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La regista Lia Beltrami autrice del documentario La regista Lia Beltrami autrice del documentario 

Il film "Portami a vedere la notte". Beltrami: la spiritualità, un aspetto centrale

Presentato alla Filmoteca Vaticana il documentario di Lia e Alberto Beltrami. Attenzione concentrata sulla condizione femminile nelle comunità sinte e rom. Gli autori si raccontano

Rosario Tronnolone - Città del Vaticano

"Portami a vedere la notte..." è la richiesta di un bambino rom ad una suora che lo tiene in braccio: non riesce a dormire se non sente su di sé il cielo stellato, e il vento libero. Lia e Alberto Beltrami lo scelgono come titolo per il loro documentario che viene presentato in anteprima alla Filmoteca Vaticana nel pomeriggio di lunedì 15 novembre.

La protagonista del documentario è una donna, Carla, che cinquant'anni fa ha fondato l'Associazione Italiana Zingari Oggi (AIZO), scegliendo di condividere la vita delle comunità sinte e rom per capirle davvero. Una donna straordinaria e concreta che da cinquant'anni, con un folto gruppo di volontari, viene incontro alle difficoltà dei sinti e dei rom che vivono nei campi abusivi e nelle situazioni di maggiore disagio. Carla è una consacrata della Compagnia di Sant'Orsola, e nel 1971 si sente spinta dal desiderio di andare in missione. Per un incontro casuale (ma noi diremmo provvidenziale) con un sacerdote delegato ai rom e ai sinti, cambia la sua vita e fa una scelta di condivisione totale.

Il film presta una particolare attenzione alla condizione femminile nelle comunità sinte e rom: la testimonianza di Rebecca, una pittrice e violinista riconosciuta a livello internazionale, senza aver rinnegato la propria identità di origine, è significativa perché rappresenta la rottura di muri di pregiudizio e un cambiamento possibile all'interno delle loro stesse comunità. Ma l'aspetto forse più incisivo del film è la definizione che la stessa Carla dà di Gesù, quando lo chiama "rivoluzionario": ha rivoluzionato il suo mondo attraverso l'amore, e tutti noi siamo chiamati a portare la rivoluzione del Vangelo nel nostro mondo, per quanto contraddittorio e ostile possa apparire. 

A raccontare il retroscena e le origini di questa storia è la stessa regista, Lia Beltrami:

"Portami a vedere la notte" è il racconto di un popolo, ma anche della straordinaria esperienza di una donna, Carla: come l'hai conosciuta?

Carla vive da cinquant'anni con i Rom e i Sinti a Torino, e cinquant'anni fa ha fondato l'Associazione Italiana Zingari Oggi (AIZO), che è in tutta Italia. io ho conosciuto l'associazione in Trentino, e ho potuto apprezzare il lavoro straordinario di questa associazione, e da lì sono arrivata a incontrare Carla. E' una donna straordinaria, concreta, che, con i tantissimi volontari, cammina insieme ai Rom e ai Sinti, soprattutto quelli che vivono nei campi abusivi e nelle situazioni di maggiore disagio, e cercano di fare un percorso per costruirsi poi una vita, per motivarsi ad una vita.

 E' un'esperienza che per Carla è cominciata nel 1971: quali ragioni l'hanno spinta a questa scelta?

 Carla fa parte della Compagnia di Sant'Orsola, è una consacrata, ma cinquant'anni fa, da giovane studentessa, voleva fare del volontariato, o forse andare in missione. Un giorno si ferma a dare un passaggio a un autostoppista che si rivela essere un sacerdote delegato ai Rom e ai Sinti, che propone alla giovanissima Carla di andare a dar loro una mano, e così, in modo del tutto casuale (ma sappiamo bene che il caso non esiste), la Provvidenza la porta laddove il Signore aveva un disegno grande per lei. Da un autostop, Carla fa poi una scelta forte di condivisione totale, e in mezzo a enormi difficoltà costruisce quello che AIZO è adesso. E non solo come lavoro materiale: il suo ruolo spirituale è fortissimo, perché è una guida, un faro, una luce, una sorgente. Inoltre negli anni Carla ha raccolto materiali di studio in tutta Europa ed è riuscita a testimoniare per la prima volta il numero enorme di Rom e Sinti morti nell'Olocausto.

Le abitudini e le concezioni di questi popoli non corrispondono alle nostre: ad un certo punto nel film si parla di casa come prigione…

Sono frequenti gli attacchi di panico le prime volte che provano ad andare a vivere in un appartamento. Anche cose semplici come la puntualità dei bambini a scuola, si rivelano difficilissime: se non sei stato in un campo non puoi capire perché il bambino arriva alle 10.00 e non si è lavato: non si è lavato perché magari l'acqua è ghiacciata, e poi come è arrivato dal campo alla scuola? Sono dimensioni difficili da capire. Col film cerchiamo di far sì che lo spettatore desideri capire maggiormente. Anche il titolo è una frase che ci è stata riferita da Suor Sandra, la Madre Generale della Suore della Provvidenza: in una casa d'accoglienza c'era un bambino Rom di sette anni che aveva continue crisi di panico e che non riusciva a dormire. La suora lo ha tenuto in braccio e lui le ha detto: "Suor Sandra, portami a vedere la notte." Da lì lei ha capito che portandolo tutte le sere sul poggiolo, e addormentandolo fuori, senza un tetto, poteva poi portarlo a letto a dormire serenamente.

All'inizio del film uno dei protagonisti parla dell'invisibilità del suo popolo.

 C'è una difficoltà reciproca, ed è per questo che nel film abbiamo voluto portare l'esempio di giovani che rappresentano il cambiamento: un giovane Rom diventato operatore di Borsa e una giovane violinista che suonava agli angoli di strada in Argentina ed è ora riconosciuta a livello internazionale. Sono storie importanti di persone che, senza trascurare la loro identità, sono riuscite a costruirsi una vita.

La violinista sottolinea anche la condizione della donna nella comunità Rom.

Sì, Rebecca ammette che ci sono ancora tanti muri di pregiudizio da superare, quindi testimonianze come la sua e come quella di Rosa, la giostraia, sono importanti testimonianze di un cambiamento all'interno delle loro comunità.

 C'è poi un'altra donna che chiude il film, una ballerina di flamenco, che definisce la sua danza una possibilità di integrazione.

Il flamenco andaluso ha fortissime origini nel mondo gitano, nel mondo zingaro, ma poi unisce aspetti di varie culture ed elementi di dialogo interreligioso e quindi rappresenta, anche a livello simbolico, la possibilità di un dialogo tra le culture e tra le persone. La musica e la danza sono un messaggio di speranza.

C'è poi un aspetto che mi sembra centrale nel tuo film: Carla definisce Gesù "rivoluzionario".

La spiritualità è davvero un aspetto centrale del film: Gesù ha saputo fare una rivoluzione nel suo mondo e tutti noi siamo chiamati a farla nel nostro, ognuno nel proprio spazio. Carla dice: "Non importa se non mi volete bene, io ve ne voglio." Quanti ostacoli ha incontrato! Ma lei non si ferma mai, la rivoluzione del Vangelo non rimane ferma solo a parole, ma diventa una rivoluzione nei fatti, sempre con Gesù come ago della bussola.

Ascolta il podcast della trasmissione "Indovina chi viene a pranzo" con l'intervista a Lia Beltrami 

 

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15 novembre 2021, 16:03