Libertà religiosa: documento della Commissione teologica internazionale
Sergio Centofanti – Città del Vaticano
E’ stato pubblicato oggi, dopo il via libera di Papa Francesco, un nuovo documento della Commissione Teologica Internazionale (CTI), intitolato Il testo, di 37 pagine, propone innanzitutto un aggiornamento ragionato della recezione della Dichiarazione conciliare (1965) sulla libertà religiosa, “approvata in un contesto storico significativamente diverso da quello attuale”.
Fondamentalismo e relativismo
Nelle società secolarizzate di oggi - osserva il documento - “le diverse forme di comunità religiosa sono ancora socialmente percepite come fattori rilevanti di intermediazione fra i singoli e lo Stato”. A fronte di questo, “l’odierna radicalizzazione religiosa indicata come ‘fondamentalismo’ (…) non sembra un semplice ritorno più ‘osservante’ alla religiosità tradizionale” ma “è connotata spesso da una specifica reazione alla concezione liberale dello Stato moderno, a motivo del suo relativismo etico e della sua indifferenza nei confronti della religione”.
Totalitarismo morbido dello Stato liberale
“D’altra parte, lo Stato liberale appare a molti criticabile anche per il motivo opposto: ossia per il fatto che la sua proclamata neutralità non sembra in grado di evitare la tendenza a considerare la fede professata e l’appartenenza religiosa un ostacolo per l’ammissione alla piena cittadinanza culturale e politica dei singoli. Una forma di ‘totalitarismo morbido’, si potrebbe dire, che rende particolarmente vulnerabili alla diffusione del nichilismo etico nella sfera pubblica”.
Ideologia della neutralità che emargina la fede
“La pretesa neutralità ideologica di una cultura politica che dichiara di volersi costruire sulla formazione di regole meramente procedurali di giustizia, rimuovendo ogni giustificazione etica e ogni ispirazione religiosa, mostra la tendenza ad elaborare una ideologia della neutralità che, di fatto, impone l’emarginazione, se non l’esclusione, dell’espressione religiosa dalla sfera pubblica. E quindi, dalla piena libertà di partecipazione alla formazione della cittadinanza democratica. Da qui viene allo scoperto l’ambivalenza di una neutralità della sfera pubblica soltanto apparente e di una libertà civile obiettivamente discriminante. Una cultura civile che definisce il proprio umanesimo attraverso la rimozione della componente religiosa dell’umano, si trova costretta a rimuovere anche parti decisive della propria storia: del proprio sapere, della propria tradizione, della propria coesione sociale. Il risultato è la rimozione di parti sempre più consistenti dell’umanità e della cittadinanza da cui la società stessa è formata. La reazione alla debolezza umanistica del sistema fa persino apparire giustificato per molti (soprattutto giovani) l’approdo ad un fanatismo disperato: ateistico o anche teocratico. L’incomprensibile attrazione esercitata da forme violente e totalitarie d’ideologia politica, o di militanza religiosa, che sembravano ormai consegnate al giudizio della ragione e della storia, deve interrogarci in modo nuovo e con maggiore profondità di analisi”.
Imitazione laicista della concezione teocratica
Si osserva poi che, quando un simile Stato “moralmente neutrale” comincia “a controllare il campo di tutti i giudizi umani, esso incomincia ad assumere i tratti di uno Stato “eticamente autoritario” che assume la forma di “una ‘imitazione laicista’ della concezione teocratica della religione, che decide l’ortodossia e l’eresia della libertà in nome di una visione politico-salvifica della società ideale: decidendo a priori la sua identità perfettamente razionale, perfettamente civile, perfettamente umana. L’assolutismo e il relativismo di questa moralità liberale confliggono, qui, con effetti di esclusione illiberale nella sfera pubblica, all’interno della pretesa neutralità liberale dello Stato”.
Il ritorno della religione nel terzo millennio
Il documento evidenzia, quindi, la smentita della “tesi classica, che prevedeva la riduzione della religione come effetto inevitabile della modernizzazione tecnica ed economica”: invece, oggi si parla “di ritorno della religione sulla scena pubblica. L’automatica correlazione fra progresso civile ed estinzione della religione, in verità, era stata formulata in base ad un pregiudizio ideologico, che vedeva la religione come la costruzione mitica di una società umana non ancora padrona degli strumenti razionali capaci di produrre emancipazione e benessere della società. Questo schema si è rivelato inadeguato”. Nello stesso tempo – nota il testo – il cosiddetto “ritorno della religione” presenta anche aspetti di “regressione” coltivati “nel solco di arbitrarie contaminazioni fra la ricerca del benessere psico-fisico e costruzioni pseudo-scientifiche della visione del mondo” per non parlare della “rozza motivazione religiosa di talune forme di fanatismo totalitario, che mirano ad imporre, anche all’interno delle grandi tradizioni religiose, la violenza terroristica”.
Sviluppi dottrinali
Il documento spiega lo sviluppo dottrinale della Dichiarazione conciliare, laddove il Magistero della Chiesa un tempo condannava la libertà di coscienza, in un “contesto storico” in cui il cristianesimo, che rappresentava “la religione di Stato e la religione di fatto dominante nella società occidentale” subiva “l’aggressiva impostazione di un laicismo di Stato”. La Dignitatis humanae riporta “alla sua evidenza fondamentale l’insegnamento del cristianesimo, secondo il quale non si deve costringere alla religione, perché questa forzatura non è degna della natura umana creata da Dio e non corrisponde alla dottrina della fede professata dal cristianesimo. Dio chiama a sé ogni uomo, ma non costringe nessuno. Pertanto, questa libertà diventa un diritto fondamentale che l’uomo può rivendicare in coscienza e responsabilità nei confronti dello Stato”.
Papa Wojtyla: libertà religiosa, fondamento delle altre libertà
Si ricorda, quindi, San Giovanni Paolo II quando afferma che la libertà religiosa, fondamento di tutte le altre libertà, è un’esigenza irrinunciabile della dignità di ogni uomo. Non è un diritto tra gli altri ma costituisce "la garanzia di tutte le libertà che assicurano il bene comune delle persone e dei popoli”.
Benedetto XVI: libertà religiosa, diritto non solo per i credenti
Per Benedetto XVI il diritto alla libertà religiosa è radicato nella dignità della persona umana in quanto essere spirituale, relazionale e aperto al trascendente. Non è quindi un diritto riservato ai soli credenti ma a tutti, perché sintesi e apice degli altri diritti fondamentali”. In riferimento ai rapporti con lo Stato, Papa Ratzinger parla di “laicità positiva”, ossia quel principio che promuove la cooperazione fra l’ambito politico e quello religioso nella dovuta distinzione dei rispettivi compiti. In questo senso la dimensione non solo individuale ma anche comunitaria della religione favorisce la costruzione del bene comune, al di là di ogni tentazione di egemonia.
Francesco: libertà religiosa, baluardo contro i totalitarismi
Papa Francesco sottolinea che la libertà religiosa non mira a preservare una “sottocultura”, come vorrebbe “un certo laicismo, ma costituisce un prezioso dono di Dio per tutti, garanzia basilare di ogni altra espressione di libertà, baluardo contro i totalitarismi e contributo decisivo all’umana fraternità”. Per questo motivo, “Francesco porta una grande attenzione ai molti martiri del tempo nostro, vittime di persecuzioni e violenze per motivi religiosi, come anche di ideologie che escludono Dio dalla vita degli individui e delle comunità. Per il Pontefice, la religione autentica, dal proprio interno, deve riuscire a dare conto dell’esistenza dell’altro per favorire uno spazio comune, un ambiente di collaborazione con tutti, nella determinazione di camminare insieme, di pregare insieme, di lavorare insieme, di aiutarci insieme per stabilire la pace”.
Diritto all’obiezione di coscienza
La Chiesa proclama la libertà religiosa per tutti e si aspetta anche “che i suoi membri possano vivere la loro fede liberamente e che i diritti della loro coscienza siano tutelati laddove rispettino i diritti degli altri. Vivere la fede può alle volte richiedere l’obiezione di coscienza. In effetti le leggi civili non obbligano in coscienza quando contraddicono l’etica naturale e perciò lo Stato deve riconoscere il diritto delle persone all’obiezione di coscienza”.
Violazioni della libertà religiosa
“Di fatto - afferma il documento - in alcuni paesi non c’è alcuna libertà giuridica di religione mentre in altri la libertà giuridica è drasticamente limitata all’esercizio comunitario del culto o di pratiche strettamente private. In tali paesi non è consentita l’espressione pubblica di una credenza religiosa, in genere è vietata ogni forma di comunicazione religiosa, e pene severe, inclusa la pena di morte, sono riservate a chi desidera convertirsi o cerca di convertire altre persone. Nei paesi dittatoriali dove prevale un pensiero ateo, – e, con le dovute distinzioni, pure in alcuni paesi che si ritengono democratici – i membri delle comunità religiose sono spesso perseguitati o soggetti a trattamenti sfavorevoli sul posto di lavoro, sono esclusi dai pubblici uffici ed è loro precluso l’accesso a certi livelli di assistenza sociale. Ugualmente le opere sociali nate da cristiani (nell’ambito della sanità, dell’educazione…) sono sottoposte a limitazioni sul piano legislativo, finanziario o comunicativo, che rendono difficile se non impossibile il loro svolgimento. In tutte queste circostanze non vi è vera libertà di religione. Una vera libertà di religione è possibile solo se essa può esprimersi operosamente".
Missione ad gentes e dialogo interreligioso
Il dialogo interreligioso, favorito dalla libertà religiosa, via alla pace “nella ricerca del bene comune insieme con i rappresentanti di altre religioni”, è “una dimensione inerente alla missione della Chiesa. Non è in quanto tale il fine dell’evangelizzazione, ma concorre grandemente ad essa; non va dunque compreso né attuato in alternativa o in contraddizione con la missione ad gentes”.
Martirio cristiano: l’amore che vince l’odio
Il testo affronta anche il tema del “martirio”, come “suprema testimonianza non-violenta della propria fedeltà alla fede, fatta oggetto di specifico odio, intimidazione e persecuzione”. Il martirio diventa “il simbolo estremo della libertà di opporre l’amore alla violenza e la pace al conflitto. In molti casi, la personale determinazione del martire della fede nell’accettare la morte è diventato seme di liberazione religiosa e umana per una moltitudine di uomini e donne, fino ad ottenere la liberazione dalla violenza e il superamento dell’odio. La storia dell’evangelizzazione cristiana lo attesta, anche attraverso l’avvio di processi e di mutamenti sociali di portata universale. Questi testimoni della fede sono giusto motivo di ammirazione e sequela da parte dei credenti, ma anche di rispetto da parte di tutti gli uomini e le donne che hanno a cuore la libertà, la dignità, la pace fra i popoli. I martiri hanno resistito alla pressione della rappresaglia, annullando lo spirito della vendetta e della violenza con la forza del perdono, dell’amore e della fraternità”.
Il martirio bianco
“A volte, le persone non vengono uccise in nome della loro pratica religiosa e tuttavia devono subire atteggiamenti profondamente offensivi, che li tengono ai margini della vita sociale: esclusione dai pubblici uffici, proibizione indiscriminata dei loro simboli religiosi, esclusione da taluni benefici economici e sociali..., in ciò che viene denominato ‘martirio bianco’ come esempio di confessione della fede. Questa testimonianza fornisce ancora oggi prova di sé in molte parti del mondo: non deve essere attenuata, come se fosse un semplice effetto collaterale dei conflitti per la supremazia etnica o per la conquista del potere. Lo splendore di questa testimonianza deve essere ben compreso e ben interpretato. Esso ci istruisce sul bene autentico della libertà religiosa nel modo più limpido ed efficace. Il martirio cristiano mostra a tutti ciò che accade quando la libertà religiosa dell’innocente è osteggiata e uccisa: il martirio è la testimonianza di una fede che rimane fedele a sé stessa rifiutandosi fino all’ultimo di vendicarsi e di uccidere. In questo senso il martire della fede cristiana non ha nulla a che fare con il suicida-omicida nel nome di Dio: una tale confusione è già in se stessa una corruzione della mente e una ferita dell’anima”.
Chiesa rispettosa della libertà individuale e del bene comune
“Il cristianesimo non chiude la storia della salvezza entro i confini della storia della Chiesa” perché l’intera storia umana va vista alla luce dell’amore di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 4). “La forma missionaria della Chiesa, iscritta nella disposizione stessa della fede, obbedisce alla logica del dono, ossia della grazia e della libertà, non a quella del contratto e dell’imposizione. La Chiesa è consapevole del fatto che, anche con le migliori intenzioni, questa logica è stata contraddetta – e sempre è a rischio di esserlo – a motivo di comportamenti difformi e incoerenti con la fede ricevuta”. La Chiesa ha uno stile di testimonianza della fede “assolutamente rispettoso della libertà individuale e del bene comune. Questo stile, lungi dall’attenuare la fedeltà all’evento salvifico, che è il tema dell’annuncio della fede, deve rendere ancora più trasparente la sua distanza da uno spirito di dominio, interessato alla conquista del potere fine a sé stesso”.
La libertà di accogliere il Vangelo
“Il Regno di Dio - conclude il documento - è già in azione nella storia, in attesa dell’avvento del Signore, che ci introdurrà nel suo compimento. Lo Spirito che dice «Vieni!» (Ap 22, 17), che raccoglie i gemiti della creazione (cf. Rom 8, 22) e fa «nuove tutte le cose» (Ap 21, 5) porta nel mondo il coraggio della fede che sostiene (cf. Rom 8, 1-27), in favore di tutti, la bellezza della «ragione [logos] della speranza» (1 Pt 3, 15) che è in noi. E la libertà, per tutti, di ascoltarlo e di seguirlo”.
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