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Tutela minori, nuovi membri. O’Malley: la Chiesa vuole fare luce nel buio degli abusi

Il cardinale racconta l’impegno della Commissione di cui è presidente che oggi si amplia con dieci nuove nomine: “Lavoreremo con la Dottrina della Fede ma rimaniamo autonomi”. Sulle commissioni indipendenti: “Importante conoscere la storia per non riviverla”. Alcuni vescovi ancora reticenti: “Senza un impegno serio, è impossibile ripristinare la fiducia con il popolo”. Una confessione personale: “Vado avanti per il desiderio di vedere le vittime tornare alla Chiesa”

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Il buio, cioè gli abusi del clero, cancro che ha eroso la Chiesa dall’interno. E la luce, la consapevolezza sempre più crescente negli episcopati, sulla spinta del Papa, che non c’è altro metodo per contrastare questo male che attraverso la verità. Anche se “dolorosa”. Il cardinale Sean Patrick O’Malley, il cappuccino arcivescovo di Boston che il Papa ha voluto dal 2014 a capo della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, parla per metafore. Ma è concreto lo sguardo su questa grave problematica nella Chiesa che, dice nel colloquio con i media vaticani, ha provocato “tanti danni”.

Nuovi membri

“Serve un impegno serio, è una questione di giustizia”, afferma a più riprese il porporato, nel giorno in cui il Papa ha nominato dieci nuovi membri della Commissione, di cui sette donne: i monsignori Peter Karam e Thibault Verny; padre Tim Brennan; le suore Mary Niluka Perera e Annah Nyadombo; la professoressa Irma Patricia Espinosa Hernández; le dottoresse Maud de Boer-Buquicchio, Anne-Marie Emilie Rivet-Duval, Teresa Devlin, Ewa Kusz. Come presidente dell’organismo, ora incorporato nel Dicastero della Dottrina della Fede, e ancor prima come arcivescovo di una Boston messa in ginocchio dalla pedofilia del clero e come visitatore in diocesi colpite dagli abusi (tra cui l’Irlanda), O'Malley dice di star cercando di fare il massimo. E di farlo per le vittime, per la loro guarigione: “È un ministero difficile, ma non potrei fare qualcosa di più importante”.

Ascolta l'intervista del cardinale O'Malley

Eminenza, la nomina di dieci nuovi membri nella Pontificia Commissione arriva dopo la riforma della Praedicate Evangelium che ha visto l’organismo incorporato nel Dicastero per la Dottrina della Fede. In che modo questi cambiamenti influiscono sul lavoro della Commissione? E cosa cambia con questo trasferimento?

Dal principio la Commissione è stata indipendente dalla Curia, ma adesso ne è parte e ha la nuova responsabilità di promuovere una cultura del safeguarding all’interno della Curia. Abbiamo sempre pensato che la Santa Sede e la Curia debbano essere di esempio per la Chiesa intera in questa materia, ora abbiamo l’opportunità di aiutare in questo processo come desiderio del Santo Padre. Siamo contenti di essere parte della Curia.

Non ci sarà quindi una limitazione, come qualcuno ha criticamente osservato, nel lavoro della Commissione dopo l’ingresso nell’organigramma curiale?

I membri sono indipendenti, sono laici, la metà sono donne, non siamo impiegati della Curia, sono sicuro che continueranno a esprimersi liberamente. Credo sia importante lavorare insieme alla Dottrina della Fede che è il Dicastero deputato ad affrontare i casi di abusi. Noi non agiamo nei casi individuali, la nostra responsabilità è promuovere la cultura del safeguarding, studiare i protocolli, trasmettere insegnamenti ai leader della Chiesa. Nel Dicastero della Dottrina della Fede abbiamo l’opportunità di portare a un atteggiamento pastorale al loro lavoro così importante. E anche per noi significa capire meglio la problematica dei casi di abusi nel mondo che arrivano al Tribunale.

 

Quindi c’è un diretto legame e anche un accesso all’operato e agli archivi del Dicastero? 

Sì, adesso dobbiamo dialogare con loro per capire meglio la responsabilità di ognuno e come agire insieme.

Diversi cambiamenti negli anni, ma la missione è rimasta la stessa: la tutela e la salvaguardia di minori e persone vulnerabili dagli abusi. A che punto si è arrivati nella lotta a questo che il Papa ha definito un cancro nella Chiesa?

Gli abusi sessuali hanno fatto tanti danni: nelle vittime, nelle famiglie, nelle diocesi, nel clero. Per molto tempo questo male è rimasto nascosto. Adesso la Chiesa vuole reagire e curare, portare luce nel buio. Il Papa dall’inizio del pontificato ha fatto della sicurezza dei minori una priorità. La Commissione è una delle prime cose che ha fatto per realizzare questo obiettivo.

Vede dei passi avanti dall’anno in cui è stata istituita?

Sì, a cominciare dal fatto che la Commissione ha chiesto al Santo Padre di avere un raduno con i presidenti delle Conferenze episcopali e lui l’ha convocato (il Summit per la tutela dei minori del febbraio 2019, ndr). Molto si è fatto anche nelle Conferenze episcopali, dove è un obbligo salvaguardare e curare.

Diverse Conferenze episcopali si sono avvalse in questi ultimi tempi del lavoro di commissioni indipendenti per far luce sui casi di abusi nelle diocesi, anche quelli più antichi. Secondo lei, questo strumento è valido e utile per la lotta agli abusi o è più alto il rischio che confluiscano in esso questioni ideologiche? 

Credo che è importante conoscere la situazione reale e la storia per non riviverla di nuovo. È una questione di giustizia… È un processo doloroso ma il fine è di avere cura dei sopravvissuti, di fare giustizia e anche creare una Chiesa dove noi padri di famiglia sentiamo che i nostri figli sono al sicuro. Bisogna studiare bene prima di avviare un’indagine, avere persone competenti e indipendenti. Negli Usa abbiamo realizzato alcuni studi che ci hanno aiutato a formulare dei protocolli, a creare una Chiesa più sicura. Dopo la crisi del 2002, abbiamo preso sul serio la questione abusi come problema da risolvere insieme e, dopo aver fatto diversi passi definitivi, vediamo che i casi nuovi sono pochissimi. Sono la dimostrazione che se c’è uno sforzo, si può cambiare una situazione, recuperarla.  

Ci sono dei dati precisi sui nuovi casi di abusi?

Tutti gli anni viene eseguito uno studio da una commissione nazionale e vediamo che i numeri sono diminuiti. Certo, anche un solo unico caso è una tragedia… Però vediamo che i casi sono molto meno.

Esattamente un anno fa, al summit di Varsavia lei ha parlato di una “conversione pastorale” per affrontare gli abusi. Cosa intende? È avvenuta questa conversione o ancora è lontana? 

La “conversione pastorale” è un concetto di Papa Francesco per dire che la conversione individuale è parte del nostro ministero. Credo che ancora ci sia molto da fare, ma è importante perché è impossibile evangelizzare nella Chiesa senza avere un impegno forte col safeguarding. È un ministero difficile, diversi vescovi hanno paura di avvicinarsi a casi di abusi, di parlare con i sopravvissuti e le vittime. Ma se non facciamo uno sforzo reale di trovare una soluzione a questo problema interno alla Chiesa, sarà impossibile ripristinare la fiducia con il nostro popolo. Nel libro di Carlo Maria Martini Come Gesù gestiva il suo tempo, il cardinale diceva che Gesù ha dedicato la maggior parte del tempo a prendersi cura di chi soffre e compiere opere di misericordia. È logico, perché la misericordia è il contesto per l’annuncio del Vangelo. Se il popolo non è convinto che lo amiamo, non ascolterà il nostro messaggio. La Chiesa ha l’obbligo di mostrare seriamente a tutti i fedeli che la sicurezza dei minori è la priorità numero uno, ha l’obbligo di proteggere, di prendersi cura. Non è facile ma è fondamentale perché se non riusciamo a correggere i problemi del passato, sarà impossibile alla Chiesa annunciare la buona Novella.

Parlava di vescovi che hanno paura. C’è quindi una certa reticenza da parte delle Conferenze episcopali nel prendere di petto questa sfida?

Sì c’è ancora, ma il Summit del febbraio 2019 ha segnato un momento storico. Ogni anno quando i nuovi vescovi vengono a Roma per la formazione, è un’opportunità per far capire loro l’importanza del safeguarding. Nel passato ho avuto modo di incontrare dei vescovi e sempre ho portato una vittima perché parlasse con loro. Molti mi dicono che la testimonianza è stata la cosa più importante dell’intera settimana.

Un’ultima domanda, più personale. Sono anni che svolge questo incarico che le ha affidato il Papa. Sono anni, quindi, che è impegnato in un ambito doloroso che magari le avrà portato a volte uno scoraggiamento o una pesantezza spirituale. Cosa la spinge ad andare avanti?

Il desiderio di vedere le vittime e i sopravvissuti ritornare alla Chiesa in pace. Ho visto tanta sofferenza, persone che hanno perso la fede dopo questa esperienza così terribile. Come pastore credo che questo ministero è, sì, tanto difficile ma non potrei fare una così più importante.

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30 settembre 2022, 12:00