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Quella responsabilità dei capi delle nazioni

Le parole del Papa all’Angelus, un appello a fermare la macchina della guerra che sta trascinando il mondo verso un baratro senza ritorno

ANDREA TORNIELLI

La decisione di dedicare l’intero spazio della tradizionale catechesi dell’Angelus domenicale ad un appello per la pace dice quanto Papa Francesco ritenga grave la minaccia che aleggia sul mondo. Era accaduto una sola altra volta, nei primi mesi del suo pontificato, a proposito della guerra in Siria. Le due situazioni non sono peraltro paragonabili e quella odierna appare più minacciosa per le sue possibili catastrofiche conseguenze. I due appelli del Pontefice – innanzitutto al presidente della Federazione Russa affinché, “anche per amore del suo popolo”, fermi la spirale di violenza da lui iniziata, e poi al presidente dell’Ucraina, affinché non chiuda la porta a “serie proposte di pace” – sono stati accompagnati da un appello altrettanto vigoroso e preoccupato a tutti i responsabili politici delle nazioni, perché facciano tutto il possibile per fermare questa guerra scoppiata nel cuore dell’Europa cristiana e non si facciano coinvolgere in una pericolosa escalation.

Sono parole pesanti, che ricordano a tutti come i protagonisti di una soluzione negoziata in questo conflitto che ha provocato migliaia di morti innocenti, milioni di sfollati, la distruzione di un Paese e ora rischia di trascinare il mondo intero verso il baratro dell’olocausto nucleare, non possono essere soltanto i leader delle due nazioni direttamente coinvolte. Spetta anche ad altri chiedere con forza il cessate-il-fuoco e promuovere iniziative di dialogo per far prevalere quelli che Papa Francesco chiama “schemi di pace”, invece di continuare ad applicare “schemi di guerra” rimanendo succubi di una folle corsa al riarmo che sta archiviando in fretta la transizione ecologica insieme alle speranze di un ordine internazionale non più basato sulla legge del più forte e sulle vecchie alleanze militari.

Settimana dopo settimana, mese dopo mese, da quel 24 febbraio che ha segnato l’inizio della guerra con l’invasione russa dell’Ucraina, tutto è sembrato precipitare come per inerzia, quasi che l’unico esito possibile fosse la vittoria di uno sull’altro. Sono mancati creatività diplomatica e coraggio per scommettere sulla pace. È mancata soprattutto la lungimiranza di chiedersi quale futuro si prospetta per l’Europa e per il mondo. Lo scorso aprile, a distanza di un giorno l’uno dall’altro, prima il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, e poi il segretario di Stato della Santa Sede Pietro Parolin hanno fatto un richiamo agli accordi di Helsinki che nel 1975 segnarono una significativa svolta per l’Europa attraversata dalla cortina di ferro e per il mondo diviso in due grandi blocchi. Papa Francesco ne ha parlato lo scorso 14 settembre, dalla capitale del Kazakhstan, invocando un nuovo “spirito di Helsinki” e chiedendo di evitare il rafforzamento di blocchi contrapposti.

L’appello del Successore di Pietro all’Angelus di domenica 2 ottobre è una chiamata in extremis alla responsabilità di tutti, perché prevalga l’interesse comune dell’umanità sugli interessi particolari delle grandi potenze. Siamo ancora in tempo.

 

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03 ottobre 2022, 14:00