Padre Zollner: “Il summit sui minori produrrà risultati concreti”
Federico Piana - Città del Vaticano
“I risultati arriveranno”. Padre Hans Zollner, referente del summit sulla protezione dei minori nella Chiesa, è convinto che alla fine il vertice vaticano produrrà frutti sostanziosi, concreti. E a chi critica l’incontro definendolo solo una vetrina di parole e niente azioni, risponde con pacatezza: bisogna avere la pazienza di aspettare; comunque non siamo all’anno zero, la Chiesa è già da tempo impegnata a combattere gli abusi.
R. – In tre giorni e mezzo non si può cambiare tutto il mondo. Abbiamo ricevuto tantissime indicazioni su cose veramente molto concrete, importanti. Già domenica pomeriggio il comitato organizzatore si è riunito. Ieri abbiamo avuto, durante tutta la mattinata, una riunione con i capi dei dicasteri e rappresentanti di dicasteri della curia romana per capire come possiamo avviare un processo di implementazione. Ieri sera, ancora, ci siamo visti per stabilire un piano anche di tempistica che potrà far sì che a breve avremo dei risultati molto concreti.
Quali saranno questi risultati?
R. – Abbiamo attualmente in programma alcune cose: le linee guida per lo Stato della Città del Vaticano e le leggi per lo Stato della Città del Vaticano che saranno praticamente promulgate tra poco; avremo anche l’ istituzione di task force, cioè gruppi di esperti che andranno in tutto il mondo per aiutare le conferenze episcopali che hanno più bisogno perché mancano le persone competenti. In molte parti dell’Africa e dell’Asia non esiste una cultura della prevenzione, non ci sono, né in chiesa né in società, persone capaci di portare questo lavoro. Quindi per avviare un processo di riflessione, ma anche un’azione fattiva di implementazione, di protezione dei minori, verranno inviate persone che saranno capaci di aiutare le conferenze episcopali, le congregazioni religiose, a fare di tutto affinché in quella zona del mondo i giovani siano sicuri.
Quindi mi pare di capire che tutta la macchina si è messa in moto. Non si è chiuso un processo con il summit ma si è aperto. Quindi, da adesso in poi, la direzione sarà quella della concretezza, come hanno chiesto anche alcune vittime…
R. – Sì, anche se non cominciamo da zero. Abbiamo già in azione, in alcune parti del mondo, molte misure di sicurezza, di protezione che potranno aiutare anche altre zone del mondo per ispirarsi e lavorare in modo consistente per dare seguito a questo incontro che ha avuto un risultato, per me, molto incoraggiante: la conversione, un atteggiamento cambiato, da parte di molti vescovi. Soprattutto in zone dove finora dicevano: “Questo non è un tema che tocca a noi…”. In Africa, in Asia, dove molto spesso ho sentito anch’io: “Questo è un problema dell’occidente, non abbiamo questi crimini”. Invece, hanno compreso che non solo ci sono questi crimini nei loro Paesi ma che devono fare tutto il possibile per fare giustizia, per ascoltare le vittime e per mettersi a lavorare a tutto raggio per la prevenzione.
Da questo summit che si è concluso - ma, lo abbiamo detto, tutti i processi sono stati messi in campo e porteranno soluzioni concrete - si è presa coscienza fino in fondo di questi abusi?
R. – E’ un risultato che non si lascia misurare facilmente ma, ovviamente, è una cosa che abbiamo visto nei momenti in cui le vittime di abuso parlavano della loro sofferenza: momenti molto forti. E nessuno ha lasciato l’aula senza essere toccato. Io penso che nessuno abbia lasciato il summit senza essere deciso a fare il possibile per migliorare la situazione.
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