Conferenza Caritas sulle donne: garantire l'uguaglianza a chi ancora oggi non ha voce
Francesca Merlo - Parigi
La seconda giornata della conferenza promossa da Caritas Internationalis sul tema della leadership femminile, ha preso il via, presso la sede dell'UNESCO a Parigi, con una tavola rotonda composta da rappresentanti, uomini e donne, di Europa, America Latina, Africa, Asia e Medio Oriente. Obiettivo, cogliere alcune delle questioni centrali, discusse nella giornata di ieri, che frenano le donne e le ragazze, impedendo così la loro responsabilizzazione, e discutere le potenziali soluzioni a questi problemi. Si sono susseguite tavole rotonde sull'indipendenza economica, la salute, la nutrizione e la sicurezza alimentare, ma anche su come dotare le donne degli strumenti necessari per la leadership. Alcuni relatori hanno posto la domanda: "Quali sono le chiavi per accedere alle opportunità?".
Fame e nutrizione
La prima a parlare, tramite videomessaggio, è stata una nutrizionista venezuelana, Susana Raffalli. Tra le toccanti affermazioni che ha condiviso il fatto che le donne sono più basse di 8 cm rispetto agli uomini quando entrambi devono affrontare la malnutrizione, mentre ha descritto questa conferenza come "la voce delle donne e delle ragazze più affamate del mondo".
Affrontare le regole sociali e cuturali
Marthe Wandou è intervenuta successivamente, in qualità di sostenitrice dei diritti delle donne e vincitrice del Right Livelihood Award. Ha sottolineato l'importanza non solo di dare una possibilità alle ragazze, ma anche di dare una seconda possibilità alle donne. Wandou ha parlato della realtà della sua area geografica, il Camerun, con l'ascesa di Boko Haram e di altri gruppi terroristici che portano violenza, abuso sessuale, paura, sfollamento e morte. Purtroppo, ha osservato, come in altri Paesi africani, alcune aree del Camerun presentano forti credenze culturali e tradizionali che frenano la lotta per l'uguaglianza, poiché la mancanza di istruzione e la visione discriminatoria delle donne ne impediscono il progresso tenendole lontane dalle opportunità.
Questo stesso punto è stato ripreso poco dopo dalla dottoressa Marianna Zanetti, ginecologa italiana che ha lavorato a lungo in Sierra Leone e in altri Paesi dell'Africa occidentale. Le donne che si trovano ad affrontare problemi di salute spesso non sanno cosa fare o a chi rivolgersi, ha detto. Spesso la soluzione più semplice è rivolgersi a un guaritore tradizionale che, come osserva la dottoressa Zanette, non ha una formazione medica. Christine Allen, direttrice di CAFOD, la Catholic Agency for Overseas Development, ha usato il termine "barriere sistemiche" per descrivere alcuni di questi problemi. Come moderatore, Philip Pullela della Reuters ha osservato che: "L'unico modo per superare queste barriere sistemiche è una risposta sistemica".
Empatia e altre lezioni
Oltre a parlare della realtà della sua regione, il Medio Oriente, Karam Abi Yazbeck, coordinatore regionale di Caritas MONA, la Caritas del Medioriente e del Nord Africa, ha raccontato di aver perso il padre in giovane età e di essere cresciuto con la madre e tre sorelle. Sua madre è stata il suo primo modello di leader e gli ha insegnato l'amore incondizionato e l'empatia. Ha notato che la madre e le sorelle gli hanno insegnato non solo le abilità necessarie per vivere bene, ma anche i comportamenti e gli atteggiamenti propri di un adulto e di un leader a tutto tondo.
Risolvere i propri problemi non è sufficiente
Un'altra toccante testimonianza è stata quella di Mariam Yahia Ibrahim Ishag, testimone e sostenitrice dei diritti delle donne.
La signora Ibrahim è una cristiana sudanese che è stata imprigionata per essersi convertita al cristianesimo. È stata condannata a 100 frustate e alla morte per impiccagione ed è stata imprigionata insieme al figlio di 9 mesi. Durante la detenzione ha scoperto di essere incinta di sua figlia e per questo motivo la sua esecuzione è stata rimandata. Ha partorito in catene e, grazie alla comunità internazionale, è stata liberata e ora vive negli Stati Uniti con la sua famiglia. Mariam Yahia ha raccontato ai partecipanti alla conferenza che le viene spesso chiesto perché ora non si sieda, non si rilassi e non si goda la vita con la sua famiglia, e ha risposto che mentre era in carcere ha ricevuto quel sostegno che sa tutte le donne che soffrono meritano, ma che purtroppo non è così per tutte. "Sto combattendo per loro", ha concluso.
Zanetti: rimuovere ciò che impedisce la salute delle donne
Ai microfoni di Pope, la ginecologa Marianna Zanetti, impegnata nel mondo della Cooperazione e intervenuta alla conferenza, racconta come in alcune regioni del mondo sia difficile per le donne curare la propria salute e quella dei figli:
Dottoressa Zanetti, lei ha lavorato per tanti anni in Paesi che possiamo definire poveri, le chiedo quindi, in base alla sua esperienza, quali sono le maggiori barriere che pesano sulla salute delle donne in questi Paesi?
Ci sono varie barriere che le donne devono superare per poter accedere alle cure. La prima è proprio semplicemente la capacità di esprimere il bisogno di aiuto. Di dire: "non sto bene, devo andare a farmi vedere da qualcuno" è una decisone questa che molto spesso le donne non riescono a prendere da sole perché hanno un basso livello culturale e quindi non sanno neppure che cosa significa avere la salute, non sanno cosa significa stare bene, non sanno cosa significa prendersi cura di sé stesse o dei loro piccoli, quindi non riescono a identificare segni o sintomi che possono essere pericolosi. Una seconda barriera è la mancanza di potere decisionale, significa che non possono autonomamente dire "ho bisogno di andare in ospedale," ma sono la famiglia, il marito, che devono decidere se è il caso. Molto spesso, poi, questo tipo di donne vivono in luoghi in cui ci sono i medici del villaggio che sono di facile accesso, vanno da loro però spetta anche a loro decidere se la donna o il suo bambino, devono andare in un ospedale o in una struttura sanitaria che li possa curare. Tutto questo solo per decidere se andare in un ospedale o no.
Una volta deciso, c'è poi il problema di raggiungere una struttura sanitaria...
Certo, il problema se possono raggiungere l'ospedale, quando non ci sono strade, non ci sono mezzi di trasporto. Oppure se c'è un trasporto pubblico questo costa e le donne non hanno un'autonomia economica e quindi non possono prendere quel mezzo. Le donne sono bloccata e allora c'è un ulteriore ritardo nel poter ricevere le cure, soprattutto in condizioni di emergenza. Ci sono poi gli ostacoli che le donne affrontano nel momento in cui arrivano in una struttura ospedaliera. E questi ostacoli sono se questa struttura ospedaliera realmente funziona, cioè se ha luce, se c'è l'elettricità, se possiede gli strumenti che possono aiutarla, i farmaci adatti. Oggi, e sempre più diventa importante il problema della mancanza di personale sanitario, non solo di numero, ma anche di competenza per l'assistenza di routin, figuriamoci per le emergenze. quando le donne arrivano ormai in pericolo di vita.
E' necessario assolutamente coprire questi deficit, riorganizzare le strutture sanitarie, cercare di fare in modo che una struttura sanitaria abbia ciò che occorre e che le persone ci lavorano abbiano gli strumenti giusti, un salario, che abbiano le capacità. Inoltre le donne hanno il diritto, come tutti gli esseri umani, di un trattamento che rispetti la loro dignità e la loro volontà di essere trattate con tutta la dignità e l'umanità possibile, che a una donna si urli, che venga violentata verbalmente, e alcune volte anche fisicamente, nel momento più vulnerabile della sua vita come può essere il parto o in una condizione critica di salute per lei o per i suoi figli, è abominevole se ci pensiamo, eppure questa è la realtà.
Queste mi sembrano realtà che provengono molto dalla cultura e dalle tradizioni di un popolo. Come si fa a cambiare questa mentalità e ad aumentare il rispetto per le donne senza sminuire le loro tradizioni?
Si può intervenire sicuramente a livello scolastico, quindi già dalla prima scuola che anche le bambine possono frequentare anche nei Paesi più poveri, un'educazione che riguardi la salute delle donne, la salute riproduttiva, che cosa significa una dieta adeguata, cosa significa una corretta igiene: sono piccole cose, ma se un insegnante ben formato riesce a trasmettere questi concetti di salute, essi possono salvare la vita di quella donna, perché cresce sapendo che cosa è giusto e che cosa no. E' importante poi che questo programma di educazione continui quando le donne vanno in quelli che sono chiamati "antenatal e postnatal care", cioè tutti i servizi sanitari che vengono offerti sul territorio per l'assistenza delle giovani donne, delle mamme o dei loro bambini. Poi c'è tutto un lavoro da fare con gli adolescenti in questo processo educativo in centri pensati per loro dove i ragazzi possono capire che cosa significa veramente una relazione sana con l'altro sesso. Cosa significa decidere e quando avere un bambino oppure per aiutare quelle giovani donne che già hanno avuto dei bambini a non perdere la scuola, a rientrare nel sistema scolastico per avere delle opportunità di lavoro e non dover rimanere per anni e anni in un contesto di povertà.
Un altro aspetto è che ci sia la cosiddetta Community & Wellness, cioè che le persone nella comunità siano a conoscenza di cosa significa realmente prendersi cura delle loro donne e dei loro bambini, quali sono i segni di pericolo riguardanti le complicazioni ostetriche e neonatali. L'altro aspetto ancora è il coinvolgimento del marito, perché in Paesi dove c'è una predominanza maschile è essenziale che gli uomini siano coinvolti e quindi facciano parte del sistema di salute della donna per aumentarne la sua salute e il suo benessere fisico e mentale. Importante anche la testimonianza di altre donne che hanno fatto un'esperienza positiva in qualche struttura sanitaria.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui