Quegli ebrei nascosti nella Biblioteca Vaticana
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Offrire un rifugio a diversi ebrei in epoca nazifascista fu una scelta coerente con la vocazione umanista della Biblioteca Apostolica Vaticana. Lo ricorda il prefetto emerito della Bav monsignor Cesare Pasini che, intervistato dai media vaticani, ripercorre una pagina forse ancora poco conosciuta di questa istituzione creata da Nicolo V nel 1451.
Attenzione alla dignità umana
“La Biblioteca Apostolica Vaticana – spiega - nasce nell'epoca umanistica e dire umanesimo significa attenzione all'uomo, alla dignità, al valore dell'uomo, a tutta la sua tradizione culturale. Quando hai dentro tutto questo bagaglio ricchissimo, le scelte concrete vengono. Se non venissero, vorrebbe dire che non c'è una cultura sana e completa”.
Mercati e Tisserant
“In Biblioteca Vaticana”, ricorda monsignor Pasini, “operarono persone che anzitutto si opposero alla politica anti-ebraica, ma soprattutto in concreto si diedero da fare per offrire aiuto”. Il pensiero in particolare va a Giovanni Mercati, prefetto e poi archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, “che in qualche modo impostò questa linea” e ad Eugène Tisserant, pro-prefetto e dopo la guerra anch’egli archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, “che proseguì questa azione con la sua capacità, la sua decisione, la sua operosità”.
Un’opera meritoria, ma discreta
Entrambi ricevettero la porpora cardinalizia da Pio XI nel 1936. Il primo assunse sempre posizioni avverse al razzismo e al nazismo, prodigandosi per dare rifugio a studiosi ebrei o di origine ebraica e inimicandosi il favore del governo fascista che gli rifiutò il seggio dell’Accademia d’Italia fascista. “Giovanni Mercati”, prosegue il prefetto emerito della Bav, “fu in contatto con molti studiosi e prese l'iniziativa, anche informandone la Santa Sede, per trovare una collocazione ad alcuni studiosi ebrei, sia tedeschi sia italiani, affinché potessero continuare a vivere e a mantenersi negli Stati Uniti e questa è stata un’opera veramente meritoria, ma sempre molto discreta. Giovanni Mercati non metteva in vista quel che faceva, era uomo generoso con i bisognosi e i poveri, ma non lo dava a vedere”.
Giusto tra le Nazioni
Più nota è la storia di Tisserant soprattutto da quando, nel 2020, gli è stato riconosciuto il titolo di “Giusto tra le Nazioni" dallo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto di Gerusalemme. Uomo di grande cultura, conoscitore delle antiche lingue orientali, appassionato di archeologia, durante la Seconda Guerra Mondiale, il porporato francese si impegnò per aiutare gli ebrei a sfuggire alle persecuzioni razziali, nascondendoli, impiegandoli nella Biblioteca Apostolica Vaticana o facilitando l’ottenimento dei visti. Si prodigò sia verso gli ebrei francesi che si rifugiarono in Italia, dopo l’invasione della zona libera da parte dei tedeschi, sia verso gli ebrei italiani durante la persecuzione razziale del 1938-1944, e soprattutto dopo l’invasione dell’Italia da parte di Hitler nel 1943, ma anche in favore degli ebrei tedeschi costretti a fuggire dal loro Paese, caduto sotto il regime nazista.
Sfida aperta al fascismo
Tra le persone che beneficiarono del sostegno del porporato possono essere ricordati Guido Mendes, direttore dell'ospedale ebraico di Roma, licenziato a causa delle leggi razziali. A quest’ultimo Tisserant, in qualità di segretario della Sacra Congregazione delle Chiese Orientali e in aperta sfida al governo italiano, conferì una Medaglia d’Onore per aver curato diversi studenti del Vicino e Medio Oriente ammalati di tubercolosi. Il cardinale lavorò per ottenere certificazioni di immigrazione per l'intera famiglia di Mendes, inoltre aiutò il rabbino Nathan Cassuto, i professori Giorgio Levi Della Vida e Aron Friedman e nella sua abitazione romana in Via Po ospitò e nascose, fino alla fine della guerra, due famiglie ebree.
Il diario di Giorgio Levi Della Vida
Tra i vari nomi di ebrei salvati e aiutati da Tisserant nella Biblioteca Apostolica Vaticana, monsignor Pasini si sofferma su quello dell’orientalista Giorgio Levi Della Vida: “Abbiamo elementi dettagliati perché scrisse in un suo diario interessantissime informazioni: era stato introdotto in Vaticano perché potesse avere un lavoro dopo che aveva rifiutato di firmare il famoso giuramento di fedeltà al fascismo, ancora prima delle leggi razziali. Giorgio Levi Della Vida apprezzò moltissimo Tisserant, descrisse con schiettezza anche alcuni aspetti del suo carattere piuttosto forte, qualche volta burbero, ma riconobbe che era una persona di una squisita bontà”.
Il mese di ferie
Il prefetto emerito della Bav ricorda in particolare la generosità del cardinale francese che, consapevole delle difficoltà economiche attraversate dalla famiglia dell’intellettuale ebreo, non esitò ad aumentargli lo stipendio: “Non solo: il professore raccontava che un giorno Tisserant lo invitò a prendere un mese di ferie, anche se il tipo di contratto non lo prevedeva. Nel mese in cui si assentò, Tisserant ospitò la mamma la quale fu immensamente riconoscente”.
Nome in codice “Minerva”
Attorno a Tisserant sorse una vera e propria rete clandestina, fuori e dentro le mura vaticane, con l’obiettivo di salvare vite umane: il nome in codice del porporato era “Minerva”, dal suo titolo cardinalizio di “Santa Maria Sopra Minerva”. In quest’ambito riuscì ad introdurre in Vaticano, nascosto nel bagagliaio della sua automobile, il giovane ebreo francese Miron Lehner. Particolarmente irritate dalla posizione del porporato francese, le autorità naziste chiesero a Roma di intervenire per frenare le sue attività, ma Mussolini si attivò. “Immagino che tutto fosse fatto nella più alta discrezione per quanto possibile”, commenta monsignor Cesare Pasini: “Tutto sommato l'intesa del 1929 dava sicurezza, al di là di qualche nota dei servizi segreti politici che seguivano questi personaggi per stargli alle costole”.
La vera missione culturale
La testimonianza di Giovanni Mercati e di Eugène Tisserant, secondo il prefetto emerito della Biblioteca Vaticana, è la conferma del significato più profondo dell’umanesimo: “quando una persona è veramente un uomo di cultura, che opera all'interno di una missione culturale è gioco forza che abbia davanti agli occhi, nel cuore, nell'intelligenza l'importanza della persona umana, della dignità umana e dei valori umani”.
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