Fisichella: la pandemia non cambierà la nostra fede
Federico Piana- Città del Vaticano
Una voce fuori dal coro, come lui stesso si definisce, che ha una convinzione: la pandemia non cambierà la dimensione di fede delle persone. Tantomeno modificherà la loro vita. Il pensiero intelligentemente profondo e intellettualmente dissonante è quello di monsignor Rino Fisichella, arcivescovo e presidente del Pontifico consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione. Stimolato a guardare il futuro dell’annuncio del Vangelo in un mondo che necessariamente dovrà fare i conti con la diffusione del virus, spiega che “è vero, nei prossimi mesi avremo la necessità di mantenere la distanza ma l’uomo è fatto per la vicinanza. E’ un dato antropologico che non può essere sovvertito”
Eccellenza, lei afferma però che esiste anche una seconda questione…
R.- Nel tempo di internet, nella cultura moderna nella quale ci troviamo, è arduo pensare che un drammatico episodio come la pandemia che ci ha colpito possa determinare e cambiare la vita. E la ragione è semplice: tutto viene dimenticato molto velocemente. La cultura digitale ci porta ad andare oltre lo spazio ed il tempo. Purtroppo, penso che ora ci sia in giro molta retorica e non mi trova d’accordo.
Una retorica sui presunti cambiamenti che verrà smentita dai fatti, perché l’esigenza primaria dell’uomo riamane la vicinanza?
R.- Certamente. Come si fa a pensare che due persone che si vogliono bene non si diano la mano? Come si può pensare che due persone che devono sposarsi vivano a distanza? Come pensare che i nostri giovani vivano senza segni tangibili d’affetto? Tutto questo appartiene all’uomo. L’uomo si avvicina istintivamente, l’uomo non è portato ad allontanarsi; lo fa solo quando non c’è un rapporto. Ma l’uomo è fatto per la relazione e ciò vale di più per la dimensione della fede cristiana: il credente è fatto per vivere in comunità, non isolato. Ovviamente, ora dobbiamo per forza rispettare le distanze ma il distanziamento non potrà essere il futuro dell’esistenza personale.
Dunque, anche l’evangelizzazione potrà subire solo qualche cambiamento momentaneo?
R.- L’evangelizzazione continua attraverso metodi e strumenti che sono segno di quanto il Vangelo – e quindi la Chiesa – è capace di entrare nella vita e nella storia delle persone.
Secondo lei, la pandemia che contraccolpi ha provocato all’evangelizzazione?
R.- Ha messo in luce diversi aspetti che prima sembravano ovvi, ma ovvi non sono. Prima di tutto, ci ha fatto scoprire l’importanza dei mezzi di comunicazione: non dimentichiamo quanto il nostro popolo ed i nostri sacerdoti hanno fatto per mantenere un rapporto con la celebrazione eucaristica tramite i social che la cultura di oggi ci offre. Non dimentichiamoci di cosa è stato il Triduo pasquale: eravamo abituati alle manifestazioni della nostra pietà popolare con le processioni del Gesù morto e della Madonna addolorata nel Venerdì Santo; eravamo abituati alle visite ai sepolcri. Tutte manifestazioni che hanno avuto un’espressione diversa che ha consentito di toccare con mano la necessità dei nuovi strumenti tecnologici.
Ma c’è anche il risvolto della medaglia…
R.- La pandemia ci ha fatto capire l’esigenza di dover vivere insieme l’esperienza della fede. Mi ha colpito positivamente la richiesta, sempre più impellente, di poter partecipare alla Santa Messa. Ma l’evangelizzazione non si riduce al solo momento sacramentale. Per quanto riguarda l’evangelizzazione, la celebrazione dei sacramenti è solo uno dei punti essenziali. Poi ce ne sono altri due: l’incontro con le persone per annunciare la fede e quello della testimonianza viva della carità. Il virus ha dimostrato quanto per noi sia fondamentale vedersi, stare insieme. Uso una battuta: la fede ha bisogno dei sensi: di vedere, di ascoltare, di toccare. Ha bisogno di sentire – anche per paradossale che sia - il profumo dell’incenso. Tutto ciò che appartiene alla vita umana appartiene anche alla dimensione della fede e dell’evangelizzazione.
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