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Il processo nell'Aula dei Musei Vaticani per i presunti illeciti compiuti con i fondi della Santa Sede Il processo nell'Aula dei Musei Vaticani per i presunti illeciti compiuti con i fondi della Santa Sede 

Processo vaticano, la dichiarazione spontanea del cardinale Becciu

Nella trentesima udienza nell’aula dei Musei vaticani, il porporato ha replicato alle affermazioni del commissario della Gendarmeria. Oggi le testimonianze di Marco Simeon e Andrea Pozzi, ex vicepresidente di Enasarco

Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano

Una nuova e lunga dichiarazione spontanea del cardinale Angelo Becciu, in risposta alle dichiarazioni nell’interrogatorio di ieri del commissario della Gendarmeria Stefano De Santis, ha aperto l’udienza numero 30 del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede. Prima dell’escussione dei testimoni, e dopo la lettura di due ordinanze del presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, il cardinale è tornato sulla questione dell’incontro del 3 ottobre 2020 nel suo appartamento con lo stesso De Santis e il comandante della Gendarmeria, Gianluca Gauzzi Broccoletti, il quale aveva chiesto al porporato di voler discutere con lui di alcune questioni a voce. Tra queste, il fatto che la manager Cecilia Marogna stesse spendendo i soldi forniti dalla Santa Sede per una missione umanitaria in beni di lusso. A detta di Becciu, Gauzzi aveva chiesto che l’incontro fosse “tutelato dall’impegno della massima riservatezza”; invece il commissario ha affermato che mai furono imposti vincoli di segretezza. “Confermo nel modo più assoluto che mi venne detto di tenere il segreto e io ho rispettato quell’impegno e anche nei momenti più difficili e tormentati non ho mai confidato a nessuno di quell’incontro”, ha affermato invece oggi Becciu, che si è detto "dispiaciuto" dalle affermazioni di ieri.

L'incontro nella casa del cardinale

Nell’Aula dei Musei Vaticani, ha riportato alcune frasi che De Santis avrebbe pronunciato nel corso di quel colloquio, come ad esempio il suggerimento a rientrare in Sardegna per vivere “tranquillo” tra la sua gente. “Non vorrà mica partecipare a un processo? Lei sa bene quante cose negative potrebbero venire fuori!”, avrebbe detto il dirigente della Gendarmeria, secondo il racconto del cardinale. “È da due anni che mi chiedo il senso di quelle parole”, ha affermato Becciu in aula, assicurando di continuare a partecipare alle sedute “fino alla fine, a testa alta, sicuro che la verità emergerà e così la mia assoluta innocenza”.

Il bene per i poveri

Dal porporato anche un cenno alla questione dei finanziamenti della CEI alla Caritas della Diocesi sarda di Ozieri, devoluti poi alla Cooperativa Spes, di cui il fratello Tonino era titolare. “Io non nego il mio interessamento, non vi vedevo e non vi vedo alcun reato, perché questa è una prassi normale nella Chiesa, quella di aiutarsi reciprocamente”, ha sottolineato Becciu. La Chiesa, ha aggiunto, non è “un’azienda e neppure un ufficio municipale”, nella Chiesa “regna la legge dell’amore e del disinteresse… Aiutare a creare opere di bene è il massimo che un cristiano, un sacerdote e ancor più un vescovo deve fare”. E nel caso della Spes, oltre settanta persone sarebbero state aiutate ad avere un lavoro, senza mai avere un “sollecito” o “un rimprovero” dalla CEI.

"Mai arricchiti i miei familiari"

L’imputato ha dato spazio nella dichiarazione anche al fatto, emerso nell’udienza di ieri, che la Segreteria di Stato ha erogato 60 mila euro alla Cooperativa “Simpatia” di Como, dove lavora il padre di monsignor Alberto Perlasca, testimone ‘chiave’ del processo: “Perché Ozieri è stata indagata e Como no? Perché Ozieri ha provocato tutto questo gran can mediatico?”. La ragione, ha detto Becciu, è che “si è sospettato che i miei familiari si fossero arricchiti”. A tal proposito, il cardinale ha invitato il commissario De Santis a dichiarare pubblicamente se mai, dagli accertamenti, ha trovato un’entrata irregolare nei conti dei familiari: “La autorizzo a dirlo! Mai un centesimo è entrato nelle tasche dei miei fratelli”.

L'operazione umanitaria

Infine, quanto all’operazione umanitaria che ha portato alla liberazione della suora colombiana rapita in Mali, Becciu – che era stato sollevato dal segreto pontificio – ha riferito di sentirsi “ancora vincolato al segreto” e di “non dover ulteriormente dettagliare”. Ha solo rivelato che in quella occasione “fu sventata, solo all’ultimo secondo, una fuga di notizie, che avrebbe messo in pericolo l’immagine della Santa Sede e la sicurezza delle missionarie e dei missionari impegnati in territori difficili”. Per questo, “solo per questo”, nella vicenda che riguarda Cecilia Marogna fu ritenuto di “non parlarne neanche con la Gendarmeria”.  Sempre sulla Marogna, il cardinale ha detto di essersi "irritato" nel venire a sapere che "si fossero iniziati a spendere soldi di quella somma destinata a ben determinati scopi": "Mi ripromisi di chiarire subito con la signora. Cosa che feci e lei mi assicurò totalmente che non era vero. Non mancai di dirle che qualora avesse attinto da quei soldi non per le operazioni concordate, li doveva assolutamente rimettere a posto".

Due ordinanze

A inizio udienza il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha letto due ordinanze: la prima per rigettare la richiesta avanzata dalla difesa del broker Gianluigi Torzi sulla possibilità di essere interrogato da remoto, a causa di impedimenti dovuti alle pendenze in Italia; la seconda, per rigettare la richiesta del teste Luciano Capaldo, ingegnere e consulente della Segreteria di Stato, residente a Londra, che avanzava come impedimento per presentarsi in aula il rischio di danni di salute per il volo in aereo. Impedimenti non documentati per Pignatone, che ha ordinato che il Promotore di Giustizia concordi col teste un appuntamento per venire a testimoniare.

Interrogato Simeon 

Primo teste di oggi è stato Marco Simeon, persona che dal 2000 ha mantenuto rapporti con la Santa Sede tra fondazioni e incarichi. In particolare a Simeon, residente da anni a Rio de Janeiro, è stato chiesto conto del ruolo nella proposta di acquisto del Palazzo di Sloane Avenue, pari a 315-330 milioni, presentato dal prestigioso gruppo americano Bizzi & Partners. Tema già affrontato nell’udienza di ieri. La proposta fu avanzata dall’onorevole Giancarlo Innocenzi Botti, con il quale Simeon era in rapporti da tempo; rappresentante del gruppo era l’ambasciatore Giacomo Castellaneta. La proposta arrivò un anno dopo che la Santa Sede aveva liquidato Torzi e riacquisito la proprietà totale dell’immobile.

La proposta d'acquisto dell'immobile di Londra

A Simeon il promotore di Giustizia aggiunto, Roberto Zannotti, ha domandato la genesi del progetto e il coinvolgimento del cardinale. Becciu è sempre rimasto fuori dalla trattativa, ha detto il teste, spiegando che Innocenzi chiese un aggancio “per avvicinare” il porporato e presentargli la proposta di Bizzi & Partners. Simeon, che aveva conosciuto Becciu nel 2018 e mantenuto sempre “rapporti cordiali”, gliene parlò e il cardinale disse di aver ricevuto dai superiori l’indicazione che c’era una disponibilità a valutare la vendita ma “seguendo strade ordinarie” e tramite gli “organi competenti”. Nel caso specifico, padre Juan Antonio Guerrero, prefetto della Segreteria per l’Economia, per la “parte operativa”, e il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, in rappresentanza della Segreteria di Stato proprietaria dell’immobile. La proposta non andò in porto, dopo che Guerrero sottolineò alcune criticità. Inoltre, il sospetto dell’accusa è che vi fosse ancora Torzi dietro che voleva riappropriarsi del palazzo. Se si fosse realizzata la transazione, Simeon avrebbe preso “il 3%”: “Non lavoravo gratis”.

Ancora, Simeon ha chiarito che tra lui e Gianluigi Torzi non c’era alcuna relazione (le informazioni sul broker le prendeva da Innocenzi Botti) e che venne a sapere dell’esistenza del finanziere solo a maggio 2020. “L’unico contatto è stato una telefonata per sapere chi lo avesse chiamato a lavorare in Vaticano… Per me lui era solo una ‘criticità’ nella vendita dell’immobile”.

Prossime udienze

Nel corso dell’udienza è stato sentito anche Andrea Pozzi, già vicepresidente della Fondazione Enasarco. Chiamato dall’accusa per alcuni investimenti del fondo Athena riconducibile a Raffaele Mincione, il suo esame si è esaurito in pochi minuti, dopo che è stato evidenziato che i fatti non erano inerenti ai capi di imputazione. La prossima udienza si terrà il 19 ottobre. Insieme a tre gendarmi, sarà sentito l’arcivescovo Rocco Pennacchio.

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14 ottobre 2022, 15:30