Di Giovanni, la vocazione della politica alla fraternità e alla pace
L'Osservatore Romano
Nel Dna della politica «è iscritta» una fraternità che «deve essere messa in pratica senza finzioni». È il concetto posto in risalto dalla dottoressa Francesca Di Giovanni, sotto-segretario nel settore multilaterale della Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, intervenuta nei giorni scorsi a Palazzo San Calisto su invito dell’Associazione internazionale Carità Politica, riguardo al tema: “L’importanza di un multilateralismo rinnovato e fondato sulla fratellanza, la solidarietà e il bene comuneâ€.
Alla vocazione politica, ha sottolineato, corrisponde «una risposta di fraternità», un’azione «che ha riflessi pubblici, che riguarda altri, che sa guardare ad un disegno politico più ampio, alle conseguenze sociali e internazionali delle proprie scelte». Che non cancella quindi le distinzioni, «non omologa ma apre», «non chiude» ma sa trovare soluzioni e «nuove vie». Il contesto è, giocoforza, quello di oggi, di un «fragile», anzi «fragilissimo», stato delle relazioni internazionali e del multilateralismo.
Sono trascorsi più di 75 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e - ha riflettuto - dalla conseguente creazione di istituzioni nate, come le Nazioni Unite, per favorire la pace attraverso il dialogo e la cooperazione internazionale. Tuttavia nel mondo imperversano «conflitti crescenti e persino guerre»: è in atto, ha ricordato citando Papa Francesco, «una terza guerra» combattuta «a pezzi». Oggi, ha osservato Francesca Di Giovanni, l’ordine internazionale del dopoguerra e le sue istituzioni non sono riusciti a «raggiungere il loro obiettivo di pace permanente e hanno, come minimo, un disperato bisogno di riforme e di rinnovamento».
Soffermandosi sull’impegno della Santa Sede nella comunità internazionale, Francesca Di Giovanni ha evidenziato come essa non possa «stancarsi di incoraggiare la cooperazione internazionale, il confronto aperto e rispettoso su diritti e doveri fondamentali, il dialogo per raggiungere un risultato positivo per tutti gli interlocutori, senza distinzioni di potere e di ricchezza». Un impegno portato avanti «senza pretese di difendere interessi economici o strategie militari», sostenendo quindi «l’incontro». È Papa Francesco, nell’enciclica Fratelli tutti, a notare che «l’incontro non può essere fondato su diplomazie vuote, doppiezze, maniere».
Fin dall’istituzione delle Nazioni Unite, ha osservato il sotto-segretario, sono stati indicati ideali e valori, come «salvare le generazioni successive dal flagello della guerra», «riaffermare la fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e valore della persona umana», il mantenimento della giustizia, la promozione del progresso sociale e di migliori standard di vita «in una più ampia libertà». Eppure, ha constatato, tali obiettivi «sono stati difficili se non impossibili da raggiungere»: «in pratica, mentre gli Stati inizialmente consentivano sui valori da perseguire, spesso non trovavano l’accordo sul loro contenuto. Di conseguenza, nel corso degli anni abbiamo visto che l’interpretazione di questi principi e valori è stata oggetto di un notevole disaccordo».
Purtroppo oggi, ha messo in risalto Francesca Di Giovanni, «vediamo che il dibattito sulle questioni più importanti, tra cui, ad esempio, il diritto alla vita e persino la libertà di religione, anziché aprire una strada per ulteriori discussioni e accordi sui punti più “essenzialiâ€, è diventato chiuso o quasi impossibile».
Succede nelle negoziazioni delle risoluzioni all’Onu, durante le quali «gli Stati e persino le organizzazioni con più soft power e influenza cercano di controllare la narrativa e forzano l’accordo su termini e concetti controversi che impediscono di fatto un vero consenso». In tale quadro, tutto è «soggettivo» e l’unico ideale comune diventa «la praticità», andando a minare «il consenso, ma anche la solidarietà e la fraternità».
Questo, ha aggiunto, vale ad esempio per il rifiuto da parte di molti Stati di raggiungere un accordo «sulla consegna degli aiuti umanitari, o sui loro obblighi di rispettare i diritti umani dei migranti e dei rifugiati o per la promozione del cosiddetto “diritto all’aborto※, ma anche sul tema dell’accesso libero alle conoscenze «in tema di brevetti sui farmaci» o, per esempio, sul lavoro minorile. Citando il discorso di San Paolo VI alle Nazioni Unite nel 1965, Francesca Di Giovanni ha ricordato il ruolo della Chiesa all’interno dell’organizzazione come «esperta di umanità», operando a sostegno della sua «vocazione» di portare «non solo alcuni popoli ma tutti popoli uniti come fratelli». Fraternità e solidarietà «implicano il camminare insieme, condividere il peso del cammino», verso «il vero e il bene». Richiamando l’esortazione apostolica Evangeli Gaudium, il sotto-segretario ha ricordato come Papa Francesco veda la fraternità come «via per la pace», sulla scia degli insegnamenti di San Paolo VI. Una pace che, citando inoltre San Giovanni Paolo II, è «un bene indivisibile». Essa, ha voluto evidenziare ancora, può essere conquistata e fruita, «come miglior qualità della vita e come sviluppo più umano e sostenibile», solo se si attiva una determinazione a impegnarsi per il bene comune, anche nella prospettiva di un «convinto» multilateralismo.
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