Economia, rapporto Unctad: serve un "new deal" ecologico per invertire la rotta
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Coniugare nuove risposte ecologiche alle molteplici emergenze legate ai cambiamenti climatici con politiche capaci di arginare le crescenti disuguaglianze sociali. È questa la priorità indicata nell’ultimo rapporto dell’Unctad intitolato: “Financing a Global Green New Deal”. Lo studio, presentato stamani nella sede di Pope- Radio Vaticana, ricorda che la via della decarbonizzazione e quella di un’autentica conversione ecologica, come più volte auspicato da Papa Francesco anche nella enciclica , non sono più procrastinabili: è necessario promuovere un new deal ecologico a livello mondiale.
Crescita sostenibile
Alcuni contenuti del rapporto dell'Unctad, che sarà diffuso stasera, sono stati anticipati in conferenza stampa. Alla presentazione del dossier hanno partecipato il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il servizio dello Sviluppo umano integrale e gli economisti dell'Unctad Penelope Hawkins e Piergiuseppe Fortunato. “La minaccia del riscaldamento globale – ha detto il card. Turkson – richiede azioni immediate per ridurre le emissioni di gas serra e stabilizzare il clima della terra”. Per il porporato è necessario avviare un processo di decarbonizzazione e garantire una crescita economica sostenibile, in particolare per i Paesi in via di sviluppo.
R. – Questo nuovo appello al green deal corrisponde proprio alla situazione attuale in cui tutti parlano del mondo in pericolo, dei cambiamenti climatici. Speriamo che questa volta il mondo ascolti.
Serve una conversione ecologica …
R. – Quando si parla di conversione ecologica, Papa Francesco aggiunge subito che la conversione ha bisogno di un’educazione. Vale la pena ricordare l’amore per il creato e il desiderio di non voler lasciare il deserto alle nuove gvenerazioni.
Quello che serve è anche una risposta del cuore …
R. – Cura dell’ambiente non è semplicemente “salvaguardia”. Ma è piuttosto qualcosa che viene dal cuore. Per questo, la vera risposta è etica. Le risorse ci sono ma manca la convinzione di fare qualcosa. Etica vuol dire riconoscere la responsabilità che abbiamo nei riguardi di qualcosa che sta accadendo.
New Deal
Il rapporto dell’Unctad, ha affermato Piergiuseppe Fortunato, economic affairs officer dell’Unctad, analizza le criticità dell’attuale sistema economico mondiale ma propone anche soluzioni. “Viviamo in un’era di ansietà crescente”. “Le economie - ha spiegato - non si sono riprese dalla crisi globale: c'è una perdita del potere d’acquisto alla quale si aggiunge la mancanza di lavoro, l’aumento delle disuguaglianze”.
R. – Fondamentalmente il rapporto, seguendo poi un filo conduttore degli ultimi due-tre anni, sottolinea che viviamo in un contesto molto difficile in cui abbiamo una serie di crisi parallele e convergenti. C’è una stagnazione economica. Non ci si è mai ripresi dalla crisi del 2007/2008 e c’è un aumento enorme delle disuguaglianze, in particolare con il lavoro che perde quote di valore aggiunto. E, in terzo luogo, c’è la crisi climatica che sta diventando chiara e palese. Il rapporto allora si domanda come far fronte a queste emergenze. E propone una soluzione: un “global green new deal”, un accordo a livello internazionale che promuova grossi investimenti. Misure che, da un lato, possano rivitalizzare l’economia con investimenti pubblici e, dall’altro, far fronte alle emergenze climatiche. E, quindi, favorire una decarbonizzazione della produzione globale e, al contempo, ridurre le disuguaglianze.
Serve un nuovo, grande piano Marshall?
R. – Un nuovo grande Piano Marshall che favorisca il trasferimento tecnologico dai Paesi più ricchi verso i Paesi più poveri per cambiare e decarbonizzare la produzione, anche e soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.
La buona notizia è che ci sarebbero le risorse per questo grande mutamento…
R. – Le risorse ci sono e sono ingenti: parliamo di due trilioni e mezzo/tre trilioni l’anno. Sono utilizzate “male”, in un certo senso, o sono nascoste. Parte di queste risorse, per esempio, sono le tassazioni che vengono evitate: è l’elusione fiscale dei grandi gruppi, delle multinazionali. Il Fondo monetario internazionale sottolinea che il 40 per cento dei flussi internazionali dei capitali sono in realtà flussi-fantasma, volti a nascondere e ad eludere le tasse. Se noi riuscissimo a riformare il sistema internazionale di tassazione, partendo dal principio che il gruppo multinazionale va tassato come gruppo e non come singola entità, già saremmo in grado di recuperare parte delle risorse. Altre risorse possono essere trovate, ad esempio, utilizzando in maniera diversa le politiche pubbliche: molti soldi sono stati utilizzati nel contesto attuale con politiche monetarie espansive, in un quadro però restrittivo dal punto di vista fiscale. Questo ha impedito la crescita economica. Le risorse dunque ci sono. Sono sia pubbliche sia private. Vanno trovate e vanno utilizzate in maniera diversa.
È allora necessaria una sorta di coscienza globale, quella che più volte Papa Francesco ha chiamato “conversione ecologica” …
R. – Costruire la volontà globale è la cosa fondamentale. Penso che Papa Francesco e tutto il Vaticano stiano compiendo un ruolo molto importante per sensibilizzare le coscienze. Un’altra parte di questo ruolo viene svolto dai giovani. Penso che un’organizzazione internazionale come le Nazioni Unite possa rappresentare il terzo pilastro di questa battaglia. La sfida è globale ed è di proporzioni molto importanti.
In questa battaglia, tra i rischi ci sono anche quelli che portano a dividere le coscienze …
R. – Viviamo in un mondo di asimmetrie. C’è un’asimmetria generazionale: i giovani si sentono quelli che saranno investiti maggiormente da questa crisi. C’è un’asimmetria di responsabilità nello sviluppo, nella carbonizzazione del mondo: i Paesi più ricchi sono quelli responsabili di più emissioni nel corso degli anni. E c’è un’asimmetria tra i Paesi che pagano i costi perché sono quelli più poveri. Penso, però, che al momento viviamo una finestra di opportunità perché ci si sta veramente rendendo conto che non saranno soltanto i Paesi poveri a pagare i costi di un cambiamento climatico. Se superiamo i 4 gradi rispetto al livello di emissioni pre-industriali, questi costi saranno pagati da tutti i Paesi. E in questo contesto ci sono movimenti di sensibilizzazione, anche nei Paesi occidentali tradizionalmente ricchi, che mi auguro possano portare ad un cambiamento radicale delle politiche.
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