Sinodo, la meditazione di Madre Angelini alle Lodi del 30 settembre
Madre Maria Ignazia Angelini
«Come essere Chiesa sinodale in missione?» Sete di Dio, nascosta scaturigine dei dialoghi sinodali»
Un grazie profondo a Dio, per questo inizio: il Vangelo ā al cuore delle Lodi - ci riposiziona, tutte e tutti. Come ci diceva poche settimane fa papa Francesco, allāAngelus: āPrimo: la meraviglia, percheĢ le parole di GesuĢ ci sorprendono. GesuĢ sempre ci sorprende, sempre. Anche oggi, nella vita di ciascuno, GesuĢ sempre ci sorprende.ā (18-08-ā24). Tanto piuĢ se ci esponiamo al Vangelo attingendolo entro la grande luce dallāEucaristia. Ha in seĢ la forza di disporci al cammino. Facciamo spazio allāascolto stupito che ci riposiziona, ci dispone a questo nuovo inizio di cammino insieme.
Sullāeco dalla memoria vigorosa di san Girolamo, lāuomo rude e collerico, dalle passioni forti, facilmente in lite nelle sue relazioni piuĢ coinvolgenti, ma attento scrutatore della sacra Scrittura, fino ad essere da essa trasformato ā oggi il Vangelo parla: ci racconta il concludersi di una tappa dellāitinerario di GesuĢ, verso lāavvio della tappa decisiva. [E noi, stiamo entrando in una tappa conclusiva (si fa per dire!) del cammino sinodale]. Una conclusione misteriosa che apre in modo sconcertante lāorizzonte, mentre la tappa precedente sembra chiudersi su unāombra fallimento: infatti, mentre tutti erano ammirati di lui, GesuĢ aveva appena annunziato per la seconda volta lāavvicinarsi della āconsegnaā del Figlio dellāuomo in mano agli uomini. E qui, proprio qui, GesuĢ apre lāorizzonte, portando rudemente allo scoperto lāimbarazzante dialogismos dei discepoli e illuminandolo nella sua stoltezza, attraverso il semplice gesto di avvicinare, stabilire accanto a seĢ un piccolo bambino. Rifondazione del collegio apostolico. Simbolo vivente del discepolo, offerto anche a noi. Qui, oggi. Il minimo fatto simbolo vivo.
GesuĢ nel commentare questo gesto profetico ci offre indirettamente nuova visione sulla missione ā e dunque sul cammino sinodale. āChi riceve questo piccolo fanciullo nel nome mio, riceve me; e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandatoā. La missione ha origine dalla passione, dalla invincibile attrazione, di Dio verso il minimo, il paidion. EĢ una costante del rivelarsi di Dio nella storia umana, dal primo giorno della creazione fino a GesuĢ. Gli apostoli āinviatiā, la missione) devono ripartire sempre da capo da qui. La missione, senza questo modo di āstare con luiā, eĢ vana.
Ma loro, ottusi, pur corretti dal Maestro, di nuovo a ribadire la loro visuale integrista che alza steccati, che esclude lāestraneo. E di rimando GesuĢ, con mite tenacia, rivela che lāAbbaĢ desidera ācon seĢā - e riconosce āsuoiā - tutti. A partire dal piccolo, dallāirrilevante. E di qui, proprio da questo inciampo nellāintesa tra GesuĢ e i suoi si parte, nel cammino āsinodaleā per Gerusalemme. Qui cristologia e ecclesiologia sāintrecciano. Da qui, la II.a Sessione dellāAssemblea sinodale si trova dunque con potenza invitata a partire. I.L:,ā... questa eĢ la domanda: come lāidentitaĢ di Popolo di Dio sinodale in missione puoĢ prendere forma concreta nelle relazioni, percorsi e luoghi nel cui intreccio si svolge la vita della Chiesa?ā. La missione senza questo modo di stare ācon luiā rivelato nel paidion, eĢ al massimo un buon volontariato.
I loghismoi, la ricerca del dialogo, lāincomunicabilitaĢ tra le differenze, le barriere tra generazioni, tra culture abissalmente diverse: tutti gli ostacoli che abbiamo ben misurato in questi mesi di cammino tra unāAssemblea e lāaltra, qui vengono confrontati con la misura di veritaĢ che ā nel simbolo - ci riposiziona tutti: il piccolo, anzi, il minimo. GesuĢ qui non fa la morale: addita, in seĢ stesso, la via e il passo.
E come dunque noi, qui, ci riconosciamo chiamati alla nuova tappa del cammino sinodale, ai confronti, ai dialoghi? come ci esponiamo alla forza rivelante, performante, trasfigurante, dellāEucaristia, e in essa al Vangelo? LāI.L. (I, 25; cfr anche āCinque piste...ā), nella IV pista di approfondimento proposta, dice che il metodo sinodale include anche il riferimento liturgico. Ma non tanto come procedura rituale, io penso, bensiĢ come luce ispirante. Sappiamo quale appiattimento del mondo hanno prodotto le ridicole discussioni, gerarchie di potere: ā... chi di loro fosse il meglioā (Lc 9,46)
Come dunque individuare il āpiuĢ piccoloā, nella situazione epocale in cui viviamo? Il bambino indifeso e fiduciosamente consegnato, il giovane smarrito, il carcerato in rivolta, il migrante, lāanziano lasciato solo, la donna inascoltata, il ... āchi?ā ?
Lāarte del dialogo qui rifondata, nella chiesa sinodale eĢ decisiva, alternativa a tutti i dialoghismoi che piuĢ o meno consapevolmente portiamo in cuore. Arte che nasce ā lo capiamo da questo Vangelo - da un piano di realtaĢ, che Dio assume: dal dolore di una sorditaĢ percepita. Questa pazienza di GesuĢ nel farsi intendere da coloro che - pure scelti percheĢ stiano con lui ā, restano sordi, eĢ rivelante: dice Dio. Che mai sia arrende nella sua sete del Tu umano. E fonda lāarte del dialogo. Martin Buber nel suo scritto sul dialogo offre un apoftegma cassidico molto incisivo al riguardo: «Si racconta che una volta un uomo entusiasta di Dio, abbandonando il regno della creazione, vagoĢ nel grande vuoto. LiĢ andoĢ errando, fincheĢ giunse alle porte del segreto di Dio. BussoĢ. Da dentro gli fu chiesto: āChe cosa cerchi qui?ā. Disse: āHo proclamato la tua lode agli orecchi dei mortali, ma erano sordi alla mia parola. Allora giungo a te, percheĢ tu stesso mi ascolti e mi rispondaā. āTorna indietroā, si udiĢ dallāinterno, āqui non cāeĢ orecchio per te. Ho inabissato il mio udito nella sorditaĢ dei mortaliā». E in questo Vangelo, la mitezza di GesuĢ nello snidare i pensieri āsordiā dei discepoli, dice al vivo questo inabissamento. Questa arte del dialogo che si impara unicamente alla sua scuola: esponendosi, fino alla consegna da āpiccoliā, allāaltro.
Al Vangelo, āspiazzanteā, danno orizzonte e risonanza i salmi ora pregati. Due salmi performanti. Gregorio magno dice (Omelie su Ezechiele, I.I, 15) che ā quando la profezia viene meno nel suo popolo - e spesso accade! ā eĢ la voce dei salmi che prepara nel cuore oscurato la via allo spirito di profezia e alla grazia della compunzione, via che conduce fino a GesuĢ. Stupendo.
Come scrive Gerolamo ā oggi ne facciamo memoria! ā nel suo riscoperto commento ai Salmi: āIl salterio eĢ come una grande casa, che ha siĢ una sola chiave esterna per la porta ā e questa chiave eĢ lo Spirito Santo; ma ha anche chiavi proprie per le diverse stanze dellāinterno. Ciascuna stanza ha la sua propria chiave. Se uno butta via alla rinfusa le chiavi, quando poi
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volesse aprire quella stanza, non puoĢ farlo. A meno di ritrovare la chiave.Frequentementsuccede rispetto al salterio che abbiamo questa noncuranza di buttare le chiavi e di ritenerli indecifrabili, inservibili per la preghieraā. Oggi, giornata di ritiro, potrebbe essere grazia ritrovare la chiave per entrare in questi due stupendi salmi: āCome la cerva anela ai corsi dāacqua cosiĢ lāanima mia anela a te, o Dioā. EĢ la voce della chiesa, eĢ la voce degli innumerevoli piccoli in attesa di essere evangelizzati, eĢ la voce della āmia animaā (Sal 41,2) in ricerca. Due salmi splendidi ci sono stati donati oggi per dare forma alle Lodi di Dio. Il Sal 41 daĢ voce a quella segreta, innominabile sete che portiamo in noi. Quella sete che eĢ anima della libertaĢ. Sete che corrisponde alla sete di Dio.
Le culture cui apparteniamo esitano a esporsi a questa sete, a integrarla nei loro sistemi simbolici, faticano: tanto sono inficiate da logiche di impresa, di potere, mercato, fitness. O da logiche evasive. Che perseguono sogni di libertaĢ come auto determinazione: ma il salmo che abbiamo appena ridesta la sete del Dio vivente. Lui, il Vivente, ha sete di questa sete, come attesta lāantico monaco: "Dio ha sete di chi abbia sete di lui". E Teresa la Calcutta ci ha richiamato con umile forza. Esporsi lungamente alla sua luce, dimorare nel Vangelo ācome nella carne di Cristoā (Ignazio di A.): questo eĢ ritiro, inverante. Come accogliere vicino a seĢ, in seĢ stessi, il bambino.
Sul salmo 41, diceva abba Poemen, monaco nel deserto egiziano: āSta scritto: āCome la cerva anela alle fonti dāacqua, cosiĢ lāanima mia brama te, o Dioā. Come capita ai cervi nel deserto che divorano molti rettili e, quando il veleno li brucia, bramano venire alle acque dove trovano sollievo al bruciore dei veleni ingeriti, cosiĢ i monaci che vivono nel deserto sono arsi dallāamaro delle passioni e percioĢ bramano che arrivi il sabato e la domenica per la sinassi, per attingere alle sorgenti delle acque, cioeĢ al corpo e al sangue del Signore che purifica dallāamarezza del malignoāā (Apoftegmi, Alf., 30).
Poemen applica il movimento spirituale del salmo 41 alla realtaĢ del deserto, noi potremmo ā trovata la chiave ā pregare il salmo disponendoci allāAssemblea Sinodale come luogo in cui lo Spirito ci disseta nel desiderio di conformare la nostra chiesa allāardua missione che il Signore, in questo deserto di oggi, le affida. Come a piccolo bambino. Una memoria anelante e una trepida speranza si respirano nel salmo: lasciamoci attraversare dalle sue domande (āQuando?ā, āDovāeĢ?ā, āPercheĢ?ā), per comporre memoria e speranza in una armonia superiore. Dallāabisso (v. 8) di un oggi che a fatica riusciamo a leggere ā eppure siamo chiamati a interpretarlo come lāoggi della missione -, allāabisso della Misericordia.
La memoria di un passato ā pur bello, ma ormai archiviato - deve trasformarsi in umile speranza. La sorgente ā come nella sua ānotteā scopre Giovanni della Croce ā eĢ zampillante e sempre offerta. NellāEucaristia che anche oggi ci disseta. Qui troviamo le ragioni della speranza.
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āI cieli narranoā canta il secondo salmo: non eĢ linguaggio, non parole di cui si oda il suono. Una silenziosa narrazione, che richiede sensi nuovi. Una narrazione che attende orecchi, occhi, mani, naso, bocca, per essere gustata. Per cogliere lāindicibile. Anche delle nostre vicende umane, ecclesiali, di oggi: per tutta la terra, ai confini del mondo siamo alla ricerca di nuove narrazioni che aprano lāorizzonte della speranza.
Papa Francesco ci abbozza alcune piste su cui cercare di rintracciare la narrazione che sconfigge solitudini e mutismi: āIn questo universo, composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri, possiamo scoprire innumerevoli forme di relazione e partecipazione. Questo ci porta anche a pensare lāinsieme come aperto alla trascendenza di Dio, allāinterno della quale si sviluppa. La fede ci permette di interpretare il significato e la bellezza misteriosa di cioĢ che accade. La libertaĢ umana puoĢ offrire il suo intelligente contributo verso unāevoluzione positivaā (Laudato siā, 79). āSe noi ci accostiamo alla natura e allāambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo piuĢ il linguaggio della fraternitaĢ e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati.ā Questo riguarda anche il modo di affrontare il dialogo sinodale. (...) Possiamo dire che «accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle Sacre Scritture cāeĢ, quindi, una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte». Prestando attenzione a questa manifestazione, lāessere umano impara a riconoscere seĢ stesso in relazione alle altre creature: «Io mi esprimo esprimendo il mondo; io esploro la mia sacralitaĢ decifrando quella del mondoā (L.S., 85). āQuesto insegna il Catechismo: «Lāinterdipendenza delle creature eĢ voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, lāaquila e il passero: le innumerevoli diversitaĢ e disuguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a se stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio le une delle altre»
«Senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce».
Ma nel momento in cui la Bibbia testimonia le narrazioni delle stelle e le riconosce come linguaggio di Dio, anche quel linguaggio non-verbale diventa parola di uomo che narra la non- parola di Dio. Allora quando leggiamo la sua parola piuĢ sorprendente ā «il Verbo si eĢ fatto carne» ā in quella parola dobbiamo includere anche le non-parole del sole, delle stelle, del cosmo, ... i nostri dialoghi aperti al venire dello Spirito ā tutte le parole della terra e tutte le "parole" del cielo. Gli astri non sono Dio, ma sue creature ā i cieli narrano la gloria di Dio. - Non sono portatori di un messaggio proprio, ma significano Altri, anchāessi "parole" pronunciate, per orientare la sete che ci abita e ci spinge - in dialogo - verso la Sorgente.
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Come conosco bene
la fonte che scaturisce e scorre, bencheĢ sia notte.
(Giovanni della Croce)
Resta nascosta quell'eterna fonte, ma io ben so dov'eĢ la sua dimora, bencheĢ sia notte.
L'origine non so, poicheĢ ne eĢ priva, ma ogni origine so che ne deriva, bencheĢ sia notte.
So che non puoĢ esister cosa tanto bella, e che cieli e terra bevono da quella, bencheĢ sia notte.
So bene che in lei non si ritrova il fondo e che sondarla non puoĢ nessuno al mondo, bencheĢ sia notte.
Il suo splendore non si oscura mai e so che eĢ la sorgente d'ogni luce, bencheĢ sia notte.
So che le sue correnti traboccanti, inferni e cieli irrigano, e le genti, bencheĢ sia notte.
La corrente che sgorga da questa fonte ben so quanto eĢ capace e onnipotente, bencheĢ sia notte.
La corrente che da queste due procede so che nessuna di quelle la precede, bencheĢ sia notte.
Giace nascosta questa eterna fonte
in questo vivo pane, per dare a noi la vita, bencheĢ sia notte.
Sta qui chiamando le creature,
che di quest'acqua si saziano, bencheĢ allo scuro, percheĢ ora eĢ notte.
Questa fonte d'acqua viva cui anelo, in questo pane di vita io la vedo, bencheĢ sia notte.
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