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Piacenza: l’indulgenza, un grande manto di misericordia in quest’ora di crisi

Intervista con il cardinale Penitenziere maggiore che illustra il decreto in favore dei malati, di chi li assiste, dei familiari e di tutti coloro che pregano perché cessi la pandemia

ANDREA TORNIELLI

“Un grande manto di misericordia viene steso su tutti coloro che desiderano riceverla”. Così il cardinale Penitenziere maggiore Mauro Piacenza, in questa intervista con i media vaticani, illustra il decreto sull’indulgenza plenaria offerta in occasione dell’emergenza per la pandemia.

Può spiegare qual è l’origine del decreto sull’indulgenza in questo momento di emergenza per il Covid 19?

R. -La legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime. La Chiesa sta al mondo per annunciare il Vangelo e per offrire i sacramenti, cioè la sovrabbondanza di doni e di grazia divina che sono messi a disposizione di tutti. È evidente a ciascuno di noi la crisi che stiamo attraversando in questo momento, purtroppo ormai in tanti Paesi del mondo. Viviamo in una situazione di emergenza: ci sono ospedali che rischiano di non poter più accogliere i malati, ci sono malati costretti a vivere isolati e purtroppo anche a morire senza il conforto e la vicinanza dei propri cari, ci sono malati ai quali manca la vicinanza di un sacerdote per l’unzione degli infermi e la confessione. Ci sono tantissime persone in quarantena e intere città la cui popolazione deve rimanere chiusa in casa a motivo delle norme per contenere il contagio emanate dalle autorità.

Quali sono le necessità più urgenti?

R. - La straordinarietà di questo tempo richiede provvedimenti straordinari per aiutare, per essere vicini, per confortare, per assistere, per non far mancare mai a nessuno la carezza di Dio di fronte alla sofferenza e alla prospettiva della morte imminente. Per questo la Penitenzieria, agendo al servizio del Papa e con la sua autorità, ha emanato il decreto sulle indulgenze.

Può elencare le peculiarità di questo provvedimento?

R. - Innanzitutto si offre l’indulgenza plenaria a tutti gli ammalati affetti dal Coronavirus che si trovano negli ospedali o in quarantena a casa. La offre anche, alle stesse condizioni, agli operatori sanitari, ai familiari e a quanti assistono i malati. Ancora, l’indulgenza è offerta anche per tutti coloro che, in occasione di questa pandemia, pregano affinché cessi, pregano quanti stanno soffrendo e per quanti il Signore ha chiamato a sé.

Quali sono le condizioni per ricevere il dono dell’indulgenza?

R. - Sono molto semplici. Ai malati e a chi li assiste è chiesto di unirsi spiritualmente, là dove è possibile attraverso i mezzi di comunicazione, alla celebrazione della Messa o alla recita del Rosario o alla Via Crucis o ad altre forme di devozione. Se questo non è possibile, è chiesto di recitare il Credo, il Padre Nostro e un’invocazione a Maria. A tutti gli altri, a chi offre preghiere per le anime dei defunti, per chi soffre, e invoca la fine della pandemia, è chiesto - ove sia possibile - una visita al Santissimo Sacramento o l’adorazione eucaristica. Oppure, ancora, la lettura delle Sacre Scritture per almeno mezz’ora, o la recita del Rosario o la Via Crucis. Come è evidente a tutti, la recita delle preghiere e la lettura della Bibbia possono essere fatte senza muoversi da casa, e dunque nel pieno rispetto delle norme per contrastare la diffusione del contagio.

E chi si trova in punto di morte?

R. - Coloro che sono in punto di morte e non possono ricevere l’Unzione degli infermi, né confessarsi, né comunicarsi, vengono affidati alla Misericordia divina. A ciascuno di loro è donata l’indulgenza plenaria, purché siano debitamente disposti e abbiano recitato abitualmente durante la loro vita qualche preghiera. Come si vede, un grande manto di misericordia viene steso su tutti coloro che desiderano riceverla.

Il decreto della Penitenzieria parla sempre di malati colpiti dal Coronavirus. Questo significa che l’indulgenza non è offerta agli altri ammalati?

R. - Ricordiamoci sempre del bene delle anime: il decreto presenta provvedimenti straordinari dovuti all’emergenza generale che stiamo vivendo. Si estende a tutti gli ammalati, perché tutti gli ammalati ricoverati oggi negli ospedali vivono in un modo o nell’altro le conseguenze dell’emergenza per la pandemia.

Parliamo del sacramento della confessione. Sono possibili altre forme rispetto a quella individuale, a tu per tu con il sacerdote?

R. - L’assoluzione collettiva, senza la confessione individuale, può essere sempre data in imminente pericolo di morte, oppure in caso - recita il Codice di diritto canonico - in casi di “grave necessità”. Come Penitenzieria Apostolica abbiamo chiarito che, soprattutto nei luoghi maggiormente interessati dal contagio e fino a quando il fenomeno non sarà rientrato, ricorrono i casi di grave necessità. E dunque i vescovi diocesani, per il bene delle anime, possono prendere decisioni in questo senso, come pure possono farlo nei casi di necessità improvvisa i sacerdoti, preavvertendo il loro vescovo o informandolo quanto prima dopo aver amministrato il sacramento. Si possono pensare assoluzioni collettive alle porte dei reparti degli ospedali dove si trovano fedeli contagiati in pericolo di morte, coinvolgendoli per quanto possibile.

Che cosa può dire sulla confessione individuale?

R. - Raccomandiamo che, ove avvenga, sia sempre celebrata nel pieno rispetto delle norme per contenere il contagio, e dunque a debita distanza con l’uso di mascherine, ovviamente sempre preservando il segreto sacramentale. Ma vorrei ricordare qui, come ha fatto anche il Santo Padre nell’omelia della Messa di Santa Marta venerdì 20 marzo, l’importanza dell’atto di contrizione, quando si è impossibilitati a confessarsi. È una possibilità citata dal Catechismo della Chiesa cattolica: l’esame di coscienza e la recita dell’Atto di dolore, una vera contrizione accompagnata dal proposito di non peccare più e di recarsi al confessionale non appena sarà possibile, sono graditi a Dio, ci riconciliano con lui e ottengono il perdono dei peccati.

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21 marzo 2020, 11:01