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2020.12.08 San Giuseppe 2020.12.08 San Giuseppe

Gioia dei “Giuseppini del Murialdo” per la Lettera Patris corde

Padre Tullio Locatelli, superiore generale della congregazione nata a Torino nel 1873, sottolinea l’attualità della Lettera del Papa su San Giuseppe. “Ci ricorda la responsabilità silenziosa dei genitori e come i figli siano doni e non proprietà”

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

Alcune congregazioni religiose avevano chiesto a Papa Francesco un segno in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa Cattolica. Tra queste c’è la Congregazione dei Giuseppini fondata a Torino nel 1873 da San Leonardo Murialdo e da allora a servizio dei giovani poveri e del mondo del lavoro. Padre Tullio Locatelli, da due anni superiore generale dei Giuseppini del Murialdo, ai microfoni di Radio Vaticana Italia ha raccontato la gioia della sua famiglia religiosa per la pubblicazione della , firmata da Papa Francesco l’8 dicembre scorso e per l’indizione di un Anno speciale dedicato a San Giuseppe

L'intervista a padre Tullio Locatelli

R.- Abbiamo accolto questa Lettera con molta gioia. La scelta di mettere al centro della riflessione della Chiesa la figura di San Giuseppe, accanto a tanti altri temi di attualità, è stata per tutti noi una grande gioia e una grande sorpresa. Diverse congregazioni avevano scritto a Papa Francesco chiedendo un gesto, un segno particolare, in occasione del centocinquantesimo della proclamazione di San Giuseppe quale patrono della Chiesa universale e perciò, quando è arrivata questa Lettera con l’annuncio dell’anno giuseppino, abbiamo veramente sentito il Papa vicino e abbiamo sentito ancora di più l'impegno e la responsabilità di presentare la figura e la missione di San Giuseppe. Quindi grande gioia, grande sorpresa ma anche grande responsabilità, ma ne siamo contenti.

Il Papa parla di Giuseppe come l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta. Lo definisce un intercessore e un sostegno, una guida nei momenti di difficoltà. Il "passare inosservato" è una caratteristica propria di questo Santo?

R.- Questa caratteristica ce lo rende molto vicino. Non tutti siamo dei personaggi famosi, non tutti andiamo sulla prime pagine. Ma ciascuno di noi vive una vita ordinaria, una vita quotidiana, che non è meno significativa o meno importante perché non è una vita alla ribalta. È bello pensare che quando nel Vangelo Gesù torna a Nazareth, ed è già diciamo un Gesù conosciuto e famoso, a Nazareth dicono: ma non è costui il figlio di Giuseppe? Quindi è vero che i trent’anni di Nazareth sono stati vissuti dalla Santa Famiglia nel silenzio del mistero e nel mistero del silenzio. Ma la gente sa che Gesù è figlio di Giuseppe, quasi a dire che proprio questo atteggiamento, questo essere nel silenzio, ha custodito, ha educato, ha fatto crescere Gesù. La gente riconosce perciò che tutto questo l’ha fatto San Giuseppe. Viene da pensare a tanti papà e a tante mamme, tante famiglie, che nel silenzio lasciano però una traccia profonda nella vita dei loro figli. Questo è molto bello ed è il motivo per cui San Giuseppe lo sentiamo vicino a noi, anche nella nostra vita: ordinaria, quotidiana - e perché no - inosservata.

Nella Lettera papale Giuseppe è definito padre nell'accoglienza, nell'obbedienza, ma anche padre lavoratore e dal coraggio creativo. Sono definizioni che sottolineano in modo inedito la sua profondità spirituale…

R.- Direi che si tratta di un accento nuovo nel ritratto spirituale di San Giuseppe. È un Santo a cui si attribuiscono gli aggettivi di “lavoratore” e “artigiano”. Il Vangelo accenna a questo mestiere, al lavoro di San Giuseppe. È una circostanza che ce lo rende vicino perché ci mostra che anche nella Santa Famiglia c’è qualcuno che si rende responsabile di chi è più piccolo, più debole, più fragile e attraverso il suo lavoro aiuta gli altri a crescere, si mette veramente al loro servizio. Ma è interessante questo concetto di “coraggio creativo” che Francesco introduce. Mi sembra che il Papa voglia dirci che Giuseppe è l'uomo ubbidiente ma la sua non è un’obbedienza passiva, di chi esegue semplicemente, ma di chi mette in campo tutta la sua intelligenza, la sua sapienza, ma anche la sua responsabilità. Non per nulla Papa Francesco ricorda che nel ritorno dall'Egitto verso Nazareth, San Giuseppe pensa bene da che parte andare, quale strada prendere. Il suo è un coraggio creativo che non è contrario all'obbedienza, ma è la responsabilità che uno si assume ubbidendo. D'altra parte San Giuseppe è colui che accetta profondamente un progetto di Dio, che quindi non è suo. Quindi la sua creatività non è contraria all'obbedienza, ma esprime la responsabilità di fronte all'obbedienza. È un'obbedienza realizzata completamente e nella quale si realizza il coraggio creativo di Giuseppe. Questo aspetto mi sembra abbastanza nuovo. Forse è stato accennato in passato, ma non in modo così approfondito e credo aiuti in particolare i giovani ad accogliere la figura dello Sposo di Maria.

Il Papa sottolinea come Giuseppe ci insegni che la paternità non è mai esercizio di possesso, ma “segno” che rinvia a una paternità più alta. Quanto è attuale questo richiamo?

R. - Forse è uno dei richiami più necessari per cogliere l'aspetto di servizio che la paternità e la maternità hanno nei confronti di un figlio che è generato nella carne ma ha bisogno di essere generato anche nello spirito. È soprattutto un richiamo che consente di sviluppare l’atteggiamento che si ha verso un dono. IL figlio è un dono e i doni sono da custodire bene, da difendere, ma in qualche modo da restituire. Non è mio il dono: è un qualcosa che ho ricevuto, mi è stato consegnato e che realizzo solo nella misura in cui lo partecipo, lo condivido e quindi lo restituisco. Dietro alle parole del Papa c’è l'idea di una paternità capace di far crescere, educare e lasciare andare. Una paternità che è al servizio della vocazione, del progetto del figlio. In questo modello di educazione c’è un salto qualitativo spirituale perché è un invito a scoprire il progetto di Dio. Insieme al generare nella carne c'è anche un generare dello spirito e quindi c’è una paternità capace di essere segno e richiamo ad una paternità più grande che la paternità di Dio. In questo senso nemmeno il matrimonio è un esercizio di possesso. È interessante che noi troviamo una traduzione che dice che Giuseppe prese Maria “con sé” e non “per sé”. San Giuseppe si presenta perciò con un cuore libero, aperto e disponibile: tutti segni della paternità e prima di tutto della paternità di Dio.

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16 dicembre 2020, 15:25