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Protezione minori. Mons. Scicluna: potenziare risposta comune

Alla vigilia dell’incontro su “La protezione dei minori”, in programma in Vaticano dal 21 al 24 febbraio, l’arcivescovo Scicluna, membro del Comitato organizzatore, spiega le sue aspettative e si augura che sia un’occasione di ascolto reciproco

Fabio Colagrande - Città del Vaticano

Mons. Charles J. Scicluna, arcivescovo di Malta, segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede, è uno dei membri del Comitato organizzativo dell’incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa” che da giovedì prossimo in Vaticano vedrà riuniti i rappresentanti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo. La sua grande esperienza nella lotta agli abusi sessuali su minori commessi da chierici gli ha insegnato che affinché la Chiesa diventi un ‘porto sicuro’ per tutti serve una leadership sana e efficace ma anche l’impegno comune di tutto il Popolo di Dio. Gli abbiamo chiesto, innanzitutto, quali sono le sue aspettative personali in vita del meeting.

R. - Io colgo l’invito, che ci ha fatto più volte il Papa, a metterci in un’aspettativa di preghiera. Perché, se cerchiamo di fare qualcosa da soli, siamo condannati alla rovina. La preghiera ci insegna che dobbiamo accogliere il dono della grazia, della sapienza e della misericordia del Signore, ma noi non possiamo certo abdicare alla nostra responsabilità. Si tratta di un meeting convocato dal Santo Padre che coinvolge tutta la leadership della Chiesa. Ci occupiamo di un tema molto caro al cuore di Gesù - l’innocenza dei bambini - e dobbiamo accogliere l’invito del Signore: ‘Lasciate che i bambini vengano a me, non impediteglielo’. Allora in prima piano c’è la prevenzione, la salvaguardia dei nostri giovani e anche l’ascolto della Parola del Buon Pastore che dà la vita per il suo gregge e vuole che noi che abbiamo questa missione non facile, cerchiamo di attuare il Vangelo. Noi dobbiamo essere misericordia, buona notizia, per il nostro popolo e nel contesto attuale garantire l’incolumità dei nostri giovani e la salvaguardia delle nostre comunità è parte integrante di questa buona notizia.

Quali frutti concreti si aspetta dal meeting?

R. - “Direi che è importante aspettare l’esito delle discussioni che si terranno in seno al meeting. Ci saranno momenti in cui alcuni di noi condivideranno le loro relazioni con tutti i partecipanti all’incontro. Ma poi anche momenti in cui tutti i partecipanti potranno parlare in gruppi linguistici, esternare speranze, frustrazioni, paure e anche voglia di fare bene. Quindi, noi vogliamo prima di tutto metterci in ascolto del meeting. Poi, certo, dovremmo anche pensare a una strategia per dare un seguito all’incontro. Sarà importante, in particolare, dare seguito alle indicazioni del Santo Padre. E in questo senso attendiamo con grandi aspettative il suo indirizzo finale che concluderà l’incontro. Ma non vogliamo ascoltare solo il Papa, ma ascoltarci gli uni gli altri e cercare di fare di questa opportunità un altro momento importante in questo cammino contro gli abusi che la Chiesa ha intrapreso da anni.

Responsabilità, accountability e trasparenza sono i temi scelti per le prime tre giornate. Quale di questi temi è il più urgente?

R. - Quando si parla di responsabilità si parla anche in generale dell’impegno in questo campo. Poi l’accountability significa che noi siamo responsabili non solo rispetto a Dio, ma anche rispetto al popolo di Dio e a tutta la Chiesa. E la trasparenza è importante perché il popolo di Dio deve sapere qual è stato l’esito di un processo, chi è “il lupo in mezzo al gregge”, ma deve anche poter seguire tutte le attività che si fanno per poter garantire una giusta salvaguardia. Tutte e tre queste parole sono essenziali perché descrivono un’esperienza di governo, cioè di leadership, che è sana e efficace nel mondo di oggi.

Si parlerà anche di prevenzione?

R. - Senz’altro, perché bisogna prima di tutto guardare in faccia all’abuso dove c’è, dove si verifica. Ma dobbiamo anche lavorare per creare un ambiente in cui l’abuso viene reso più difficile. E allora dobbiamo lavorare per combattere la cosiddetta cultura del silenzio, o cultura dell’omertà, per usare una parola più forte. Ma dobbiamo anche dare più potere al popolo di Dio: in inglese c’è la parola ‘empowerment’ che in italiano è difficile da tradurre. Il senso è che dobbiamo potenziare tutto ciò che è saggezza, prudenza e voglia di fare, nelle nostre comunità, affinché insieme – come popolo di Dio – noi possiamo essere quel ‘porto sicuro’ che deve essere la Chiesa.

Papa Francesco ha messo più volte in connessione gli abusi sessuali con gli abusi di potere e il clericalismo. È la battaglia più difficile?

R. - È una battaglia fondamentale. Ma ogni battaglia è difficile: anche perché è la guerra che continua contro la nostra concupiscenza, contro la nostra superbia innata, contro il peccato. Secondo me il Signore lavando i piedi ai discepoli ci ha dato un’icona efficacissima di quello che deve essere il cuore del servizio nella Chiesa. E se noi non agiamo così siamo traditori di quel mandato che il Signore ci ha lasciato per primo, dando la vita per il gregge.

Quest’incontro riuscirà a dare credibilità alla Chiesa?

R. - La credibilità non è questione di un incontro di tre giorni. Quella per la credibilità è una lotta continua che si compie giorno per giorno. Ma io vorrei dedicare un pensiero a tanti sacerdoti e religiosi che nel mondo lavorano in silenzio e con grande fedeltà, con grande sforzo e generosità. Certo, non finiranno mai sulle prime pagine dei giornali, ma sono quella foresta che cresce silenziosamente e fa da sfondo a qualche albero che cade. Ma noi dobbiamo guardare a questa foresta che cresce e allo stesso tempo allontanare ‘i lupi’ dalle nostre comunità, perché i nostri preti debbono seguire l’icona del ‘Buon Pastore’ e questa deve essere la nostra preghiera per tutta la Chiesa.

 

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19 febbraio 2019, 14:16