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“Debito ecologico”, Smerilli: le imprese imparino a ripagarlo

Secondo la religiosa economista, suor Alessandra Smerilli, i Paesi del Nord del mondo e le loro imprese dovrebbero, come ha indicato il Papa, sentirsi in debito con quelli più poveri di cui sfruttano le risorse naturali. Oggi questo non avviene e i danni ambientali, causati dal prelievo senza regole di quelle risorse, vengono ancora considerati non intenzionali ed esterni all'attività d'impresa

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

È dedicata alle "risorse del pianeta" l'intenzione di preghiera che Papa Francesco affida questo mese a tutta la Chiesa cattolica attraverso la sua Rete Mondiale di Preghiera. Nel contesto del Tempo del Creato, che si celebra dal 1° settembre al 4 ottobre, e nel quinto anniversario della Laudato si’, il Papa esprime la sua preoccupazione per il “debito ecologico” che si genera spremendo e sfruttando le risorse naturali e rivolge un appello a condividerle “in modo giusto e rispettoso”. Sul concetto di “debito ecologico” e sulle sue conseguenze sull’attività di impresa si sofferma in questa intervista suor Alessandra Smerilli, religiosa salesiana, docente di Economia presso la Pontificia  Facoltà di Scienze dell'Educazione Auxilium e coordinatrice della Task-force Economia della Commissione vaticana per il Covid-19.

L'intervista a suor Alessandra Smerilli

R.- Il Papa nella sua preghiera al mondo, meglio nella sua richiesta di preghiera, fa notare che se si saccheggiano le risorse del pianeta si crea prima di tutto, ovviamente, un danno ambientale. Ma siccome chi è più ricco di queste risorse sono soprattutto i Paesi emergenti, i cosiddetti Paesi del Sud che vengono depredati delle loro ricchezze naturali, tutto questo si trasforma anche in un problema economico. Quando le risorse, oltre a essere risorse naturali, sono anche materie prime alimentari, abbiamo anche un grave problema di approvvigionamento di cibo, abbiamo gente che muore letteralmente di fame.

Nel testo il Papa afferma “No al saccheggio, sì alla condivisione”…

R.- Nella sua proposta di preghiera Francesco utilizza anche un’immagine molto plastica: afferma che stiamo spremendo i beni del pianeta “come fosse un’arancia”. Vuole sottolineare che ci stiamo comportando, nei confronti di chi dispone di queste risorse, in un modo non rispettoso. Parla di “saccheggio” perché è quello che avviene in guerra quando i vincitori conquistano un Paese e prendono tutte le sue ricchezze all'impazzata, lasciandosi alle spalle un disastro. Purtroppo è ciò che avviene in molti territori quando le risorse naturali vengono depredate e in questo contesto il Papa introduce il concetto di “debito” che mi pare molto efficace…

Francesco, parla infatti di Paesi e imprese del Nord che si sono arricchiti sfruttando i doni naturali del Sud generando un “debito ecologico” e si chiede chi lo pagherà…

R.- È un’espressione che il Papa aveva introdotto nell’enciclica Laudato si’, al numero 51, dove faceva un paragone molto pertinente. Saccheggiare, depredare, sfruttare gli altri Paesi significa arricchirsi alle loro spalle ed è quindi quasi come se si prendessero in prestito queste risorse generando un debito. Ora, mentre in economia quando si contrae un debito poi ci si sente obbligati a ripagarlo, quando invece si tratta di ecologia non ne teniamo conto. Nell’enciclica si ricorda che i Paesi del Sud del mondo sono in debito con quelli più ricchi. Esistono dei piani per rientrare da questi debiti economici, vengono poste precise condizioni. Con semplicità e arguzia Francesco si chiede perché questo non avvenga anche per il debito ecologico. Si domanda perché non mettiamo in condizioni chi sfrutta le risorse altrui di ripagare questo debito nei confronti dei Paesi più poveri. Forse dovremmo vigilare tutti di più su questo.

Da economista cosa l’ha colpisce di più di questo ragionamento?

R.- Credo che dovremmo smetterla subito, “oggi, non domani”, come dice il Papa, di considerare i danni ecologici come un qualcosa di “esterno” all’attività di impresa. Vengono infatti chiamati “esternalità”, come fossero un effetto non intenzionale, appunto esterno. Il ragionamento è: l’imprenditore deve produrre, per produrre ha bisogno di alcune risorse, sfrutta gli altri Paesi, crea problemi ecologici, ma questi sono un qualcosa che accade al di là delle sue intenzioni. Dobbiamo smetterla di considerare tutto questo un qualcosa di esterno, una “esternalità”, ma dobbiamo imparare che tutto ciò fa parte delle attività dell'impresa e questa deve mettere nei suoi costi tutte le attività necessarie per ridurre questo impatto ecologico.

Il Papa spiega che il “debito ecologico” aumenta quando le multinazionali fanno fuori dal loro Paese quello che nel proprio non è permesso…

R.- È purtroppo un fenomeno molto diffuso, avviene a livello di ecologia ma anche di fiscalità. E forse questo aspetto è il più noto. Molte imprese multinazionali - non tutte, perché ce ne sono di ben condotte - mettono per esempio la loro sede fiscale nei cosiddetti paradisi, per cui riescono a sfruttare il lavoro e a usufruire di varie condizioni non pagando però le tasse lì dove operano economicamente. Ma la stessa cosa viene fatta a livello ecologico. Quando le imprese agiscono a livello internazionale, quando sono multinazionali, ci sarebbe bisogno di sistemi di “governance”, tassazione e controllo che vadano al di là dei singoli Stati.

La crisi ecologica e socio-economica a cui Francesco fa qui riferimento si connette anche con la crisi sanitaria, legata al Covid-19, che stiamo vivendo?

R.- Senz'altro. Il Papa è stato forse tra i primi leader del mondo a comprendere subito che l'emergenza sanitaria nata con la pandemia è legata a tutto il resto. Questa emergenza sanitaria che abbiamo attraversato e stiamo attraversando, visto che in molti Paesi del mondo è ancora in fase di escalation, sta facendo emergere problemi di tipo socio-economico, molti dei quali già preesistenti, in particolare di disuguaglianza di opportunità. Questa è quindi un’occasione che ci viene data per rimettere a posto un po' di cose. Per questo il Papa ha avuto l'intuizione di creare una commissione che ragionasse intorno a un mondo post pandemia, a nuovi modelli di sviluppo, lavorando, seppur nella concretezza – come ci ripete sempre - nella logica dell’ecologia integrale. In particolare nel gruppo di lavoro numero due - che io sto coordinando - si lavora insieme sui temi dell'economia, della sicurezza, della salute e dell'ecologia. Infatti, se non riusciamo ad avere uno sguardo ampio non faremo passi avanti. Anzi, forse con la pandemia torneremo indietro.

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04 settembre 2020, 10:12