Beata Elisabetta Canori Mora, messa del cardinale Koovakad per i 200 anni della morte
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Il prossimo 4 febbraio la Chiesa celebra la memoria liturgica della beata Elisabetta Canori Mora, mistica romana e madre di famiglia, appartenente al Terz'Ordine Trinitario, morta a Roma 200 anni fa. La ricorrenza verrà commemorata con una solenne liturgia presieduta dal cardinale George Jacob Koovakad, prefetto del Dicastero per il Dialogo interreligioso, nella chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, dove si custodiscono le spoglie della beata.
Una profonda relazione con Dio
La ricorrenza del secondo centenario della dipartita di Canori Mora permette di soffermarsi su una figura di sposa e madre di grande attualità nel momento presente. "Non sono pochi infatti coloro che presentano la odierna e diffusa problematica di una esistenza segnata dalla esteriorità, cioè dal successo, dall’immagine, dal riconoscimento. Un qualcosa che porta con sé, non essere capaci di sentimenti profondi, ma soltanto emozioni immediate e superficiali. Ma noi siamo creati per Dio e questa situazione non può che suscitare malessere nella persona che sente nostalgia di una spiritualità che li manca", sottolinea il postulatore della causa di canonizzazione, padre Javier Carnerero.
"La figura della Beata Elisabetta - aggiunge - mostra una profonda relazione con Dio Trinità, che permea tutta la sua esistenza. Nei suoi scritti mistici, troviamo una donna di assidua preghiera, di introspezione, che è capace guardare la realtà della propria vita e gli eventi sociali che le circondano con occhi molto diversi ai nostri, con occhi puntati al cielo. In compenso, Gesù la conduce attraverso delle grazie mistiche nella comprensione della sua storia e di quella dell’umanità in un piano spirituale che la trascende".
Una lezione di vita
"Il fatto di gustare già in terra l’intimità divina che speriamo godere in cielo, consente alla beata di percepire nella sua preghiera le scene evangeliche, come realmente attuate i lei, come quando sente di poggiare il suo capo nel petto del Signore, nel cenacolo. Assiste alla morte dei coetanei, non dal distacco proprio di chi qui vede la morte come una perdita, ma dal susseguente itinerario dell’anima verso la patria celeste, in vista al suo fine eterno", prosegue il postulatore. "Allo stesso modo, gli avvenimenti storici della Chiesa e della società, sono vissuti non come note di cronaca ma come una vera e propria battaglia per implementazione del regno di Cristo in questa terra. Tutto questo ci presenta una lezione di vita, che ci sprona a fuggire da questa tentazione di superficialità e immediatezza che oggi ci circonda. Ci chiede di cercare questa visione divinizzata che ci dà la possibilità di vivere con una speranza nuova tutte le situazioni buone o cattive dell’esistenza, perché come ripete Papa Francesco, la speranza non è ottimismo, ha un nome: Gesù. E anche noi posiamo trare di questo esempio una lezione per le nostre realtà".
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