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Papa Francesco con mons. Mario Grech Papa Francesco con mons. Mario Grech 

Grech: Sinodo sempre più crocevia missionario per la Chiesa

Intervista al pro-segretario generale del Sinodo dei Vescovi sul valore della sinodalità nel Pontificato di Papa Francesco e sull’esperienza dell’assise sull’Amazzonia

Alessandro Gisotti - Città del Vaticano

La sua nomina a pro-segretario generale del Sinodo dei Vescovi, il 2 ottobre scorso, ha avuto nelle intenzioni del Santo Padre un “effettivo significato sinodale”. Come sperimentato subito dopo, già nel Sinodo sull’Amazzonia, mons. Mario Grech è stato infatti chiamato a “camminare fianco a fianco” con il cardinale Lorenzo Baldisseri, in vista della sua successione alla guida della Segreteria generale del Sinodo. In questa intervista all’Osservatore Romano e Pope - la prima dalla nomina - il presule maltese si sofferma sull’esperienza appena vissuta nell’assise sinodale sull’Amazzonia e condivide le sue riflessioni sulla centralità che la dimensione della sinodalità riveste nel Magistero e nell’azione pastorale di Papa Francesco.

Il Sinodo sull’Amazzonia si è concluso da pochi giorni. Come ha vissuto questa esperienza così speciale?

Mi sono reso conto quanto sia vero quello che ama ribadire il Santo Padre quando dice che la realtà si vede meglio dalle periferie che dal centro! Questo vale sia per le realtà sociali e culturali sia per le esperienze ecclesiali. Mi viene in mente quanto mi ha rimarcato un vescovo brasiliano su come egli stesso abbia imparato molto ascoltando i suoi compagni. Nonostante egli venga dalla stessa regione, era ignaro di alcune esperienze e necessità espresse dagli altri. Allora se l’esperienza del Sinodo è stata utile per uno che viene da questo stesso territorio, quanto può valere per noi che immaginiamo di stare al centro! Quando uno ascolta alcune esperienze emerse al Sinodo, non soltanto si accorge di quanti semina verbi ci siano in questi popoli e vestigia ecclesiae presenti in queste culture, ma anche di quanto il centro commetta un grave errore quando pensa di essere superiore a questa gente.

Lei è stato nominato pro-segretario generale del Sinodo proprio pochi giorni prima dell’assise sull’Amazzonia. Con quali sentimenti ha accolto questa nomina del Papa?

Io provengo da una piccola diocesi, la quale possiede però una forte dimensione missionaria. Negli anni della mia formazione in seminario ci veniva detto che «the world is my parish». A mia insaputa, da tanto tempo il Signore mi stava preparando per questo nuovo ministero che nella mia opinione possiede una dimensione missionaria. Anche se il Vaticano non è terra di missione, considero il mandato affidatomi dal Papa come una chiamata missionaria, sia perché la Segreteria del Sinodo è un crocevia che porta a convergenze tra le conferenze episcopali di tutto il mondo e sia perché lo stesso Sinodo dei Vescovi è uno strumento di evangelizzazione. Come scrive Papa Francesco: «in un momento storico in cui la Chiesa si introduce in una nuova tappa evangelizzatrice che le chiede di costituirsi in tutte le regioni della terra in uno stato permanente di missione, il Sinodo dei Vescovi è chiamato, come ogni altra istituzione ecclesiastica, a diventare sempre più un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale» (EC, 1).

Sinodo è sicuramente una delle parole chiavi di questo Pontificato. Perché, secondo lei, la dimensione della sinodalità è così importante per Papa Francesco?

Sono dell’opinione che il pensiero di Papa Francesco sulla sinodalità abbia le sue radici nella categoria del “Popolo di Dio”. È comprovato che nel suo bagaglio il Papa porti la Teologia del Popolo frutto della conoscenza che egli possiede del Concilio Vaticano II, e anche la sua esperienza come vescovo del popolo a Buenos Aires. Il popolo è al cuore della sua esperienza pastorale e la sua teologia ed ecclesiologia è frutto di questa esperienza in mezzo al Popolo di Dio. Alla luce di ciò, la Chiesa non è identificata con la gerarchia ma nel Popolo di Dio comprendente tutti i suoi membri – vescovi, persone consacrate e laici – i quali pur avendo carismi differenti sono insigniti della stessa dignità proveniente dallo stesso Battesimo. Il Papa ama ripetere ciò che si trova in Lumen gentium 12, cioé che il Popolo di Dio sia infallibile in credendo: «questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova le parole per esprimere la sua fede … Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione» (EG, 119). Difatti il sensus fidei è una chiave ermeneutica per la comprensione della teologia della sinodalità fatta propria da Papa Francesco. Considerando che nel suo saggio Sulla consulatazione dei fedeli, San John Henry Newman aveva riattivato la riflessione sul sensus fidei che ha influito in seguito sul Concilio Vaticano II (DV 8, LG 12), la sua canonizzazione durante il Sinodo sull’Amazzonia rappresentava un’occasione d’oro per una riflessione approfondita sul sensus fidei che, a mio parere, è stata trascurata. Non penso che fosse un dettaglio accidentale il riferimento del Papa durante l’omelia della Messa di chiusura del Sinodo a «quel sensus fidei che mancava nella dichiarazione».

Per alcuni aspetti, si sono vissuti "due sinodi dell’Amazzonia": quello in Aula contrassegnato da un clima fraterno tra i padri sinodali e quello sui media, e ancor più sui social media, segnato da forti contrapposizioni. Cosa le suscita come riflessione questo “dualismo”?

E’ una questione già conosciuta nella storia della Chiesa e sulla quale sono stati scritti anche libri interessanti. Pensiamo a quanto successo in occasione del Concilio Vaticano II. Il Papa emerito, nell’ultimo incontro con i sacerdoti di Roma il 14 febbraio del 2013 a proposito del problema posto, ricordava: “C’era il Concilio dei Padri – il vero Concilio –, ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. […] E mentre il Concilio dei Padri si realizzava all’interno della fede, era un Concilio […] che cerca di rispondere alla sfida di Dio in quel momento […] il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all’interno della fede, ma all’interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa”. Dunque da un lato il problema posto è in parte fisiologico perché i contesti sono differenti, dall’altro richiama sia la Chiesa a comunicare meglio precisando sempre il punto di vista specifico, sia i giornalisti a coltivare il desiderio di comprensione profonda degli avvenimenti ecclesiali.

Anche in questa occasione, c’è stata una richiesta da parte di realtà femminili nella Chiesa per dare il voto alle donne al Sinodo. Una sua riflessione sul ruolo della donna nella Chiesa…

Durante il Sinodo c’erano diversi interventi interessanti sul ruolo della donna nella Chiesa. Come si legge nel documento finale del Sinodo «la Chiesa nell’Amazzonia vuole creare opportunità ancora più estese per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa ... Se la Chiesa perde le donne nella loro dimensione piena e reale, essa sarebbe esposta alla sterilità» (par. 99). La richiesta per il consolidamento del contributo della donna nella Chiesa è venuta non soltanto da donne (religiose e laiche) presenti nell’aula, ma anche dai vescovi che si sono fatti voce delle aspettative di quelli che hanno partecipato nel processo della consultazione che aveva avuto luogo nelle diocesi. È stato particolarmente apprezzato il fatto che in molti luoghi dell’Amazzonia la Chiesa si renda presente tramite l’intervento delle donne. Non sono poche quelle donne, particolarmente religiose, che sono responsabili della guida delle comunità cristiane nei luoghi privi della presenza del presbitero. È alla luce di questo fatto che è stato chiesto un riconoscimento formale del lavoro che la donna già compie nel settore dell’evangelizzazione e della pastorale con la creazione di appositi ministeri per le donne a capo delle comunità. In questo contesto, è stata avanzata la proposta per la partecipazione della donna alla potestà di governo, la quale si distingue dalla potestà sacramentale. Dalla consultazione previa al Sinodo è emersa anche la richiesta di tanti per l’ammissione della donna al diaconato permanente (cfr. par 103). Tutto ciò indica che si è messo in moto un processo attraverso il quale la Chiesa possa acquistare un maggior rostro feminino che riflette anche il volto di Maria, Stella dell’evangelizzazione.

Bisogna dunque evitare di limitarsi a considerazioni di carattere funzionale…

Sì. Avverto che tante volte il discorso attorno alla donna nella Chiesa risenta ancora dell’utilitarismo, come se alla donna sia concesso più spazio solo per indirizzare certe urgenze, mentre sarebbe più corretto ed evangelico se alla donna venisse riconosciuto quello che le è proprio. E’ stata molto opportuna l’osservazione di Papa Francesco nel discorso di chiusura del Sinodo quando ha detto che «bisogna riflettere su cosa significa il ruolo della donna nella Chiesa. Quando pensiamo al ruolo della donna nella Chiesa, pensiamo solo alla parte funzionale. Ma il suo compito va molto oltre la funzionalità».

L’istituto del Sinodo, voluto da San Paolo VI , ha avuto uno sviluppo sempre più come strumento di ascolto del Popolo di Dio e di impulso al Magistero. Come approfondire queste due dimensioni presenti anche in Episcopalis Communio?

In questa Costituzione Apostolica, Papa Francesco offre dei criteri per il consolidamento del processo di dialogo tra i vescovi e il Popolo di Dio e affinché a quest’ultimo sia garantito più spazio di partecipazione nella Chiesa – processo di maggiore integrazione tra la communio fidelium, la communio episcoporum, e la communio ecclesiarum. Difatti egli afferma che pur ammettendo che il Sinodo dei Vescovi sia essenzialmente un’assise episcopale favorendo il dialogo e la collaborazione tra i vescovi e tra i vescovi e il Vescovo di Roma, questo non debba essere disgiunto dal Popolo di Dio, perché «la vita della Chiesa e la vita nella Chiesa è per ogni Vescovo la condizione per l’esercizio della sua missione d’insegnare. Il Sinodo dei Vescovi deve sempre diventare uno strumento privilegiato di ascolto del Popolo di Dio. Un Vescovo che vive in mezzo ai suoi fedeli ha le orecchie aperte per ascoltare “ciò che lo Spirito dice alla Chiesa” e “la voce delle pecore” anche attraverso quegli organismi diocesani che hanno il compito di consigliare il Vescovo, promuovendo un dialogo leale e costruttivo» (EC 5). In questa cornice emerge più chiara la dinamica del Sinodo: il sensus fidei della universitas fidelium, il ministero di guida del collegio dei Vescovi … e il ministero di unità del vescovo e del Papa (CTI, La sinodalita nella vita e nella missione della Chiesa, 64, cf. 72). Come affermato da Papa Francesco, nel suo discorso per il 50.mo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, la sinodalità “ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. Se capiamo che, come dice san Giovanni Crisostomo, «Chiesa e Sinodo sono sinonimi» – perché la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore – capiamo pure che al suo interno nessuno può essere “elevato” al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno “si abbassi” per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino».

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02 novembre 2019, 12:30