Ritiro sinodale, la meditazione di madre Angelini alle Lodi del 1° ottobre
“A te il silenzio è lodeâ€
Dolcezza e severità del cammino sinodale
“Se ami la verità,
sii amante del silenzio
e Dio ti doni di sperimentare
ciò che dal silenzio è generatoâ€
(Isacco il Siro)
Ci apriamo, insieme, al nuovo giorno: lodare Dio ne è fedelmente la soglia di luce. Il giorno ci condurrà - questa sera - alla liturgia penitenziale, compimento del ritiro. E per questo, ci lasciamo attraversare e riempire dalle parole del Salmo che abbiamo cantato; dal Vangelo che abbiamo ascoltato: un intreccio che genera fascio di luce sul cammino sinodale, pur e proprio nella dialettica tra eventi e Parola.
Vorrei rimanere su quel solo versetto, l’incipit del Sal 64 &²Ô²ú²õ±è;“A te il silenzio è lodeâ€. Tibi silentium laus. Che significa? Forse che - con un tal dire - si toglie valore ai canti, o se ne svilisce il senso? O si viene come a depauperare di forza le intercessioni, le omelie, i commenti? E il dialogo sinodale che vuol essere “celebrazioneâ€, vivente gloria di Dio, ne è sminuito di senso?
Tutt’altro. Penso che in questo versetto sta espresso il fondamento di ogni liturgia – rituale, e della vita -: alla radice di ogni preghiera, di ogni “opera per Dio†vibra il silenzioso Soffio di Dio. Si tratta di percepirlo. Questo soffio precede, e va oltre, la parola di “carneâ€. È quella Presenza che Elia (1 Re 19,12) percepì nella Voce di un ‘silenzio scavato’. E le sue parole lamentose si dissolsero come neve al sole. E ne nacque la nuova narrazione della storia. Altrimenti deludente, disperante. È il silenzio di Gesù dinanzi al tribunale umano. È il silenzio di Gesù che segue l’emissione dell’ultimo respiro: Gloria di Dio e annuncio di risurrezione.
«Chi ha compreso le parole del Signore, comprende il suo silenzio, perché il Signore lo si conosce nel suo silenzio» (Ignazio di Antiochia agli Efesini, XV,2).
E chi si lascia cogliere da stupore dinanzi all’incavo del silenzio di Dio, pienamente rivelato in Gesù, comprende come il silenzio è la dimensione costitutiva della parola umana vera, che come tale canta la lode dell’Altissimo. Ogni parola umana è preceduta – nella sua verità sempre parziale – ed è sostenuta, ed è oltrepassata, dal silenzio che loda Dio. Potente, esplicativa, è la cascata subito successiva dei “Tu†rivolti a Dio, che articola il silenzio solennemente indetto in apertura. Il silenzio-lode non è il vuoto pneumatico, ma è la meraviglia dinanzi al venire di Dio tra i suoi.
&²Ô²ú²õ±è;“A te ascoltatore di supplicheâ€
“A te viene ogni carne†(v. 3).
“Parole di colpe gravano su d noi; i nostri peccati: tu li perdoniâ€.
Pare importante, oggi, sostare su questo versetto del salmo, per prepararsi ai laboratori di dialogo, ai tavoli di confronto; ma ancor prima, per disporci alla celebrazione penitenziale. Lasciarci riempire da questo silenzio. In principio dunque, e al fondo, sta il silenzio come altissima lode. Là dove non si può altro che ammirare l’opera di Dio: “Per te il silenzio è lode!â€. Questo ci posiziona nella celebrazione penitenziale. E ci spinge anche a valutare anche tutto il peso delle pause di silenzio introdotte nel dialoghi sinodali. Non sono un diversivo: è di valore sostanziale che gli scambi di volta in volta affondino nel silenzio che precede e segue. Ascolto stupito del mai udito.
Tutto, ogni zolla di umano, è accuratamente coltivato da Dio, che nel salmo è visto presente – oltre che nella storia inquieta dell’uomo - nel creato, quale “grande agricoltoreâ€. Scaturisce così la lode del silenzio cosmico, e dentro di noi la gioia che sconfigge le tenebre. “Tutto canta e grida di gioia†(64, 14).
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“A te il silenzio è lodeâ€. Conosciamo noi quel silenzio generativo, che precede la parola, che la custodisce, che incessantemente la genera? A quali condizioni il silenzio è lode? Tanti silenzi ipocriti – estranei - si annidano nelle nostre parole... Il salmo 64 sembra essere stato scritto per dare voce al nostro intimo che sente il peso del male che è nel mondo, dei peccati, e anela alla liberazione. Per dare voce al nostro cuore spesso sclerotizzato dalle ansie e dalle frustrazioni che ne rallentano il battito, ma che aspira a una pienezza di vita e a una saldezza che non tema più tempeste e tumulti. E il cuore ritrova respiro nel sintonizzarsi con quel silenzio nel quale in principio si udì la Parola (Gn 1,1).
Il silenzio è forse l’elemento più difficile da vivere nella nostra vita, anche nel cammino sinodale. Per questo, le nostre parole sono così poco comunicanti. Immersi nel caos, o nell’enfasi dei nostri concetti, non abbiamo il tempo di sfiorarlo e spesso neppure la voglia, perché ci fa paura. Quando si tace, infatti, non è subito silenzio: si è sommersi da un vortice di pensieri - dagli strascichi di un passato spesso non elaborato in memoria del cuore; dalla noia di un presente che incombe – impellente o amorfo, fermo -, e dall’angoscia di un futuro incerto e senza senso. Non è questo il silenzio che loda Dio e che è la radice di ogni dialogo costruttivo, di ogni cammino sinodale.
Lo è invece il silenzio prezioso di chi sa togliersi dal palcoscenico, e vive una sorta di solitudine feconda e aperta all’alterità, nell’ascolto della parola di Dio, del grido dei poveri e dei gemiti della creazione. Silenzio è lotta contro la banalità, è ricerca di verità, è accoglienza del mistero che si nasconde in ogni persona e in ciascun essere vivente. Non spiega la sofferenza ma la attraversa. Il silenzio può farci ritrovare il vero e autentico ritmo del dialogo sinodale.
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Ebbene, proprio questo silenzio viene oggi evocato nel Vangelo: l’inizio del “grande viaggioâ€. Un Vangelo intriso di silenzio, con quel volto di Gesù che - orientandosi al Golgota – nella ferma decisione si fa saldo come pietra. La liturgia che questa sera celebreremo a conclusione del ritiro, trae senso e respiro dalla luce silenziosa di quel Volto. L’arte “sinodale†di Gesù offerta all’assemblea sinodale: per camminare, oltre a imparare lo sguardo che scopre le nuove misure del mondo – la silenziosa narrazione -, è necessario anche apprendere l’arte di relazioni gratuite, senza presa per il Divisore.
Il gruppo dei discepoli è per nascita “itineranteâ€. Ma qual è il passo? Il volto “indurito†di Gesù non trova risonanza coerente nell’irruenza di Giovanni: il discepolo amato, il figlio del tuono deve lasciarsi trasformare. Eppure proprio lui aveva da poco assistito ricevuto il dono grande di presenziare alla trasfigurazione ove si conversava dell’esodo di Gesù; aveva già per due volte ricevuto l’annuncio della passione del Maestro e Signore. Ma è sistematicamente scivolato via, sovrastato dal rumore interiore di pensieri di supremazia.
E ora quel volto unico, amato, scrutato con desiderio – quel volto a cui come angeli sono mandati innanzi -, è dai discepoli stessi frainteso: diventa causa d’inciampo. «Voi non sapete di che spirito siete. Poiché il Figlio dell'uomo non è venuto a perdere le anime degli uomini, ma a salvarle». Questa specifica parola instaura un processo di discernimento anche per l’Assemblea Sinodale, a cammino già inoltrato, come per i discepoli.
Questo tratto, oggi, ci riguarda da vicino. Penso riguardi questa Assemblea sinodale incastonata in una svolta epocale della storia e della chiesa, di cui confusamente intuiamo i contorni, ma non li vediamo distintamente. Gesù non si arrende all’incomprensione dei discepoli, pazientemente, amorevolmente li spinge avanti. E un silenzio di conversione va preparando in loro l’irruzione della novità pasquale nella sequela.
Ed è a partire da questo primo inciampo – il rifiuto in Samaria - che Gesù intraprende, e capisce, e gli si configura in cuore con evidenza decisiva, dura, la via verso Gerusalemme. Così è lo stile del Vangelo: camminando si apre cammino, attraverso ostacoli. Così, forse, sarà il cammino sinodale. Ogni Samaria è il luogo dei sorprendenti incontri.
Quel Volto umanissimo e divino, scavato nella pietra, è rivelante. “Si voltò e li rimproveròâ€: luce sulla celebrazione penitenziale. Liberare lo sguardo da ogni impazienza e attivismo imprenditoriale, da pretese, da risentimento e lamento. Da parole “molteâ€. Per ospitare la passione di desiderio che silenziosamente attira verso il compimento della volontà del Padre. Fino alla kenosis del Getsemani e del cenacolo: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto mi ha datoâ€. Lo sguardo fisso su Gesù, volto umano di Dio. Senza vie di fuga, senza uscite di sicurezza. Sguardo che, illuminato dal Mite e Umile di cuore, ridà contorni alla visione sugli altri, sulla storia, sul mondo. Lo sguardo su Gesù apre fondata speranza. Questo ci fa cantare il salmo – “Per te il silenzio è lodeâ€: splendida lode.
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