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Sinodo, Carrasco: la Chiesa ascolti il grido dei popoli amazzonici

Non si può restare indifferenti quando delle comunità cattoliche si sentono abbandonate: è quanto dice padre Roberto Carrasco, padre sinodale e religioso peruviano con una lunga esperienza di missione in Amazzonia. Oggi la Messa di apertura del Sinodo presieduta da Papa Francesco

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

“Questo Sinodo è una grazia, è un tempo di kairòs per la Chiesa”. Lo afferma padre Roberto Carrasco, missionario peruviano degli Oblati di Maria Immacolata, a Roma per partecipare all’Assemblea sinodale speciale dedicata alla regione panamazzonica. “È un tempo di grandissima speranza, perché il popolo amazzonico porta, specialmente qui nel cuore della Chiesa, una proposta strettamente connessa a ciò che il Papa ha scritto nella Laudato si’, una sfida per una conversione integrale del nostro cuore e della nostra testa”.

Ascolta l'intervista a padre Carrasco

Non possiamo restare indifferenti

Padre Carrasco, oltre a essere padre sinodale, è fra i religiosi che animano l’esperienza “Amazzonia Casa Comune”, promossa da un gruppo di congregazioni religiose, associazioni e comunità ecclesiali per portare a Roma, in queste settimane, la visione delle popolazioni indigene. “Non possiamo dividere il mondo, come se fosse composto da pezzi distinti, indipendenti”, spiega. “Non possiamo spezzettare la realtà del pianeta, perché questa realtà è quella dell’uomo e uomo significa infatti essere in relazione. Quando l’enciclica del Papa ci ricorda che l’uomo è in relazione con Dio, con gli altri e con l’ambiente, ci sta dicendo che siamo tutti connessi e tutto ciò che accade nell’Amazzonia, nel Nord dell’Artico o nell’Antartico o in Congo, ci coinvolge e non può lasciarci indifferenti”. “La realtà dell’Amazzonia oggi soffre, grida e ci sollecita a fare qualcosa”, spiega padre Carrasco. “Non possiamo chiudere gli occhi, le orecchie e restare indifferenti. È questo secondo me l’approccio più profondo a questo Sinodo”.

In missione fra gli indios: comunità che si sentono abbandonate

Padre Roberto ha vissuto per quattro anni come missionario nel suo Paese ad Aucayacu, nella Valle dell’Alto Huallaga, nella Diocesi di Huanucoin, dov’era direttore di Radio Amistad. Si tratta di una regione del Perù dove gli Oblati di Maria Immacolata sono presenti da quasi sessant’anni. “Era una realtà dove la guerriglia di ‘Sendero Luminoso’ e il terrorismo avevano lasciato una ferita profonda. Il nostro compito è stato accompagnare il processo di riconciliazione, mostrare il volto di un Dio che perdona”. Poi si è spostato per sette anni presso il Vicariato di San José del Amazonas nella regione di Loreto, dove il vescovo gli ha chiesto di essere il coordinatore della pastorale per gli indigeni. “Si tratta di una realtà di cattolici appartenenti ad etnie diverse, in un territorio di centocinquantamila chilometri quadrati”, ci racconta. “Allora eravamo solo otto sacerdoti in un territorio così vasto. Nella mia parrocchia prestavo servizio assieme ad un altro oblato, padre Edgar. Dovevamo occuparci di un territorio che si estende lungo il fiume da Nord a Sud per quasi quattrocentocinquanta chilometri e comprende centoventiquattro villaggi indigeni. Una situazione in cui la gente si sente abbandonata, sente la mancanza dalla Chiesa”.

La sfida delle comunità trascurate

L’Instrumentum Laboris del Sinodo chiede di passare dalla prospettiva di una ‘Chiesa che visita’ a quella di una ‘Chiesa che rimane’. “A questo proposito – racconta il missionario peruviano – mi è capitata un’esperienza esemplare in una comunità che si chiama ‘Tempesta’, dove c’è un’azienda petrolifera”. “Mi recavo da loro poche volte all’anno e da tempo avevo programmato la celebrazione del Battesimo e dell’Eucaristia. Ma il giorno in cui sono arrivato il capo della comunità mi ha detto che assieme ai responsabili dell’azienda avevano cambiato programma e organizzato un’assemblea. Di fronte alle mie rimostranze mi ha detto che avendo io aspettato tanto per venirli a trovare, potevo aspettare qualche giorno in più. Mentre le questioni dell’azienda petrolifera, che viveva accanto a loro ogni giorno, meritavano la precedenza”. “Fu una risposta che mi fece molto male. E oggi mi domando: quando il popolo di Dio ci chiede la celebrazione del Battesimo, dell’Eucaristia, della Penitenza, dell’Unzione dei malati e noi non abbiamo sacerdoti a sufficienza, cosa dobbiamo rispondergli? Questa è una sfida che dobbiamo affrontare, perché queste popolazioni si sentono lontane dalla realtà ecclesiale”.

Informazione insufficiente sull’Amazzonia

Padre Carrasco pensa che oggi in Italia, forse in Europa, non ci sia ancora una percezione profonda dei temi di questo Sinodo perché l’informazione è insufficiente. “Manca la consapevolezza delle sfide pastorali, sociali e ambientali legate all’Amazzonia. Si sa solo che è una regione colpita dagli incendi e spesso si pensa che sia solo una zona brasiliana e in pochi sanno che riguarda nove paesi. È una realtà immensa che andrebbe approfondita di più”.   

 

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05 ottobre 2019, 20:06