Abusi, Caffo: “A Varsavia prioritario l’ascolto delle vittime, ancora troppi silenzi”
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Anzitutto l’ascolto, in primis delle vittime, poi la prevenzione, la formazione di educatori e famiglie, e pure un lavoro nel mondo digitale per educare i ragazzi ad inquadrare codici di riferimento validi e non quelli che conducono alla devianza e all’autodistruzione. Sono le direttrici sulle quali si muoveranno i lavori della Conferenza sulla protezione dei minori e degli adulti vulnerabili, al via a Varsavia domenica 19 fino al 22 settembre. Una Conferenza, organizzata dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei minori e dalla Conferenza episcopale polacca, che si distingue per essere la prima sul tema pensata per le Chiese dell’Europa centrorientale. “Le aspettative sono infatti molto alte”, spiega a Pope Ernesto Caffo, fondatore e presidente di Sos Il Telefono Azzurro, storica onlus che dagli anni ’80 è attiva per difendere i diritti dell’infanzia.
Caffo dal 2018 è tra i membri della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori e, in questa veste, sta lavorando per creare “un ponte” tra la Chiesa e le realtà sociali di numerosi territori che Il Telefono Azzurro abbraccia. Proprio questo è il contributo che porterà a Varsavia, approfondendo il vasto lavoro nel mondo web in una società in continuo cambiamento.
Dottor Caffo, qual è il punto centrale della Conferenza di Varsavia?
È una Conferenza preparata con grande attenzione, pur nelle difficoltà, e penso che uno dei punti fondamentali sia la dimensione dell’ascolto. Che è quello che nella mia esperienza, sia di psichiatra che di presidente di Telefono Azzurro, ho reputato sempre prioritario: ascoltare le voci di chi affronta questi temi. Noi partiremo dall’ascolto delle vittime, perché sono loro il punto di riferimento. Allo stesso tempo, cercheremo di capire anche il perché per tanto tempo - e tuttora - ci sono dei silenzi su questo tema e come sia possibile riuscire ad avere il coraggio di riflettere insieme tra le varie realtà della Chiesa: comunità, strutture, Conferenze episcopali. Un altro obiettivo importante è cercare di vedere come migliorare la rete d’intervento, perché c'è il bisogno di vedere questo degli abusi come un problema di sistema che va rivisto, guardando i singoli casi ma cercando di capire le disfunzioni e quindi trovare delle soluzioni.
Come mai la scelta di Varsavia?
Ogni Paese ha dei suoi problemi che vanno affrontati, ma nell’Est Europa ci sono stati ritardi maggiori rispetto agli altri. Questo il motivo per cui abbiamo voluto che la conferenza si svolgesse a Varsavia. Inoltre vogliamo raccogliere anche le esperienze positive maturate in questa area regionale, come pure i modelli di intervento innovativi che andranno sviluppati. Tutto questo è un esempio del lavoro che facciamo già da tempo, molto concentrato sulle realtà locali, ma guardando anche ad altri continenti in cui tali questioni sono state sviluppate.
Quali sono le tematiche al centro di interventi, relazioni, tavole rotonde che scandiranno queste tre giornate?
L’ascolto, come detto, è fondamentale, poi la formazione di tutti gli operatori religiosi e dei movimenti anche laici intorno alla Chiesa, lo sviluppo di percorsi di terapia di aiuto alle vittime e l’attenzione anche agli autori di questi comportamenti impropri. Anche questo è un tema che ci siamo posti per cercare di trovare risposte adeguate e funzionali. L’obiettivo principale è dare un aiuto ai vescovi che sono l’elemento chiave nell’affrontare il tema degli abusi, perché loro hanno la responsabilità e le competenze per poter fare questo percorso. È per me anche molto significativo – in vista dell’itinerario sinodale prossimo – mettere insieme tutte le diverse Conferenze episcopali, i movimenti e le altre realtà, sempre tenendo al centro i fragili, cioè le vittime. Ci rendiamo conto che c’è un bisogno enorme di interventi da fare, e da fare subito, perché gli abusi sessuali sui bambini sono tanti, la sofferenza dei più piccoli anche in altri ambiti è molto ampia. Dobbiamo avere cura delle vittime e questo richiede un contributo della Chiesa congiunto e sempre più efficace.
Che tipo di lavoro svolge Il Telefono Azzurro con la Chiesa su questa problematica?
Ci sono tre grandi aree di intervento. Una è quella di trovare modelli di ascolto più efficaci, che è quello che sta avvenendo in Sud America e in altre parti del mondo. L’ascolto, soprattutto, attraverso i sistemi digitali, perché in questo periodo di pandemia è aumentata la richiesta di aiuto tramite il web. La prevenzione resta poi un altro elemento chiave: aiutare le vittime all’inizio di un percorso è molto più adeguato ed efficace rispetto ad interventi tardivi. La seconda componente è la formazione, soprattutto di chi fa l’educatore e di chi è a contatto con bambini e famiglie. La terza è invece l’analisi sempre più attenta da parte nostra del mondo digitale, cioè tutto lo screening con le grandi aziende e con altri Dicasteri per riflettere insieme su come bloccare certe immagini di bambini, a cominciare da quelle pedopornografiche denunciate recentemente dal Santo Padre. Cerchiamo di fare questo lavoro con le grandi aziende che possono bloccare la diffusione di queste foto; al contempo, cerchiamo di costruire nuovi modelli di responsabilità nella comunità e nella Chiesa dell’uso di materiale digitale, in altre parole, educare ragazzi e famiglie all’uso corretto di internet. Affrontare i temi dei grandi valori nella rete è uno dei compiti sviluppati negli ultimi tempi dalla nostra Onlus con la Commissione pontificia, come elemento di stimolo e dibattito. In questo, la Chiesa deve avere un ruolo di guida e indirizzo.
Nella Chiesa si è reso evidente che una parte del problema degli abusi è possibile gestirla. Ma ci sono altri ambiti per cui probabilmente è necessaria anche la collaborazione del mondo laico…
La Chiesa oggi ha un ruolo di sintesi di alcune grandi complessità, cercando di avere al centro la persona e la sua dignità, come ha detto tante volte il Papa. Noi dobbiamo pensare che la Chiesa deve guidare i processi di cambiamento, ma conoscendoli e approfondendo gli aspetti che sono sempre più una sfida per tutti, specie in una prospettiva a medio-lungo termine. Chi come noi si occupa di bambini, si rende conto di quanto sia importante oggi dare una guida alle famiglie e al mondo degli educatori per poter aiutare i minori. Bisogna inoltre rendere i ragazzi responsabili e coinvolgerli con strumenti diversi. Sono molto preoccupato, ad esempio, dall’attrazione dei bambini verso mondi digitali che non hanno valori ma neanche codici di riferimento. Credo che dovremmo fare uno sforzo all’interno della Chiesa per comprendere come comunicare alle nuove generazioni i valori della persona e della fede. È un percorso che a mio avviso va fatto subito, non aspettando che i ragazzi si facciano attrarre da modelli di influencer e creator che non appartengono a culture del benessere, della vita comune, ma più della dimensione della distruttività e della devianza. In questo, forse, c’è un ritardo interno alla Chiesa.
Cosa si augura possa cambiare dopo Varsavia?
Che si ascoltino le vittime, si possa dare loro un aiuto immediato e questo senza un giudizio, ma anzi con una grande capacità nostra di comprendere come tale sofferenza può essere uno stimolo ad altri per parlare e chiedere aiuto. Vorrei che si creasse nella comunità un senso di accoglienza e non di emarginazione verso chi è stato vittima di abusi e violenze nella Chiesa. Dobbiamo accogliere tutti e questo senso di ascolto e accoglienza sarà al centro dell’azione non solo della Commissione ma della Chiesa intera.
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