Abusi, O’Malley alla Cei: c’è un mare di sofferenza che siamo chiamati ad affrontare
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Sette punti da trasformare in azione per “dare inizio a un processo costruttivo di revisione, di riforma, e di riconciliazione”. Nel suo videomessaggio all’Assemblea generale della Cei in corso a Roma - che ieri ha eletto come presidente il cardinale Zuppi - Il cardinale Sean Patrick O’Malley attinge dalla sua storia personale di vescovo fino all’esperienza come presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori per mostrare come negli ultimi anni – almeno 20 solo negli Stati Uniti – il lavoro fatto nel mondo dalla Chiesa nell’accogliere le vittime di abuso e dare vita a forme di tutela abbia prodotto risultati molto importanti. “Non abbiamo nulla da temere nel dire la verità”, afferma il porporato, “i nostri fedeli vogliono sentirsi sicuri nella loro Chiesa, e questo significa che devono essere resi più saldi nella fede dall’impegno dei loro pastori.
Di seguito il testo integralde del videomessaggio del cardinale O’Malley:
“Pace e bene!
Fratelli miei, siete nel Cenacolo.
In questi giorni prima della Pentecoste, siete infatti come gli apostoli riuniti attorno alla Madonna e a Pietro che pregano affinché lo Spirito Santo sia effuso sulla Chiesa. San Francesco d'Assisi voleva che i frati celebrassero i capitoli vicino alla Pentecoste così che lo Spirito Santo fosse il padre generale dell’ordine. Possa lo Spirito Santo essere effuso sulla nostra Chiesa e specialmente sulla vostra Conferenza Episcopale mentre siete chiamati a prendere tante decisioni impegnative.
Gli elementi da considerare sono numerosi e delicati, ma è fondamentale concordare una linea di azione comune per affrontare la questione in modo integrale. Voglio quindi encomiare questo sforzo, il vostro e quello di molti altri. Nella Commissione per la Tutela dei Minori siamo con voi per offrire qualunque aiuto possibile.
La complessità della sfida è tale per cui anche dopo trentotto anni di ministero, sia da sacerdote che da Vescovo coinvolto nella missione della protezione dei minori e nella lotta all’abuso clericale, continuo ad imparare nuove cose.
Durante i miei primi vent’anni da sacerdote, ho lavorato come cappellano per la maggior parte degli immigrati della comunità latina di Washington. Quei vent’anni sono alcuni dei più belli del mio sacerdozio.
Successivamente sono stato chiamato a servire la Chiesa come Vescovo in quattro differenti diocesi degli Stati Uniti: ognuna di esse aveva una situazione progressivamente peggiore in termini di abusi sessuali compiuti da sacerdoti e di negligenza nella gestione da parte dei loro pastori.
In quel periodo, una delle più grandi difficoltà è stata quella di sedere, individualmente o in gruppo, coi sopravvissuti e ascoltare le storie degli abusi. Sono certo che sapete quanto spezzi il cuore ascoltare personalmente le esperienze di abuso sessuale subito da un membro del clero. E può essere ancor più difficile quando la persona che avete di fronte sta ricordando una violenza avvenuta molti anni fa: quando le vittime siedono lì di fronte a voi e aprono i loro cuori, è come se tutto fosse accaduto solo ieri.
Ho avuto l’onore di organizzare gli incontri tra i sopravvissuti e il Papa Emerito Benedetto XVI, come pure con Papa Francesco: entrambi hanno scelto di intraprendere un ministero di pietà quasi del tutto sconosciuto cercando costantemente di raggiungere i sopravvissuti.
Il dolore e la malvagità incomprensibile rivelati in questi momenti di testimonianza possono dare rapidamente luogo a espressioni di rabbia dei sopravvissuti verso la Chiesa e la sua leadership. Talvolta le loro domande possono essere così soverchianti da portare a frustrazione e, quindi, a ulteriore collera. Qualche volta, forse anche giustamente, sembra che non siamo in grado di compiere adeguati passi per fare la cosa giusta a favore di coloro che sono stati abusati. Per un pastore, questa è forse la parte più difficile: sapere che il nostro ascolto e i nostri sforzi per la guarigione e la giustizia possono essere insufficienti per raggiungere quello che i sopravvissuti cercano. È un modo sobrio per ricordarci che alla fine solo la grazia di Dio può sanare ciò che il peccato ha spezzato.
Ricordo una storia accaduta quando ero Vescovo a Fall River, in Massachusetts. La diocesi aveva deciso di organizzare una sessione di ascolto con le persone arrabbiate per il modo in cui la Chiesa aveva gestito le accuse di abuso nel passato. Avevamo ricevuto molte lettere e telefonate riguardanti storie di abusi nella diocesi, alcune di casi veramente difficili.
Stavo guidando verso il centro pastorale dove si sarebbe tenuto l’incontro ed ero in compagnia di uno dei diaconi sposati della diocesi. Durante il viaggio, rimasi in silenzio e il diacono percepì la mia preoccupazione. Una volta arrivati, vedemmo molte macchine parcheggiate e la sala completamente piena. Mentre scendevo dall’auto, il diacono mi disse: “Non si preoccupi Eccellenza, tengo il motore acceso”.
Ancora oggi ricordo molto bene quell’incontro, uno dei molti cui ho preso parte nel corso degli anni. Fu conflittuale e pieno di delusione e rabbia non soltanto per gli abusi sessuali perpetrati da alcuni preti, ma per come erano stati gestiti, per il modo in cui le persone erano state ignorate, nella loro sofferenza, e per come la loro storia era stata cancellata.
Tuttavia, grazie a tutto questo sono arrivato ad apprezzare alcuni aspetti fondamentali. Innanzitutto che non abbiamo nulla da temere nel dire la verità. La verità ci renderà liberi. Non è affatto facile riconoscere le storie di abuso delle persone, offrire ascolto ai sopravvissuti e impegnarci a lavorare insieme per la giustizia, ma dopo quarant’anni vi posso dire che è la sola via.
Papa Montini aveva ragione quando diceva che la Chiesa è esperta di umanità. Possiamo sicuramente trovare delle modalità per abbracciare quelle vite umane che sono state spezzate dalla realtà dolorosa degli abusi nella nostra Chiesa. Questo lavoro di ascolto, guarigione e giustizia ci è richiesto in quanto connaturato al ministero fondamentale del sacerdote e del Vescovo: essere strumenti della grazia di Dio per coloro che sono stati feriti dalla vita, persino quando quelle ferite vengono da dentro. Uno dei più grandi desideri del cuore umano è sentirsi sicuro. I nostri fedeli vogliono sentirsi sicuri nella loro Chiesa, e questo significa che devono essere resi più saldi nella fede dall’impegno dei loro pastori.
E qui vorrei aggiungere alcune riflessioni che possono essere utili per la vostra discussione.
È una realtà che saremo giudicati sulla base della nostra risposta alla crisi di abuso nella Chiesa. Abbiamo bisogno di una conversione pastorale che includa i seguenti aspetti:
1. Offrire una cura pastorale efficace alle vittime;
2. Dare indicazioni chiare (e vigilare) sui corsi di formazione per il personale nella diocesi;
3. Fare uno screening adeguato e accurato;
4. Rimuovere i colpevoli;
5. Cooperare con le autorità civili;
6. Valutare attentamente i rischi esistenti per i preti colpevoli di abuso (per se stessi e per la comunità) una volta che sono stati ridotti allo stato laicale;
7. Dimostrare l’applicazione dei protocolli in atto, così che le persone sappiano che le politiche funzionano. Un audit e un rapporto di verifica dell’implementazione delle politiche sono molto utili.
La buona notizia è che laddove vengono adottate politiche effettive e attuate con efficacia, il numero dei casi si riduce drasticamente.
L’ostacolo più grande alla conversione pastorale è rappresentato dalla scelta di assumere subito un atteggiamento di difesa della Chiesa. Ovviamente, difendere la Chiesa può apparire naturale per Vescovi che sono stati incaricati di proteggere il gregge e la Chiesa di cui fanno parte. Ma Papa Francesco ci ha esortato a non cedere a questa tentazione e ha ribadito la necessità di accogliere le persone senza diventare troppo difensivi.
Non a caso, il Santo Padre ha descritto la Chiesa come un ospedale da campo, pronto a curare coloro che sono stati spezzati e feriti dal mondo. Lo scandalo degli abusi sessuali all’interno della Chiesa è come una malattia che le persone prendono mentre si trovano all’interno dell’ospedale. Nessuno nell’ospedale – e specialmente chi lo dirige – vuole ammettere che qualcuno si è ammalato nel luogo dove sarebbe dovuto guarire. Penso che questo paragone possa spiegare perché è così difficile per noi Vescovi accettare e rispondere insieme alla realtà degli abusi nella Chiesa.
Un altro argomento che voglio condividere con voi è quello relativo al modo in cui può essere assicurata e rafforzata la credibilità della Chiesa. Recentemente, Papa Francesco ha chiesto alla nostra Commissione di preparare un Rapporto Annuale su tutti gli sforzi che vengono fatti nella Chiesa universale per tenere al sicuro i bambini e le persone vulnerabili. Non vi è dubbio che la Chiesa sia uno degli attori principali in tutto il mondo nel creare i migliori strumenti per la protezione dei minori. Negli Stati Uniti, nel corso degli ultimi venti anni, non riesco a pensare a nessuna altra realtà che, come la Chiesa Cattolica, abbia formato così tante persone nel safeguarding. Anche questa storia deve essere raccontata. E la testimonianza del buon lavoro compiuto in tante parti del mondo, che sarà documentato nel Rapporto Annuale della Commissione al Santo Padre, può aiutare concretamente a ricostruire una fiducia credibile tra il clero e i fedeli. Il Papa ha ricordato che “senza quel progresso, i fedeli continueranno a perdere fiducia nei loro pastori, e annunciare e testimoniare il Vangelo diventerà sempre più difficile”. Più che rappresentare una difesa dell’istituzione o un requisito legale imposto dalla Chiesa, l’uso di buoni strumenti di tutela e un valido rapporto ci aiuteranno a preparare il terreno per diffondere la Buona Novella.
Mentre tracciate la via davanti a voi, la storia degli abusi nella Chiesa verrà sempre più alla luce. Questo è quello che è accaduto in ogni Paese dove si è avviato il processo. Allo stesso tempo, Papa Francesco ha indicato la necessità di una ermeneutica appropriata. L’abuso sessuale è stato sempre sbagliato, questo è certo. Ma sono state sbagliate anche le risposte dei leader ecclesiastici e civili. Abbiamo imparato tanto in questi ultimi quarant’anni. È solo con il tempo che siamo arrivati a vedere e comprendere le vite rovinate, le dipendenze dalle sostanze e anche il tragico fenomeno dei suicidi conosciuti e nascosti. C’è un mare di sofferenza che siamo chiamati ad affrontare.
Non dobbiamo temere di riconoscere il male che è stato fatto a moltissimi nostri fratelli e sorelle. Il “senno di poi” può essere un giudice molto forte, ma solo rispondendo con giustizia alle vittime si potrà arrivare alla guarigione. Laddove gli individui hanno fallito nel loro dovere, dobbiamo compiere passi decisi per renderli responsabili dei loro errori. Senza giustizia non ci può essere guarigione. Se le vittime sono private della giustizia, sarà difficile trovare una soluzione al problema.
Dalla nascita della Commissione, abbiamo visto rivelarsi in diverse parti della Chiesa e del mondo la realtà degli abusi sui minori, specialmente nel passato. Nessun luogo può esimersi dal dovere di affrontare tali questioni. Considerando la profondità con cui la Chiesa che è in Italia è radicata e la vostra grande esperienza, sono convinto che abbiate un’opportunità straordinaria per sviluppare un dialogo onesto e non difensivo con tutte le persone coinvolte, a livello nazionale e locale, e che sono disposte a dare inizio a un processo costruttivo di revisione, di riforma, e di riconciliazione.
Infine, vorrei aggiungere una parola su qualcosa che facilmente si dimentica. È altamente probabile che vi siano alcuni tra i vostri sacerdoti che sono stati abusati da membri del clero, da bambini o forse negli anni del seminario. Ricordate che ci sono servizi disponibili e che non siete soli. La realtà dell’abuso è sempre vicina a tutti noi, sfortunatamente. Sia nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità e persino nella nostra Chiesa.
Chiediamo al Signore di donarci una speciale saggezza, di essere guidati dallo Spirito della Pentecoste, affinché ogni cosa sia rinnovata nel Signore Risorto.
Vi ringrazio per l’attenzione che rivolgete a questo lavoro: possa Dio benedirlo abbondantemente”.
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