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Giovani durante le manifestazioni Giovani durante le manifestazioni  

Minneapolis, il cardinale Turkson chiede giustizia e perdono

Il prefetto del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo umano integrale, ai microfoni di Pope, parla delle proteste antirazziste che stanno dilagando negli Stati Uniti con morti e feriti, in seguito all'uccisione, durante l'arresto, dell'afroamericano George Floyd

Devin Watkins - Città del Vaticano

Una situazione complessa e delicata, per la società e il Paese: gli Stati Uniti si trovano ad affrontare, dal 25 maggio scorso, una ondata di proteste e manifestazioni di piazza che stanno riportando all'attenzione del mondo i grandi temi della giustizia, del razzismo, della dignità umana, dell'ugualiglianza e della libertà. Al centro, l'uccisione, per la quale si attende un processo, di George Floyd, un afroamericano di 46 anni, da parte di un poliziotto bianco durante l'arresto. Abbiamo chiesto al cardinale Peter Turkson, Prefetto del Dicastero della Santa Sede per la Promozione dello Sviluppo umano integrale, cosa pensa di questa situazione con riferimento anche al ruolo che può svolgere la Chiesa:

R. - Questa è una protesta contro il razzismo. Per inciso, si tratta di un fenomeno sociale che non si limita agli Stati Uniti. C'è stato l'apartheid in Sudafrica, un sistema di caste in altre parti del mondo e ciò che è stato fatto alle popolazioni aborigene. Si tratta quindi di un fenomeno sociale molto diffuso.

Per noi, come Chiesa, questo va contro il fondamento della nostra concezione della persona umana, fin dalla sua creazione. Siamo creati a immagine e somiglianza di Dio. Ogni persona è impregnata della dignità umana che è preziosa agli occhi di Dio e che non le è conferita da alcuna persona umana.

E questo è ciò che siamo chiamati a fare: semplicemente, riconoscerla e promuoverla.

Quando si verificano situazioni che vanno radicalmente contro la dignità umana, che la contrastano o la uccidono, questo diventa fonte di grande preoccupazione. È in questo contesto che il presidente della Conferenza episcopale statunitense, riflettendo su questa situazione, afferma che i disordini nelle città degli Stati Uniti riflettono la giustificata frustrazione di milioni di fratelli e sorelle che, ancora oggi, vivono l'umiliazione, la mortificazione, la disuguaglianza di opportunità solo a causa del colore della loro pelle.

Come Chiesa, vogliamo ribadire la dignità di tutti gli esseri umani, creati a immagine e somiglianza di Dio. Nelle Scritture, dopo che Dio ha creato l’uomo, sono accadute due cose, entrambe negative. La prima è stata la disobbedienza alla parola di Dio. La seconda è stata l'uccisione di un fratello. Il primo caso di violenza è l'uccisione di un fratello. La questione del razzismo è che noi creiamo differenze nella diversità, mentre dovrebbe essere un arricchimento. Ma per un motivo o per l'altro, non tutte le forme di differenze sono tollerate dalla persona umana.

I vescovi degli Stati Uniti dicono che l'uccisione di George Floyd è un peccato che grida al cielo per ottenere giustizia ed esortano gli americani ad andare alle radici profonde del problema del razzismo nel Paese. Come incoraggiare questi sforzi?

R. - L'uccisione di una persona non solo sminuisce la nostra umanità, la nostra famiglia umana, ma è un grido a Dio perché ascolti e ci sia la giustizia. E se è un grido che invoca giustizia, è un grido per una virtù molto alta.

La giustizia è in realtà la ricostituzione delle relazioni, il ripristino dei legami. In una situazione come questa, il grido che invoca giustizia è il grido contro ciò che ferisce la fratellanza, ciò che impedisce alla fratellanza di esistere.

Questo è un problema molto ampio e diffuso nella società e quindi andare alle radici del razzismo significa che abbiamo bisogno di rieducare al senso dell'umanità, al senso di ciò che significa la famiglia umana. Condividiamo la stessa dignità che Dio ci ha conferito, a noi che siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. E siamo diversi.

Alcune delle proteste sono purtroppo sconfinate nella violenza. Lo stesso fratello di George Floyd ha detto che la rabbia deve essere incanalata in un'azione civile non violenta. Qual è la posizione della Chiesa?

R. - La Chiesa non può fare a meno di condividere la posizione del fratello di George Floyd, e probabilmente farebbe un passo ulteriore: negli Stati Uniti, la Chiesa locale chiede questo tipo di approccio non violento.

Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di manifestazioni non violente. Martin Luther King ne ha guidate molte ed erano non violente perché erano ben pianificate e avevano un leader. Un leader capace di instillare il suo senso di non violenza in tutti quelli che lo seguivano. Ciò a cui stiamo assistendo oggi è un'esplosione spontanea della rabbia e del sentimento della gente nei riguardi di ciò che sta accadendo.

Eppure, io però farei un passo in più e aggiungerei all'appello alla non violenza anche l'appello al perdono. Nell'attuale situazione della morte di Nel momento in cui George Floyd è morto, nessuna dimostrazione, rabbia o frustrazione potrà riportarlo indietro. C'è solo una cosa che può essere utile a George, ora che si presenta davanti a Dio. È il perdono per i suoi assassini. Proprio come fece Gesù.

Quindi, aggiungerei all'appello alla non violenza anche l'appello al perdono. Credo che questo sia il modo in cui possiamo nobilitare la memoria di George Floyd.

Vorrei umilmente aggiungere il seguente suggerimento. Nelle tante città degli Stati Uniti in cui sono esplose le violenze, vorrei invitare i vescovi, i sacerdoti, i pastori e i leader delle diverse comunità a organizzare un evento ecumenico, interreligioso. Potrebbe svolgersi in un parco, all’aperto, e si potrebbero riunire tutte le persone per pregare. L'unica cosa di cui George Floyd ha bisogno in questo momento è la preghiera: la preghiera, mentre si presenta davanti a Dio.

Come Chiesa cattolica, questo è ciò che possiamo fare: pregare per George, adesso. E sarebbe bello se si potesse organizzare un grande evento di preghiera per riunire le persone. Darebbe loro la possibilità sì di esprimere la loro rabbia repressa, ma in un modo che sia sano, religioso e porti alla guarigione.

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03 giugno 2020, 11:05