I 35 anni della Fondazione per il Sahel. Card. Turkson: serve un cambio totale
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Quasi 40 anni fa, san Giovanni Paolo II era a Ouagadougou, capitale dell’Alto Volta, oggi Burkina Faso, uno dei “paesi della sete” dell’Africa Centrale, e , il 10 maggio 1980, lanciò un appello solenne a tutto il mondo, “a non chiudere gli occhi” davanti alla tragedia che si consuma ogni anno nella regione del Sahel. Terre secche, nude, flagellate da anni senza piogge, minacciate dalla desertificazione. Ecco le sue parole:
Io, Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma e successore di Pietro, alzo la mia parola supplicante, perché non posso più restare in silenzio quando i miei fratelli e le mie sorelle sono minacciati. Sono qui la voce di coloro che non hanno voce, la voce degli innocenti, che sono morti perché mancavano loro acqua e pane, la voce dei padri e delle madri che hanno assistito alla morte dei loro bambini senza capire, o che vedranno per sempre nei loro bambini e le conseguenze della fame che hanno sopportato; la voce delle generazioni future, che non devono più vivere con questa minaccia terribile che pesa sulle loro vite. Lancio un appello a tutti.
La Fondazione per il Sahel nasce il 22 febbraio 1984
Alcuni mesi dopo, nel novembre 1980, Papa Wojtyla ripetè lo stesso appello in Germania. Le sue parole attivarono una grande ondata di solidarietà, la prima pietra tangibile di quella che sarà la Fondation Jean Paul II pour le Sahel. Il Papa polacco ne avrebbe approvato lo statuto il 22 febbraio 1984, e il 6 marzo la Fondazione si sarebbe costituita ufficialmente. Il rappresentante legale è inizialmente il presidente del Pontificio consiglio Cor Unum, e dall’agosto 2016 l’incarico passa al prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, il card. Peter K.A. Turkson.
Corresponsabili i vescovi dei 9 paesi del Sahel
Ma il funzionamento della Fondazione è basato sul principio della co-gestione e della co-responsabilità dei vescovi dei 9 paesi del Sahel: Burkina Faso, Capo Verde, Gambia, Guinea Bissau, Mali, Mauritania, Niger, Senegal e Ciad. La Fondazione promuove e realizza progetti contro la desertificazione, nel settore ambientale, della gestione e dello sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, degli impianti di pompaggio dell’acqua, del miglioramento dell’accesso all’acqua potabile per tutti, e delle energie rinnovabili. Si occupa inoltre di formare personale tecnico specializzato, che possa mettersi al servizio del proprio Paese. Ed è divenuta, negli anni, uno strumento di dialogo interreligioso.
Il Consiglio di amministrazione della Fondazione a Dakar
Dal 18 al 22 febbraio si è svolta a Dakar, in Senegal, la riunione annuale del Consiglio di amministrazione della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel, alla quale ha preso parte il cardinale Turkson. Il Cda ha analizzato i progetti presentati in attesa di finanziamento, che ammontano a 125 nell'anno 2018. Tra questi, per la prima volta, anche progetti nel campo delle migrazioni, con particolare riguardo alla formazione dei giovani e al lavoro.
La visita al Foyer Maria Goretti di Dakar
Nel corso della missione il card. Turkson ha visitato il Foyer Maria Goretti della “Pouponnière des Soeurs Franciscaines Missionaires de Marie” con sede a Dakar. Nella struttura donne e giovani ragazze vengono accolte per seguire corsi di formazione nel campo dell’economia domestica, dell’informatica e della pedagogia per bambini da 0 a 3 anni. Al cardinale Peter Turkson, di ritorno da Dakar, chiediamo se rispetto a 25 anni fa la situazione dei paesi del Sahel è migliorata o resta ancora drammatica:
R.- Oggi se è anche si è riusciti a sollevare molti da un’estrema povertà, costruendo pozzi d’acqua, dando qualche piccolo capitale per fare un po’ di agricoltura, per realizzare uno sviluppo sostanziale ci vuole un cambiamento sistemico, che possa sollevare tutto a un certo livello dell’esistenza. Immagini che si devono fare 200, 300 metri in profondità per avere accesso all’acqua. Non si può fare questa operazione ovunque. Quindi dobbiamo proprio trovare un modo per fare questo, attraverso la dissalazione dell’acqua del mare, che poi si può portare con condotte in tutte le zone. C’è un progetto che ha proposto il governo della Norvegia di creare una foresta dal Senegal al Camerun.
Ci vuole qualcosa che sia sistematicamente un po’ diverso e che possa cambiare l’ambiente per coloro che risiedono lì. Ultimamente tutto questo è complicato anche dell’arrivo in certe parti dei jihadisti che rendono un po’ difficili i progetti perché l’insicurezza ostacola lo sviluppo. Come già aveva detto Paolo VI: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, ma lo sviluppo ha bisogno della pace. La sicurezza è necessaria per poter promuovere tutto questo. Quindi stiamo lottando ancora su questo. Invitando per esempio i governi a essere partner sostanziali di queste iniziative della Chiesa, della Caritas. E poi vedere se con questi partner e con altri gruppi esterni si possono introdurre cambiamenti sistemici nella zona.
Nonostante i jihadisti, come va la collaborazione con i musulmani, con le religioni tradizionali per questi progetti?
R.- Le beneficiarie di questa fondazione sono tutte le popolazioni della regione, non si fa distinzione tra musulmani e cattolici. I grandi attori sono la Chiesa e le Caritas locali, ma uno degli obiettivi della fondazione è facilitare il dialogo interreligioso. La presenza cristiana è una piccola minoranza e quelli che in larga parte beneficiano dei progetti sono musulmani, quindi al di là del dialogo interreligioso c’è il "dialogo dell’azione" e in parecchi dei posti, non soltanto in questa regione e in altre parti dell’Africa, ciò che unisce il villaggio è il dialogo di azione: quando gli abitanti di un villaggio vengono insieme per costruire un pozzo, per fare progetti da cui dipende la vita della comunità del villaggio. Quindi c’è anche il dialogo dell’azione che può predisporre la persona a dialogare anche a livello religioso.
Di cosa si è discusso nell’ultimo consiglio d’amministrazione a Dakar?
R.- Questo Consiglio di amministrazione ha messo l’enfasi sull’accesso ai fondi per la realizzazione dei progetti e questa fondazione è sostenuta da un conto in Germania, alla Pax Bank gestita dalla conferenza episcopale tedesca. Ora che in Europa gli interessi sono molto diminuiti, questi fondi investiti nella Pax Bank rendono pochissimo e diminuisce la possibilità di realizzare progetti. Quindi questo Consiglio pensava alla possibilità di convincere i vescovi tedeschi di rimpatriare una certa somma di questa fondazione, una parte del capitale, per essere investito e gestito localmente. Ma questa è una cosa che noi del dicastero dobbiamo studiare insieme con loro.
Nel 2018 è stato il Ciad il più colpito dalla siccità
Secondo le stime dello Human Development Index 2018 il Sahel è ancora una delle regioni più povere del pianeta, con gravi crisi alimentari e climatiche, oltre che un bacino di addestramento di gruppi terroristici. Il paese più colpito nel 2018 è stato il Ciad. Le regioni orientali hanno subito una grave crisi nutrizionale causata da cambiamenti climatici, difficoltà di accesso alla terra e all’acqua e da un fragile sistema sanitario. Si tratta di una crisi ricorrente, cronica, che ad ogni stagione si presenta sempre più grave. Ogni anno, da maggio a settembre, centinaia di migliaia di persone in Ciad, e nell’intera regione del Sahel, devono affrontare un’estrema insicurezza alimentare determinata dalla stagione secca che si accompagna al progressivo esaurimento delle scorte alimentari.
Un bimbo su 7 muore prima dei 5 anni
Nel 2017 la situazione nutrizionale in Ciad è peggiorata in modo significativo e la stagione secca è arrivata prima del previsto mettendo a rischio quasi 900.000 persone. In Ciad si registra il sesto tasso di mortalità infantile più elevato al mondo e la malnutrizione è tra le principali cause. Le prime vittime sono i più vulnerabili: un bambino su sette muore prima del quinto compleanno, secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari.
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