Per Paolo VI solo la carità può generare l'autentico progresso dei popoli
Adriana Masotti - Città del Vaticano
“Se la necessità, se l’interesse sono per gli uomini i moventi potenti dell’azione, spesso determinanti, la crisi attuale non potrà essere superata se non mediante l’amore. (...) La carità, che vuol dire amore fraterno, è il motore di tutto il progresso sociale”. Era il 16 novembre del 1970 quando Papa Paolo VI pronunciava queste parole davanti ai membri della FAO. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, impegnata nella lotta alla fame, festeggiava i 25 anni di attività e Paolo VI era un grande amico della FAO, fin dai suoi primi sviluppi. Fu il primo Papa a visitare la Fao nella sede romana messa a disposizione del governo italiano dove poi si recarono tutti i suoi successori e Papa Francesco già per tre volte. L’appello di Papa Montini alla fratellanza universale, seme di pace duratura, la descrizione di un differente modello economico ed etico-sociale, il dialogo presentato come soluzione ai conflitti internazionali, appaiono oggi straordinariamente attuali e un richiamo tutt’ora valido per i leader mondiali di oggi e per ciascuno di noi.
Il libro curato da Patrizia Moretti
Il volume: “La carità, motore di tutto il progresso sociale – Paolo VI, la Popolorum Progressio e la FAO”, presentato stamattina a Palazzo Borromeo a Roma, raccoglie gli interventi del Seminario di studio, dallo stesso titolo, che si è tenuto il 7 novembre 2017, sempre a Roma. I diversi contributi riflettono sul rapporto tra Papa Paolo VI e la FAO e sul suo pensiero riguardo allo sviluppo dei popoli e dell’uomo. Curato dalla studiosa della figura montiniana, Patrizia Moretti, il libro è pubblicato da Studium Edizioni ed è frutto della collaborazione tra la Provincia Italiana dei Fratelli delle Scuole Cristiane (FSC) e la Missione Permanente della Santa Sede presso la FAO-IFAD-PAM guidata dall’Osservatore, mons. Fernando Chica Arellano.
Paolo VI e la visione globale dell'umanità
Dopo i saluti dell’ambasciatore d’Italia presso il Vaticano, Pietro Sebastiani, alla presentazione, oltre alla curatrice, sono intervenuti Daniel Gustafson, vice direttore generale della FAO; Vincenzo Buonomo, rettore della Pontificia Università Lateranense; Gabriele Di Giovanni, visitatore provinciale d’Italia dei FSC. A tenere le conclusioni mons. Fernando Chica Arellano che nel suo saluto ha sintetizzato il messaggio di cui il volume vuol farsi portatore. Mons. Arellano ha sottolineato come Paolo VI, in particolare del 1967, identificava, “quale compito principale della Chiesa, quello di offrire agli uomini e alle loro aspirazioni ‘ciò che possiede in proprio: una visione globale dell’uomo e dell’umanità’.” L’auspicio rivolto dall’Osservatore permanente vaticano a chi leggerà il volume, è che il pensiero di Paolo VI “possa germogliare in stimolanti campi d’applicazione, capaci di sostenere la fraternità: autentica cifra evangelica per il perseguimento del bene comune”.
Mons. Arellano: il tema della fame è iscritto nel Vangelo
Prima di inoltrarsi più profondamente nella visione di Papa Montini, mons. Arellano spiega, ai nostri microfoni, perché Paolo VI era convinto che la Chiesa dovesse far sentire la sua voce sul tema dello sviluppo:
R. – Paolo VI ne era convinto perchè la Chiesa è esperta in umanità: quando è andato a New York al Palazzo di Vetro a parlare - ed è stato il primo pontefice - alle Nazioni Unite lui si è presentato come un uomo esperto in umanità, la Chiesa come esperta in umanità e ha detto che tutti i temi che preoccupavano l’uomo, la società, le nazioni, erano anche preoccupazione della Chiesa. Pensiamo che il tema della fame, prima di essere scritto nel mandato della FAO è scritto nel cuore del Vangelo. L’affamato è una preoccupazione, prima che delle Nazioni Unite, della Chiesa, di ogni cristiano.
Per Paolo VI le difficoltà tra gli Stati e tra i popoli si sarebbero dovuti sempre affrontare con il dialogo, ma era facile parlare di dialogo, allora?
R. - Mai è facile parlare del dialogo, ma è un obbligo. Veramente il dialogo non ieri, oggi e sempre, sarà il cammino della Chiesa e anche il cammino che deve intraprendere la Comunità internazionale. E’ l’unica arma che abbiamo: parlare, dialogare, mettere a disposizione l’apertura del cuore per trovare una via di scampo, un consenso, un cammino che possiamo percorrere insieme. Il dialogo non è una moda, è un obbligo. Certamente non sarà facile ma è sempre necessario. Mai la violenza, mai la guerra, questi non sono metodi, modi per trovare la soluzione ai conflitti, ai problemi che ci affliggono.
Al centro del pensiero di Papa Montini c’è la persona, non solo i popoli. Che cosa aggiunge questo alla riflessione sul progresso?
R. – E’ così. Il vero progresso dell’umanità non è economico, il vero progresso è quando in mezzo allo sviluppo umano non c’è soltanto il beneficio, il denaro, ma la preoccupazione per tutte le persone e per la persona nella sua integrità, anima, corpo, mente, speranze, gioie, preoccupazioni… L’insieme della persona: questa è stata veramente la grande percezione di questo grande pontefice, Paolo VI. E’ un’idea che poi hanno ripetuto tutti i suoi successori. Lo ha detto Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e anche Papa Francesco. Molti al centro mettono il denaro, un’economia che uccide. Invece l’uomo progredisce veramente quando è posto lui al centro di tutto.
Il volume presentato oggi s’intitola: “La carità, motore di tutto il progresso sociale”. L’amore, quindi, come molla all’azione…
R. - Sono parole di Paolo VI alla FAO, quelle del titolo. Paolo VI sempre ha detto che l’anima del progresso è la carità, anche l’anima della pace è la carità. Paolo VI ha fatto della carità, dell’amore, non soltanto la virtù, diciamo domestica, tra le persone, ma la chiave del rapporto tra la comunità internazionale, i popoli, tutto il progresso sociale. Questo lo ha anche ripetuto Papa Francesco quando è andato alla FAO per la Giornata mondiale dell’alimentazione nel 2017: fare veramente dell’amore la chiave dello sviluppo, dell’aiuto. Senza amore, il mondo diventa oscuro, con l’amore c’è il futuro.
Circa 50 anni fa l’appello alla fratellanza universale e alla riconversione di tutta l’economia, per sfamare chi non ha da mangiare, fatto da Paolo VI rivolgendosi ai capi delle Nazioni e alle istituzioni sovranazionali: un appello poi riproposto dai successivi Papi, come lei ha ricordato. Mi viene da dire però: quanto c’è ancora da fare!
R. – Purtroppo dobbiamo dire che le parole di Paolo VI sono molto attuali e questo vuol dire che dobbiamo continuare a lottare perché la fame della quale parlava Paolo VI nel 1970 non è veramente sparita: 821 milioni di persone oggi soffrono la fame. Questo è uno scandalo, è un’ingiustizia. E questo per noi è un richiamo, un richiamo a continuare a lottare. La fame dovrebbe essere un pezzo di museo, dovrebbe appartenere a un libro vecchio, e invece purtroppo c’è. Per questo le parole di Paolo VI, le sue attese continuano ad essere oggi più vive che mai e sono per noi un incoraggiamento a continuare a lottare. Noi dobbiamo essere la generazione di "fame zero" perché l’unico numero che serve con la fame è lo 0. Dunque continuiamo a lottare, è possibile vincerla. Per farlo abbiamo bisogno soltanto di una cosa: di coniugare il verbo volere. C’è bisogno di una volontà. Abbiamo tutte le risorse per vincere la fame, quello che manca è la volontà di vincerla. Dobbiamo essere consapevoli che tutti noi, con una concordia di sforzi, dobbiamo far finire questo flagello che fa soffrire tanti nostri fratelli e, tanti di loro, bambini.
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