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Sinodo panamazzonico: la Chiesa cammini con gli indigeni delle città

La prima giornata di lavori del seminario di studio in preparazione del Sinodo che si terrà dal 6 al 27 ottobre in Vaticano, è stata aperta da una relazione di don Giovanni Bottasso, missionario italiano da 59 anni in Ecuador. “La Chiesa difenda la ricchezza delle genti indigene e le faccia sentire parte attiva”

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

“La Chiesa è in Amazzonia per affermare che la presenza delle popolazioni indigene è una ricchezza per l’umanità e per farle sentire parte integrante della Chiesa stessa. La grande sfida oggi è l’accompagnamento degli indigeni urbani, soprattutto i giovani, che rischiano di perdere il senso della loro identità, per assomigliare agli altri”. Don Giovanni “Juan” Bottasso è missionario in Ecuador da 59 anni, e ha superato da tempo le ottanta primavere, ma ha uno sguardo giovane sul futuro dell’Amazzonia, e lo trasmette ai partecipanti al seminario di studi in vista dell’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi sul tema. "Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale", che si terrà in Vaticano dal 6 al 27 ottobre.

Un Sinodo dalla dimensione regionale e universale

A don Juan è affidata la prima relazione della tre giorni che si tiene, fino a mercoledì 27, presso l’Istituto M.S. Bambina, e che ha come titolo “Verso il Sinodo Speciale per l’Amazzonia: dimensione regionale e universale”. Il missionario salesiano, per sviluppare il tema de “La missione della Chiesa in Amazzonia alla luce di Evangelii gaudium”, ripercorre la storia dell’evangelizzazione nelle terre americane e in particolare in quelle bagnate dal Rio delle Amazzoni, dal 1492 e dalla “diffusione della fede” imposta dai conquistadores spagnoli e portoghesi.

Il Concilio e i semi del Verbo in tutte le culture

Il principio dei missionari arrivati con i conquistadores era far entrare gli indigeni nella Chiesa come unica loro possibilità di salvezza, facendo pulizia dalle false credenze e superstizioni. Ma don Bottasso ricorda che il Concilio Vaticano II, con il decreto sull’attività missionaria “Ad Gentes”, parla di semi del Verbo, una presenza di Dio efficacie, anche se embrionale, in tutte le culture di tutti i popoli. Il compito dell'evangelizzatore consiste quindi, in primo luogo, “nel cercare questa presenza, che richiede un atteggiamento di umile apprendimento”.

A don Giovanni Bottasso chiediamo come trasmettere oggi allora la “gioia del Vangelo” ai popoli indigeni dell’Amazzonia.

R. - Per dare gioia, bisogna dare speranza ed è impossibile dare speranza se non indicano delle prospettive. Alcuni popoli indigeni amazzonici, si lasciano un po’ morire perché vedono di non avere più un senso in questa civiltà che li considera una presenza non solo inutile, ma un disturbo, una molestia come qualcosa che se non ci fosse sarebbe meglio. E invece, ogni cultura è il prodotto di secoli di adattamenti all’ambiente, ad una quantità di fattori che veramente, ed è un capolavoro! Per l’umanità ogni cultura che sparisce è una biblioteca che si brucia, è una perdita. Ma alla nostra civiltà importa poco di queste cose; ormai è schiacciata sul presente, sull’efficacia sulla produzione, sull’efficienza … E i popoli indigeni hanno tutto meno che queste cose.

Ascolta l'intervista a don Giovanni Bottasso

Lei fa presente che molti giovani indigeni stanno cercando di assimilarsi alla modernità, rischiando così di perdere la loro identità. Il Papa invece chiede loro di lottare contro la “cultura dello scarto”, che vuol mettere da parte le culture indigene …

R. - Perché se una persona perde l’orgoglio della sua appartenenza, è come un albero che perde le radici: ad un certo punto di secca, non ha futuro. Un popolo senza memoria non ha progetti, perché è un popolo che cerca di imitare quello che c’è intorno, ma non ha più una linfa interiore che gli permette di sopravvivere. Ma siamo tutti un po’ disorientati: non bisogna dire che noi missionari abbiamo le idee chiare. Bisogna ammetterlo e se non lo facciamo ci auto inganniamo.

Quali parole, quali gesti dovrebbero uscire dal Sinodo per ridare speranza al popolo indigeno dell’Amazzonia?

R. - Intanto capire che è un problema molto serio; non si risolve solo con buona volontà; bisogna lavorare insieme a tante altre discipline come l’antropologia, la sociologia, gli ambientalisti … La Chiesa da sola non ce la fa più. Una volta era quasi l’unica presenza; adesso è una delle tante. Quindi deve lavorare in cordata con tante alte. E poi bisogna parlare con loro: sono loro che devono dirci cosa aspettano, cosa vorrebbero, perché noi ci siamo sempre considerati dei maestri e loro seduti lì ad ascoltarci. Invece quello è un atteggiamento sbagliato. Bisogna sentirli! Sono loro che devono decidere, perché il futuro è loro. Non possiamo decidere in nome loro. Purtroppo a volte ci siamo a volte senza dirlo, senza esserne coscienti, un po’ considerati i loro maestri, i lori padroni. Quello è un atteggiamento non solo paternalista, ma fortemente sbagliato.

Quindi come è accaduto nel Sinodo dei giovani con 35 giovani uditori, sarebbe bene che anche gli indigeni fossero tra gli uditori a questo Sinodo …

R. - Ma certo, non solo uditori ma che prendano anche la parola. Però bisogno stare attenti non perché devono essere indigeni cin grado di esprimersi, che abbiano già fatto un discorso altrimenti partecipano, ma sono isolati. Bisogna sapere scegliere, ma di leader molto bravi ce ne sono tanti e non hanno più bisogno di padrini, di tutori, ma possono benissimo parlare a nome loro.

L’ evangelizzazione in Amazzonia è stata fatta dai missionari. Ora invece ci sono sacerdoti indigeni. Sta crescendo anche una classe di presbiteri locali?

Non sono numerosi, ma ci sono. Bisogna dire che la maggior parte degli indigeni urbani è stata abbandonata dalla nostra Chiesa. Quelli che si occupano di loro sono soprattutto i protestanti. Fanno delle piccole chiese nelle città. Siccome la Chiesa è superata dall’immensità dei problemi – le città che crescono con gente che non è più indigena – gli indigeni corrono il rischio di rimanere in periferia o essere del tutto i dimenticati dalla Chiesa. E questo succede già in molte città amazzoniche.

Nella seconda giornata la promozione dell'ecologia integrale

Nella prima giornata del seminario vengono poi presi in esame altri aspetti ecclesiali e pastorali alla luce dell’ , con approfondimenti dedicati alla catechesi, alla formazione cristiana e all'inculturazione. Nella giornata di martedì si affrontano invece questioni legate alla promozione dell’ecologia integrale nell’orizzonte dell’Enciclica , alla questione indigena e alla spiritualità ecologica. Mercoledì infine sarà dedicato ad una sintesi delle prospettive emerse, affidata al vescovo di Frosinone monsignor Ambrogio Spreafico e ad una comunicazione sul cammino di preparazione al Sinodo, da parte del cardinal Claudio Hummes, presidente della Rete ecclesiale panamazzonica REPAM.

Presenti i leader delle 7 conferenze episcopali amazzoniche

Ad aprire i lavori è stato il cardinale Lorenzo Baldisseri, Segretario generale del Sinodo dei vescovi, che mercoledì traccerà anche le conclusioni. Al seminario partecipano i presidenti delle sette conferenze episcopali dell’area Amazzonica, alcuni altri presuli ed esperti provenienti dall’Amazzonia e da altre zone geografiche, questo anche per mettere in luce la relazione tra la particolare situazione ecclesiale e ambientale amazzonica e altri contesti territoriali simili.

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In Vaticano il seminario in vista del Sinodo di ottobre
25 febbraio 2019, 17:23