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Patti Lateranensi: cosa sono e cosa hanno stabilito

Intervista a Giuseppe Dalla Torre, direttore della Scuola di alta formazione in Diritto Canonico, Ecclesiastico e Vaticano della Lumsa e presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano sui contenuti e sulle prospettive degli accordi fra Stato Italiano e Santa Sede

Eugenio Bonanata – Città del Vaticano

Chiudere il dissidio aperto tra Stato e Chiesa nel 1870: questo è uno degli effetti prodotti dai Patti fra Italia e Santa Sede sottoscritti l’11 febbraio 1929. A vatican News ne ripercorre i contenuti, spiegando alcune differenze giuridiche e il ruolo di molte figure dimenticate in questa importante pagina della storia, Giuseppe Dalla Torre, direttore della Scuola di alta formazione in Diritto Canonico, Ecclesiastico e Vaticano della Lumsa e presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. 

Ascolta l'intervista al prof. Giuseppe Dalla Torre

A distanza di novant’anni c’è ancora chi confonde fra Trattato e Concordato. Qual è la differenza?
R. – I Patti Lateranensi sono costituiti da tre protocolli diplomatici: il Trattato del Laterano, il Concordato e la Convenzione finanziaria (che stabiliva un indennizzo a beneficio della Santa Sede per aver perso lo Stato Pontificio ndr). Il Trattato del Laterano è stato diretto a chiudere la questione romana con la costituzione della Città del Vaticano e con l’assicurazione alla Sante Sede di una serie di altre garanzie volte a permettere un libero esercizio dell’attività di governo della Chiesa universale. Il Concordato, invece, ha avuto lo scopo di disciplinare la vita della Chiesa cattolica che è in Italia, cioè della Chiesa italiana. Quindi ha uno scopo diverso, una finalità diversa, anche se ovviamente ci sono dei collegamenti di carattere giuridico e soprattutto di carattere ideale.

In pratica, cosa hanno prodotti i Patti?
R. - I Patti hanno prodotto molte cose: innanzi tutto hanno chiuso il dissidio che si era aperto tra Stato e Chiesa nel 1870. Dissidio che rendeva politicamente debole a livello interno ed internazionale l’Italia; che creava una crisi di coscienza nei cattolici italiani divisi nei loro sentimenti di fedeltà alla Chiesa e di fedeltà allo Stato; che rendeva alla Santa Sede e quindi alla Chiesa in generale una vita difficile nell’ordinamento italiano. Quindi è stato un passaggio importante, che ha creato le premesse per una collaborazione che certamente ha dato un grande contributo allo sviluppo della vita internazionale della Santa Sede, della vita della Chiesa in Italia e anche al potenziamento dello Stato italiano inteso come popolo. Teniamo conto che un popolo ha bisogno di legami, di fattori che tengano insieme, di collanti e, da questo punto di vista, l’immenso impegno della Chiesa cattolica in Italia, da tante prospettive, ha dato un contributo direi incomparabile.

Qual è l’attualità di questo corpus?
R. - Il Concordato è stato rivisto nel 1984 rendendolo più moderno, più aderente alle esigenze della nuova società italiana, più aderente al nuovo contesto costituzionale, ma anche ai principi del Concilio Vaticano II in materia di libertà religiosa e in materia di rapporti tra rapporti tra la Chiesa e la comunità politica. Il Trattato del Laterano è rimasto sostanzialmente immutato, ma non si può dire che abbia chiuso solamente la questione del passato: costituisce ancora uno strumento importantissimo di operatività della Santa Sede a livello internazionale.

Cosa dire del futuro?
R. - Penso che il Trattato e il Concordato abbiano una funzione assai importante nel presente e negli anni a venire. Certamente i contesti sono mutati, le condizioni sono diverse, soprattutto a livello internazionale c’è questo sviluppo del fenomeno della globalizzazione che impone una serie di iniziative un tempo non immaginabili, ma certamente gli strumenti che allora sono stati posti in essere continuano ad essere particolarmente efficaci. Basta ricordare uno fra gli altri: la Santa Sede è stata chiamata a far parte della famosa Conferenza di Helsinki su cui si fondarono poi i diritti umani in Europa e che rappresentò il presupposto della caduta dei muri. Questa partecipazione avvenne grazie all’invito fatto dall’Ungheria – l’Ungheria comunista – non alla Santa Sede, ma allo Stato della Città del Vaticano.

In conclusione una riflessione su alcuni personaggi quasi dimenticati che hanno avuto a che fare con questa vicenda, come ad esempio Francesco Pacelli. Era il fratello di Eugenio Pacelli - Pio XII -, ma fu lui a mediare la trattativa con lo Stato italiano…
R. - Francesco Pacelli si è dimostrato un grande giurista; era un avvocato, ma si è dimostrato anche un grande diplomatico, ha avuto la capacità di smussare angoli che sembravano insormontabili e di giungere a conclusioni soddisfacenti per la Santa Sede e che riteniamo ancora positive. Diciamo che è stato messo un po’ nell’ombra dal fratello (Eugenio Pacelli ndr) che poi è diventato pontefice ed ha avuto certamente un ruolo di rilevanza eccezionale. Tuttavia, la Santa Sede deve molto a lui non solo nella trattativa che ha portato ai Patti Lateranensi, ma anche in tutto il lavoro di costruzione dell’ordinamento interno della Città del Vaticano che se pure molto modificato nel corso di questi 90 anni, nella sua struttura essenziale ancora può essere riportato alla mano di Francesco Pacelli.

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11 febbraio 2019, 07:00