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Locandina del convegno "Dio non abita più qui", sulle chiese dismesse Locandina del convegno "Dio non abita più qui", sulle chiese dismesse 

Nuova vita per le chiese dismesse a frutto delle comunità

Pubblicate oggi dal Pontificio Consiglio della Cultura le linee guida per “La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese”, frutto delle riflessioni maturate nel Convegno del 29-30 novembre scorso, intitolato “Dio non abita più qui”. Intervista a mons. Fabrizio Capanni

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Un documento atteso da tempo, che prende atto di un problema reale e dissipa anche timori per la dispersione di patrimoni religiosi, storici e artistici e pone al riparo da possibili derive nelle destinazioni d’uso.

Linee guida per diverse destinazioni d’uso

In 14 pagine sono state riassunte le linee guida, ovvero le nuove regole, per dismettere gli edifici di culto, che rivisitano ed amplificano secondo le diverse esigenze delle Chiese d’Europa, Canada, Stati Uniti e Australia, la “Carta sulla destinazione d’uso degli antichi edifici ecclesiastici”, elaborata oltre 30 anni fa, nel 1987, dalla Pontificia Commissione centrale per l’Arte sacra in Italia.

Valorizzare gli spazi di culto in eccesso

“I tanti cambiamenti che segnano le nostre società e le nostre culture – si legge nell’introduzione al documento – lanciano dunque sfide anche al modo di percepire, valorizzare e gestire il patrimonio culturale e soprattutto gli spazi di culto in eccesso da parte della Chiesa”.

No ad usi commerciali

Per questo il documento si chiude con una serie di raccomandazioni molto puntuali perché la decisione di dismettere beni immobili e mobili di culto sia presa dalle autorità ecclesiastiche di concerto con la comunità ecclesiale, in dialogo con la società civile, tenendo conto delle peculiarità dei territori e dei diversi contesti culturali, preferendo per la nuova destinazione d’uso finalità culturali, sociali, caritative ed escludendo in ogni caso utilizzi commerciali se non con finalità solidali.

Desacralizzare non è dissacrare

Desacralizzare non è dissacrare, chiarisce mons. Fabrizio Capanni, che ha seguito la stesura delle linee guida

Ascolta l'intervista a mons. Capanni

R. – Il documento è partito dalla consapevolezza di un’urgenza: quella di salvaguardare, tutelare un patrimonio, che per ragioni contingenti, specialmente nelle nazioni secolarizzate, aveva bisogno di essere affrontato. Riguardo alla natura di questo documento, esso non è normativo, perché la responsabilità ultima, per la scelta della destinazione degli edifici di culto, spetta al vescovo. Tuttavia, si voleva che fosse un documento condiviso dai rappresentanti delle conferenze episcopali – ben 23 – quindi che avesse una forma di autorevolezza maggiore.

Nel documento si parla appunto di condivisione ecclesiale, ma anche di condivisione con la comunità civile…

R. – Sì, infatti questo è uno dei punti salienti del documento. Si volevano indirizzare, orientare, le diocesi a prendere in seria considerazione le esigenze della comunità cristiana, che molte volte si oppone alla dismissione delle chiese: quindi che questa fosse un’operazione il più possibile condivisa da tutti, possibilmente anche integrata all’interno di una pianificazione, di una programmazione, sia nella Chiesa sia con l’autorità civile. Poi, un secondo punto importante è che le soluzioni adottate fossero quelle prevalentemente di un riuso ecclesiale, cioè a vantaggio della comunità stessa.

Nel documento, anche la raccomandazione di formare i sacerdoti in questo campo della tutela dei beni culturali…

R. – Questo ovviamente è importante, perché non solo il vescovo, ma anche il clero, a seconda dei diversi ordinamenti, amministra un patrimonio in prima persona.

Mons. Capanni, quando c’è stato il convegno il 29-30 novembre scorso, si sono sollevate anche delle critiche, si sono aperti dei timori: qualcuno ha detto “la Chiesa pensa anche a fare soldi dismettendo le chiese e ricavandone dei soldi...”

R. – Questo timore è smentito nel documento perché consiglia proprio di ovviare: quella della vendita è considerata proprio l’ultima soluzione quando non si possono percorrere altre vie. Quindi non è affatto nello spirito del documento, così come non lo è stato nell’ambito del convegno, incoraggiare le vendite: tutt’altro. Anche se purtroppo in alcuni casi possono essere inevitabili. Ma non c’è certamente un consiglio da parte di nessuno. 

Mons. Capanni, possiamo dire che in realtà questo documento è teso a valorizzare un patrimonio che fa parte della storia della chiesa e della storia artistica, storica, dei nostri Paesi…

R. – Sì, assolutamente. È proprio in questa ottica che è stato pensato. Il patrimonio non va in nessun modo disperso possibilmente, perché fa parte della memoria della chiesa, e anzi la sostanzia. E quindi la chiesa non ne può fare a meno.
 

 

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17 dicembre 2018, 14:00