescovi mi hanno ringraziato per le parole di Francesco. Sono arrivate in un momento difficile, sia per la parte orientale del Paese che per la capitale, dove ci sono stati disordini. Questa esortazione al rispetto di tutti, dei civili e dell'ordine pubblico, è appropriata ed è stata accolta molto bene.

Come può la Santa Sede contribuire a rispondere ai bisogni umanitari che si registrano nel Nord Kivu?

Aiutare non è facile al momento, questo perché le possibilità, soprattutto per l'invio di beni, sono molto limitate. È una zona di guerra, ma sarebbe comunque piuttosto difficile fare arrivare gli aiuti umanitari lì, dato che le strade sono spesso impraticabili per le auto. Si può arrivare solo in moto o a piedi. Inoltre, non è facile sapere quali siano le reali necessità o in quale zona siano più urgenti. La terza difficoltà, forse la più grande, è l'entità dei bisogni: 6 o 7 milioni di sfollati nella RDC hanno bisogno di assistenza. Le Nazioni Unite, altre organizzazioni e molte Ong li stanno aiutando, ma i bisogni sono così grandi che è quasi impossibile aiutare tutti. Questo non significa che non si faccia nulla, possiamo e dobbiamo fare qualcosa. La Nunziatura Apostolica cerca di aiutare attraverso le istituzioni della Chiesa: la Caritas, le Diocesi o le congregazioni religiose. Inviamo aiuti nonostante le difficoltà logistiche.

La Chiesa cattolica congolese è molto impegnata nella società. Quale ruolo può svolgere per la costruzione della pace?

Il suo compito più immediato è quello di provvedere ai bisogni primari della popolazione, per quanto possibile. Lavoriamo insieme ad altre istituzioni sanitarie, oltre a quelle della Chiesa. Ho ricevuto notizie sulla situazione allarmante degli ospedali vicini alle zone di conflitto. Sono stracolmi di feriti, non c'è più posto. D'altra parte, c'è tutto il lavoro che si sta facendo per la pace. Essa, qui come in molti altri luoghi del mondo, non è una questione di armi, ma piuttosto di un processo alimentato dal dialogo e dall'ascolto di tutti i punti di vista, cercando il compromesso. L'apertura al compromesso è molto importante. Senza di essa, purtroppo, è impossibile raggiungere la pace. La Chiesa cattolica è impegnata in questo approccio, cercando di fare tutto il possibile per promuovere un dialogo sociale più ampio che possa portare, come speriamo, a una soluzione politica. Non è direttamente di competenza della Chiesa, ma la comunità ecclesiale è presente per sostenere il primo passo del dialogo sociale.


Come può la Santa Sede mobilitare la comunità internazionale a impegnarsi per trovare una via d'uscita pacifica alla crisi, senza rassegnarsi all'impotenza o all'indifferenza?

La Santa Sede si è già impegnata in questa direzione. Il Papa sta richiamando l'attenzione internazionale sulle difficoltà del Paese, a volte dimenticate. C'è poi il lavoro della diplomazia bilaterale e multilaterale. Anche l'osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York è impegnato in questo senso. A livello bilaterale, nei suoi contatti con altri Paesi, la Santa Sede non ha mancato di sottolineare l'importanza di cercare una soluzione pacifica attraverso il dialogo. 

Due anni fa, durante il suo 40° viaggio apostolico in Repubblica Democratica del Congo, il Papa ha incontrato le vittime della violenza nell'est del Paese presso la Nunziatura Apostolica di Kinshasa. Da allora la situazione è peggiorata. Le parole del Papa di allora sono state dimenticate?

Essendo arrivato nella RD Congo nel giugno 2024, all'epoca non mi trovavo nel Paese, ma avevo seguito le testimonianze delle vittime della guerra e della violenza, a volte etnica. Quando leggo queste testimonianze mi commuovo profondamente per due motivi: da un lato c'è la violenza, la sua bestialità e l'odio di certe persone. Dall'altro lato, la capacità delle vittime di perdonare. Per esempio, era stato portato un machete che assomigliava a quello che aveva ucciso il padre di una delle vittime. Troppe persone hanno dimenticato queste storie, ma sarebbe un bene per loro rileggerle e ritrovarle. Sono pubbliche! Stamattina, per esempio, uno dei miei colleghi mi ha informato sui commenti fatti mercoledì sera dopo il discorso del presidente della Repubblica sulla situazione. Qualcuno ha scritto: “Sono belle parole, ma noi vogliamo la guerraâ€. Quell'uomo non ha letto le testimonianze, non sa quello che dice. È terribile.

Due anni fa, il Papa aveva lanciato un appello per la riconciliazione e il cambiamento nel Paese, che partisse dagli stessi congolesi. Quale impressione pensa che il viaggio abbia lasciato nei cuori delle persone? Quali semi ha gettato?

Il messaggio del Papa è più che mai attuale. Questo circolo vizioso deve essere fermato, ma senza l'apertura al compromesso sarà impossibile trovare la pace in questa terra, che è stata tormentata da numerosi contrasti, talvolta guidati anche da interessi personali.

Come si esce dalla logica del potere e dello sfruttamento di cui la Repubblica Democratica del Congo è diventata tragicamente un crogiolo e che il Papa stesso ha denunciato due anni fa?

Per domande complesse ci sono soluzioni complesse. Dobbiamo lavorare a diversi livelli: dalla comunità internazionale a quella nazionale, rafforzando le strutture statali, cercando di combattere la corruzione e sensibilizzando la responsabilità di ogni cittadino nei confronti del bene comune e dello sviluppo del Paese. Uno dei problemi più gravi è infatti l'eccessiva enfasi della popolazione sul progresso individuale. Come dice il Papa, questo richiederà una conversione dei cuori. Non possiamo aspettarci che le strutture dello Stato o della comunità internazionale risolvano i nostri problemi senza toccare i nostri cuori, le nostre abitudini e le nostre convinzioni. Queste sono le tre vie principali per la soluzione.

Stiamo vivendo il Giubileo della Speranza. Dove la si può trovare in Repubblica Democratica del Congo?

La speranza c'è perché gli esseri umani sono sempre capaci di convertirsi e di impegnarsi per la pace. A mio avviso, non esiste una situazione persa in partenza e senza via d'uscita. Al contrario, c'è un duro lavoro da fare e dei sacrifici da compiere. Tutto questo dà una prospettiva: le cose possono migliorare! Prendiamo ad esempio l'istruzione: tra il 40% e il 50% delle istituzioni educative sono gestite dalla Chiesa cattolica. Le iniziative per la pace e il dialogo ci sono, ma vanno intensificate, sviluppate ed estese. La preghiera, soprattutto, è importante. Chiedo a tutti coloro che ci leggono di pregare per la pace nella Repubblica Democratica del Congo.

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31 gennaio 2025, 12:00