San Paolo, il primato della coscienza non è solo "teologico"
Pope
La coscienza in san Paolo: fu solo l’Apostolo a intenderla in senso “teologico” anziché solo “antropologico”? Al punto da aver “avvelenato”, come sosteneva Nietzsche, la morale cristiana? Non è così e lo dimostra una affermazione dello schiavo e filosofo Epitteto, di poco successivo a Paolo di Tarso, che coniò questo paragone: “Da bambini i genitori ci affidano ad un pedagogo, perché avesse sempre cura che non ci facessimo del male; divenuti adulti, Dio ci affida alla coscienza innata perché ci custodisca. Perciò non si deve mai disprezzare questa custodia, perché saremmo sgraditi alla divinità e nemici della nostra propria coscienza”.
Tre piste di riflessione
È da questo assunto che ha preso le mosse la lectio magistralis tenuta nei giorni scorsi all’Accademia Alfonsiana dal pro-rettore della Lateranense, monsignor Antonio Pitta. “La lapidaria esemplificazione di Epitteto”, ha osservato, “è uno dei vertici sulla concezione della coscienza nel mondo antico” e “demitizza, tra l’altro, l’assunto per cui, a parte Paolo, la coscienza non assumesse accezione 'teologica', ma semplicemente antropologica”. Lungo dunque è stato il percorso che ha portato all’approfondimento del tema, soprattutto in chiave ecclesiale. La lectio si è sviluppata su tre tipi di rapporto della coscienza così come intesa nelle lettere di Paolo: la coscienza e la Legge, la dimensione ecclesiale della coscienza e il primato della coscienza.
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