? beato don Lenzini. Semeraro: archetipo del Buon Pastore
Roberta Barbi – Città del Vaticano
È meglio essere un pastore o essere buono? Si interroga sull’interpretazione del paradigma del Buon Pastore, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, nella Messa di Beatificazione di don Luigi Lenzini celebrata oggi nella cattedrale metropolitana di Santa Maria assunta in Cielo e San Geminiano a Modena. “Di pastori ce ne sono tanti nella Bibbia – ha affermato il porporato – ma di alcuni fra loro il profeta Ezechiele dice che invece di pascolare il gregge, pascolano se stessi e che invece di mettersi a servizio delle pecore mettono le pecore al proprio servizio”. Qual è, allora, il pastor bonus? Gesù lo dice chiaramente: quello disponibile a dare la vita per le proprie pecore.
La versione di San Bonaventura e San Gregorio Magno
Il prefetto ha poi raccontato come Santi del calibro di Bonaventura e Gregorio Magno interpretavano il modello del Buon Pastore. Il primo ricorreva a un’immagine, un vero e proprio gioco di parole: pastor come derivazione di pastus, quindi il pastore diventa buono quando diventa egli stesso pasto, ossia nutrimento spirituale per le sue pecore. “Questa è una verità che possiamo avere sempre a mente quando ci accostiamo all’altare per nutrirci di Gesù Eucaristia”, ha spiegato il cardinale. San Gregorio Magno, invece, si focalizzava sul criterio di valutazione dell’autenticità di un pastore: in tempi tranquilli tutti tengono la custodia del gregge, ma sono i tempi difficili che svelano il pastore autentico e smascherano il mercenario. “Il nuovo Beato come pastore istruì il popolo cristiano curando il catechismo dei bambini e l’insegnamento della religione a scuola, predicando a ogni Messa con parola semplice e convincente – ha osservato il cardinale Semeraro – come pastore ancora nutrì i fedeli portando il viatico agli infermi, era sollecito verso i poveri mostrandosi sempre pronto alle opere di carità, all’aiuto di chi ne aveva bisogno e al conforto di chi era nell’afflizione. Egli, a sua volta, si nutriva con l’Adorazione prolungata dell’Eucaristia”.
Don Lenzini, la straordinarietà della normalità
Il nuovo Beato era originario di Fiumalbo, nel modenese, e proveniva da una famiglia benestante e molto religiosa. Ordinato sacerdote nel 1904, vive in Emilia gli anni bui in cui dilaga una forma di socialismo ateo e materialista che punta a sradicare la fede. Un giorno, quando era parroco a Finale, un gruppo di questi “predicatori” arriva ad arringare la folla fin sul sagrato della parrocchia. Don Luigi, che ha appena 30 anni, esce e inizia a controbattere le accuse con la luce della Verità del Vangelo di Cristo. Da dove trae la sua forza? A chi glielo chiede, magari davanti a un buon bicchiere di vino o durante una partita di briscola, risponde che è la preghiera davanti a Gesù Eucaristia, ma anche la lettura della Parola. Non disdegna la normalità, neppure quella delle osterie, la quotidianità della sua gente che spesso accompagna, don Luigi: solo così è convinto di poter raggiungere davvero ogni anima senza escludere nessuno, nemmeno i partigiani che nasconde durante la guerra, nemmeno quei comunisti ricercati che poi, a guerra finita, lo assassineranno. “Fu questa vita ‘normale’ a renderlo pronto quando la tristezza del momento e la crudeltà umana fecero scempio del suo corpo – ha dichiarato ancora il cardinale Semeraro – oggi la Chiesa lo dichiara ‘martire’ perché riconosce che la sua esecrabile uccisione fu decisa ed eseguita in odium fidei per eliminare un sacerdote cattolico”.
Una campana e uno sparo nella notte
E arriviamo proprio al racconto della sua morte, una morte così straordinaria, il martirio, a conclusione di una vita volutamente normale. È la notte del 21 luglio 1945, la notte più buia per Crocette di Pavullo nel Frignano, dove don Luigi, che ormai ha 64 anni, è parroco da un po’. Quando i suoi assassini arrivano, armati d’inganno, lui non sta dormendo. Sta pregando. In un primo momento suonano alla porta, chiamano don Luigi, vogliono che venga a visitare un moribondo. Ma lui quel moribondo lo ha visitato di giorno, non sta poi così male, perciò fiuta la trappola. Quelli però non si arrendono, si arrampicano su una scala a pioli, irrompono in canonica. La perpetua scappa, don Luigi suona le campane: il suo ultimo grido d’aiuto. Gli aggressori, che sono un gruppo folto, sul sagrato sparano dei colpi di avvertimento. Nessun parrocchiano, per paura, accorre in aiuto di don Luigi che viene trascinato nel bosco seminudo, costretto a scavarsi la fossa, orrendamente torturato, mutilato. Si fa fare tutto, senza reagire, ma bestemmiare il suo Dio, quello no, quello non lo accetta, ed è proprio questo a scatenare la furia omicida dei suoi aguzzini che, infine, lo uccidono. Il suo corpo sarà ritrovato solo una settimana dopo.
La santità nel quotidiano nelle parole dei Papi
Il cardinale Semeraro, al termine dell’omelia, ha rimarcato il valore eccezionale dell’ordinarietà nella vita cristiana, così come è stata sottolineata nel corso degli ultimi pontificati: “San Giovanni Paolo II scrisse nella Lettera apostolica che era giunta l’ora di riproporre a tutti con convinzione la ‘misura alta’ della vita cristiana ordinaria – ha raccontato – Benedetto XVI disse che la santità non consiste nel compiere imprese straordinarie ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri e i suoi comportamenti; Francesco raccomanda di non separare la santità dalla vita di tutti i giorni, piuttosto di cercarla e abbracciarla nella quotidianità”. Proprio come don Lenzini.
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