Sch?nborn: rilanciare il popolo di Dio secondo il Concilio Vaticano II
Debora Donnini - Città del Vaticano
Prosegue il Sinodo per l’Amazzonia, giunto al termine della seconda settimana di lavori. Oggi la presentazione delle Relazioni dei Circoli Minori dell’Assemblea sinodale che sta riflettendo sul tema: “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”. Abbiamo chiesto al cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, con quale di tipo di approccio stia partecipando al Sinodo:
R. – Essendo europeo, non conoscendo l’Amazzonia, per me è l’ascolto innanzitutto. Ho ascoltato molto in queste due settimane. Per me è stato affascinante sentire la realtà di ciò che vivono in questa zona immensa che è l’Amazzonia.
Quali le sue proposte per i nuovi cammini della Chiesa in Amazzonia?
R. - Non ho delle proposte. Sono venuto per ascoltare. Ma certamente mi interessano le proposte che fanno i vescovi e i partecipanti provenienti dall’Amazzonia perché loro sanno quali sono le sfide pastorali. Io ho solo posto delle domande per capire meglio e sono state anzitutto tre domande. Se è vero che il 60 per cento dei cristiani della zona sono, più o meno, passati ai pentecostali, cosa vuol dire per noi cattolici, per noi Pastori della Chiesa cattolica? Ho sentito molto sottolineare che questa presenza anzitutto ha il vantaggio di essere presenza: sono nei villaggi mentre noi Pastori veniamo una volta all’anno in questo immenso territorio a visitare le parrocchie… Dunque parlano molto di una pastorale di presenza e non solo di visita. E poi ho chiesto: voi parlate molto dei viri probati, di poter ordinare presbiteri uomini sperimentati nella vita, nella famiglia, nella fede cristiana. Di per sé non è esclusa questa possibilità, non c’è dogma che lo impedisce, ma come gestirlo? Io ho chiesto: perché non avete istituito più intensamente il diaconato permanente?
Nella sua diocesi ha numerosi diaconi permanenti, crede che sia una via da percorrere per l’Amazzonia?
R. – In ogni caso - se in certi casi la Chiesa potrebbe permettere viri probati per essere presbiteri – devono prima passare attraverso il diaconato. E, dunque, io ho chiesto: perché non aver istituito come diaconi permanenti i viri probati? I diaconi sono capaci di aiutare la comunità. E dunque prima di parlare di viri probati preti, dovete fare l’esperienza che la Chiesa 50 anni fa ha aperta nel Concilio Vaticano II con i diaconi permanenti. L’altra questione è se veramente sia una via da scegliere di avere preti sposati. Io penso che la questione primaria non è quella dei ministeri ma del popolo di Dio. Questa è la grande visione del Concilio Vaticano II. E ammiro tutto ciò che ho sentito sulla presenza di fedeli locali, famiglie, donne - anzitutto donne - che portano la vita della comunità cristiana sul luogo e anche se non hanno un ministero esplicito, sono servitori e servitrici del popolo di Dio. Molti hanno insistito nel Sinodo su ciò che il Vaticano II chiama il sacerdozio comune di tutti i battezzati: questa è la base della vita cristiana. Dunque, prima di pensare a nuove forme di ministeri dobbiamo ritrovare questo grande slancio del popolo di Dio che ci ha mostrato il Vaticano II.
Cosa pensa della presenza crescente dei gruppi evangelici e pentecostali in Amazzonia e cosa dice questo anche alla Chiesa cattolica?
R. – Alcuni hanno insistito sul fatto che loro predicano Gesù Cristo molto direttamente. E’ un fatto che sono molto più diretti nell’annuncio. Certo, la predica più efficace è la vita cristiana ma c’è bisogno dell’annuncio diretto: “Credi tu in Gesù Cristo? E’ per te veramente il tuo Signore?”. Dunque c’è qualcosa da ascoltare da loro.
Le sue impressioni finora sull’andamento dei lavori: si sta realizzando a suo parere un dialogo proficuo tra la Chiesa e le istanze delle popolazioni indigene?
R. – Gesù ha sempre fatto attenzione ai piccoli, a questa povera vedova, a questo lebbroso… Il Papa ha voluto che noi vedessimo questa realtà dell’Amazzonia e ha fatto in modo che tutta la Chiesa universale dovesse avere questo sguardo attento a questi popoli indigeni, alla loro vita, al loro futuro e alla loro fede. Trovo in questo un’attitudine del Papa che mi commuove molto.
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