Il gesuita Ilgit, vescovo ausiliare di Anatolia: essere ponte tra la Chiesa e la Turchia
Antonella Palermo - Città del Vaticano
Era il 1990, quando a 18 anni lasciò per la prima volta la sua città, Mersin, nell¡¯antica Cilicia. Suo padre, un pescatore, sua madre, una casalinga. Partiva per la capitale, Ankara, dove avrebbe iniziato l¡¯università sognando di diventare un Kaymakam (sottoprefetto) o un accademico. Il pullman fece tappa a Tarso, di cui Antuan non conosceva ancora nulla. Come si legge sul sito degli , il Signore entrò nella sua vita a Istanbul, dove stava facendo un tirocinio come elettromeccanico. Prima nella Chiesa di Sant¡¯Antonio, poi a Bologna, nella Casa di Esercizi dei padri gesuiti, a Villa San Giuseppe.
Antuan Ilgit ha 51 anni e in Turchia ha conseguito nel 1994 la laurea in Pubblica Amministrazione. Dopo un¡¯esperienza di vita religiosa nell¡¯Ordine dei Frati Minori Cappuccini, nel 2005 è entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù (Provincia d¡¯Italia). Sacerdote dal 2010, si è formato alla Gregoriana e all¡¯Accademia Alfonsiana della Lateranense. Inviato poi negli Stati Uniti d¡¯America per proseguire gli studi, ha all'attivo un Master in Etica della Medicina presso la Saint Joseph¡¯s University e il Dottorato in Teologia Morale presso la School of Theology and Ministry del Boston College.
Finora Vicario Generale e Cancelliere del Vicariato apostolico di Anatolia, padre Ilgit è stato nominato da Papa Francesco Vescovo ausiliare con Sede titolare a Tubernuca. La consacrazione episcopale sarà il 25 novembre nella cattedrale di Instanbul. Da poco reduce da un pellegrinaggio a Lisbona in occasione della GMG con un gruppo di giovani turchi che ha accompagnato anche in udienza privata con Papa Francesco, a Pope, padre Antuan Ilgit SJ rilegge la sua storia.
Come ha accolto questa nomina?
Stavo facendo i miei Esercizi Spirituali annuali a Malta, in una comunità di gesuiti, e ho ricevuto la notizia. Ringrazio il Santo Padre per la sua fiducia in me. La sua Fiducia non è solo in me, in realtà, ma sui giovani della Turchia.
Lei si occupa proprio di Pastorale giovanile e vocazionale, per la Conferenza episcopale turca. Cosa ama ripetere loro?
Che non devono mai mettere limiti alla provvidenza. Soprattutto dopo il terremoto, i nostri ragazzi tendono a fermarsi dinanzi alle difficoltà, vedono il loro futuro in rovina. Io dico che sono loro le pietre vive con le quali potremo ricostruire la Chiesa.
Quali sono stati nel suo percorso di vita e di fede, gli incontri più determinanti e significativi?
Il mio cammino nella Compagnia di Gesù è iniziato grazie a due gesuiti che avevo conosciuto ad Ankara, durante i miei studi. Vedendo la loro preparazione, ma anche la loro semplicità e umiltà, anche io ho voluto spendere la mia vita nella Compagnia di Gesù, servendo la gente con una buona preparazione. Poi un incontro significativo è stato quello con monsignor Bizzeti, uomo libero e liberante. Mi ha cambiato la vita e mi ha reso sempre più convinto del cammino che stavo facendo sotto lo sguardo fisso nel Signore. Poi ho avuto anche il dono di incontrare il Santo Padre in diverse occasioni, una di queste quando ho fatto da interprete tra lui e il presidente Recep Tayyip Erdo?an, e questo incontro è ciò che desidero essere adesso: un ponte tra il mio Paese e la Chiesa.
Bella questa immagine... cosa significa costruire ponti in una terra devastata dal sisma? Cosa comporta dover ricucire da capo?
Io per molti anni sono stato in Italia, fino a due anni fa insegnavo a Napoli alla Facoltà Teologica. Negli ultimi due anni in Turchia ho sempre visto l'accoglienza da parte del governo e delle autorità. Ogni volta che abbiamo avuto bisogno di qualcosa, ci sono sempre venuti incontro. Il desiderio di collaborare mi dà molta speranza. Bisogna solo coltivare questo desiderio per poter vivere in pace e in serenità. Sotto questo aspetto, dal terremoto abbiamo sperimentato che possiamo aiutarci vicendevolmente.
Quale è la situazione sotto questo profilo, ad oggi, nelle zone colpite?
Dobbiamo ancora ricostruire la cattedrale. Finora abbiamo cercato di fare la progettazione. Dopo la mia consacrazione inizieremo a lavorare. Intanto, attraverso Caritas Anatolia, stiamo aiutando le persone, i rifugiati, per trovare loro un posto, una occupazione soprattutto per fare in modo di farli restare qui. La zona di Iskenderun, Antiochia, Tarso è infatti importante per la cristianità, ed ora che il gregge si è un po' diffuso in Turchia, il desiderio, insieme al nostro vescovo, è di farli stare nel loro luogo di origine. Bisogna dare loro un posto dignitoso in cui vivere e ai giovani garantire gli studi.
Nella sua vita ha vissuto in prima persona cosa vuol dire l'esodo. È tornato varie volte in Turchia, ed ora lo fa da vescovo. Come incide e inciderà la sua esperienza di migrante sulla prossimità ai migranti di oggi?
La vita è un continuo viaggio e anche la mia vita è stata sempre così. Come dice S. Ignazio, la vita è un pellegrinaggio e sarà sempre così fino all'ultimo istante. Il mio viaggio sta continuando con delle tappe molto interessanti e belle. Io dico che il Signore ha una grande creatività. Sono curioso di come andrà a finire e di quante altre sorprese incontrerò. Auguro un viaggio felice a quanti sono affidati alla nostra cura. Auguro di continuare a vivere la propria vita come un viaggio, confidando che il Signore non ci lascia. Il desiderio che porto nel cuore è affiancare i giovani rifugiati affinché possano vedere il volto di Dio nelle situazioni che vivono. Veramente sono sicuro che sapremo, tutti insieme, turchi, neofiti, cristiani autoctoni, giovani, rifugiati, tutti insieme sapremo rialzarci e ricostruire la nostra vita.
So che il termine 'ausiliare' le piace molto, vero?
Sì, sono andato a vedere sul vocabolario il significato. È quello di affiancare, aiutare. Aiuterò monsignor Bizzeti, mio padre spirituale, con cui ho fatto il mio discernimento per entrare nella Compagnia di Gesù. Mi ha aperto degli orizzonti che mai avremmo immaginato. Ho piacere e onore di aiutare attraverso di lui il Vicariato di Anatolia e anche tutta la Chiesa di Turchia, perché in questi ultimi due anni sono stato l'unico sacerdote turco presente in Turchia che serviva tutta la Turchia.
Questo ci riporta anche al senso ultimo e profondo del ministero dei Pastori da intendere appunto a servizio della gente, non come mera occupazione di posizioni...
In Turchia non c'è questo rischio, direi... Qui, tutti coloro che sono venuti nella nostra Chiesa hanno operato con questo spirito. Mi piace molto ricordare ciò che mi scrisse molti anni fa monsignor Padovese che voleva sempre che io ritornassi qui. Diceva: "Adesso per te è il momento di ritornare in Turchia e ridonare tutto quello che hai ricevuto: la carità, la pace, la consolazione, la speranza. Mi sento di fare questo. Per i miei connazionali lavorare per la pace, dare la speranza, e lavorare nella carità".
Come intende dare il suo contributo per il dialogo interreligioso?
Ho fatto il mio dottorato per lavorare specificamente nel campo della bioetica, nell'ambito del dialogo interreligioso. Ho sempre sostenuto che abbiamo tanti punti in comune soprattutto per quanto riguarda la preservazione della vita dal suo nascere alla sua fine. Nel suo insegnamento ho sempre sottolineato questo aspetto. Sperimentando la tragedia del terremoto, ho avuto conferma di questo aspetto. Ho visto che nella tragedia che ci ha unito nella vita e nella morte siamo stati davvero capaci, sia con i nostri fratelli musulmani che con i nostri fratelli ortodossi, di unirci e di collaborare. Il dialogo interreligioso io lo concepisco così, nella vita. Possiamo continuare anche a livello accademico a discutere su diversi temi, ma abbiamo tante occasioni per restare uniti.
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