Rom, una richiesta di perdono nel solco della tradizione
ANDREA TORNIELLI
Le parole pronunciate da Francesco nell’ultimo appuntamento del suo viaggio in Romania formulando la richiesta di perdono alle comunità rom per le discriminazioni subite nel corso della storia, s’inserisce in una tradizione ormai consolidata da mezzo secolo nella Chiesa cattolica. «La storia ci dice che anche i cristiani, anche i cattolici non sono estranei a tanto male» ha affermato il Pontefice per spiegare la richiesta di perdono.
L’attenzione per queste comunità venne manifestata il da Paolo VI, che celebrò la Messa al Campo internazionale degli zingari nei pressi di Pomezia, e disse: «Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore: Voi siete nel cuore della Chiesa perché siete soli». Papa Montini, che in quella occasione ricordò soprusi, discriminazioni e persecuzioni patite da queste persone, non pronunciò mea culpa, ma è stato il Pontefice che ha inaugurato la stagione delle richieste di perdono nei confronti delle altre confessioni cristiane per alcune pagine buie del passato.
Sarà Giovanni Paolo II a dedicarne una specifica nei confronti degli zingari durante la : «I cristiani sappiano pentirsi delle parole e dei comportamenti che a volte sono stati loro suggeriti dall’orgoglio, dall’odio, dalla volontà di dominio sugli altri, dall’inimicizia verso i gruppi sociali più deboli, come quelli degli immigrati e degli zingari».
Attenzione e comprensione verso queste comunità è stata manifestata anche da Benedetto XVI che , accogliendo i rappresentanti di diverse etnie di zingari e rom, aveva riconosciuto: «Purtroppo lungo i secoli avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione… La coscienza europea non può dimenticare tanto dolore! Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo!».
Ora il suo successore Francesco proseguendo nella via già tracciata, ha chiesto esplicitamente e nuovamente perdono, come già aveva fatto, ad esempio, nei confronti degli o come aveva fatto, nell’agosto 2018, di fronte allo scandalo degli abusi sui minori, scrivendo nella : «Con vergogna e pentimento come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite».
Non è sempre facile né indolore il cammino di chi chiede perdono. Papa Wojtyla, nel percorrerlo sistematicamente sulle orme del Concilio e di Paolo VI, si era attirato diverse critiche all’interno della Chiesa. Il Pontefice polacco, nel corso del suo pontificato aveva pronunciato decine di richieste di perdono e aveva rivisitato diversi fatti del passato. Aveva parlato delle crociate, di una certa acquiescenza dei cattolici di fronte alle dittature del Novecento, delle divisioni tra le Chiese, del maltrattamento delle donne, del processo a Galileo e dell’Inquisizione, della persecuzione degli ebrei, delle guerre di religione, del comportamento dei cristiani con gli indios e i nativi africani.
Per i cristiani è normale (o dovrebbe esserlo) chiedere perdono, riconoscersi peccatori, continuamente bisognosi di purificazione. E anche se le colpe sono sempre state e rimangono personali, in ogni epoca la Chiesa cerca di comprendere e vivere sempre più fedelmente il messaggio evangelico prendendo coscienza dei passi falsi e degli sbagli compiuti. L’obiezione che più spesso viene mossa contro le richieste di perdono rispetto a fatti accaduti nel passato ha delle ragioni: non si può giudicare chi ci ha preceduto alla luce della sensibilità odierna. Ma anche nei secoli passati era possibile comprendere, come alcuni profeti spesso inascoltati hanno fatto, che Gesù è sempre stato dalla parte delle vittime e mai dei carnefici, dei perseguitati e mai dei persecutori. E all’apostolo Pietro che per difenderlo aveva mozzato l’orecchio del servo del sommo sacerdote, aveva ordinato di rimettere la spada nel fodero.
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