Mons. Auza: atenei cattolici formino alla tutela dei migranti
Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
Uno scampato all’Olocausto, Haim Ginnott, diventato psicoterapeuta, scrisse negli anni Settanta una celebre lettera agli insegnanti nella quale affermava di aver visto camere a gas costruite da ingegneri, bimbi avvelenati da medici istruiti e neonati uccisi da infermiere addestrate. E concludeva: “La lettura, la scrittura e l’aritmetica sono cose importanti soltanto se servono a rendere i nostri figli più umani”. Mons. Auza cita il pensiero di Ginnott per sottolineare in maniera incisiva l’argomento sviluppato giovedì scorso durante un incontro al Manhattan College di New York e incentrato sulle “responsabilità morali ed etiche delle università in risposta alle realtà globali di migranti e rifugiati”.
Formati al vero bene
L’osservatore della Santa Sede all’Onu si rifà , la Federazione Internazionale delle Università Cattoliche. In quella circostanza, il Papa aveva invitato a sviluppare la ricerca sul fenomeno migratorio, ad agevolare l’istruzione da un lato di migranti e rifugiati e dall’altro la preparazione di operatori pastorali specializzati e, terzo, a promuovere a livello sociale la causa delle persone in movimento. Mons. Auza ne riprende i punti ricordando in apertura di discorso la missione fondamentale degli atenei cattolici, quella – echeggiata anche da Haim Ginnott – di sviluppare non solo le “facoltà cognitive degli studenti”, ma di formarli “al vero e al bene” e al “riconoscimento della dignità propria e altrui”.
Laureati “più umani”
Mentre tanta parte del mondo, rileva il rappresentante pontificio, è “drammaticamente” colpita “da varie crisi economiche, finanziarie, politiche, ambientali, demografiche” – e mentre individualismo, edonismo, relativismo riducono l’uomo a un essere “dipendente o consumatore” e comunque “solo” davanti alla comprensione delle cose della vita – le università cattoliche, ribadisce, hanno come obiettivo “essenziale” la costruzione di “mondo più giusto e umano”. Questo perché, sostiene mons. Auza, il “concetto cristiano della persona” prende “sul serio la nostra dignità di amati figli di Dio e i diritti che ne derivano” e dunque l’abbinamento della formazione intellettuale a quella etica può “sicuramente aiutare a rendere i laureati “più umani”.
Tre azioni
Il “vivere, studiare e agire secondo le ragioni di un umanesimo fraterno” deve tradursi per mons. Auza in un lavoro articolato da parte delle università cattoliche nei confronti dei milioni di migranti - 258 milioni nel 2017 - anzitutto, come richiesto da Papa Francesco, intavolando “studi più approfonditi sulle cause remote delle migrazioni forzate”. Quindi bisogna assicurare “il più possibile che migranti e rifugiati ricevano un'istruzione adeguata per aiutarli a integrarsi e a contribuire alle loro società di origine e destinazione” e che, assieme a loro, sia offerta “formazione professionale specifica a operatori pastorali e volontari, insegnanti e professori su come accogliere, proteggere, promuovere e integrare migranti e rifugiati”. Terzo promuovere in tutti i settori sociali una sensibilizzazione “sulle migrazioni e sui migranti” volta “a realizzare una percezione più realistica, umana e costruttiva nei confronti delle persone coinvolte”.
I quattro verbi del Papa
Del resto, ricorda l’osservatore della Santa Sede, il “Global Compact per la migrazione sicura, ordinata e regolare”, firmato all’Onu nel 2016, richiede “programmi per lo sviluppo della prima infanzia, formazione tecnica e professionale, capacità di insegnamento, istruzione online e cure speciali per le persone con disabilità e traumi psicosociali”. Un impegno ampio che Papa Francesco ha sintetizzato in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
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